se la donna impara a non sentirsi debole, a non temere ciò che non può prevedere, impara davvero ad essere una grande mamma; perché la dote principale di una mamma è avere una certezza: che il figlio non è «sua proprietà», e il figlio, amato, vezzeggiato, coccolato, cullato, ma non «posseduto come si possiede un soprammobile », gliene sarà per sempre grato; così sarà libero di crescere e di ricambiarne l’amore.
Troppo spesso nella società occidentale è passato l’assioma che le donne sono deboli. Sembrava che questo sciocco luogo comune fosse sparito da un po’ di tempo, ma ecco che con le novità degli ultimi anni anche questo pregiudizio si riaffaccia: sembra ormai che tutto «consigli» le donne a fare pochi figli, a programmarli fino all’eccesso, a passare la gravidanza in una specie di ansia che vorrebbe tenere tutto sotto controllo, ma non ci riesce… e la gravidanza da «stato interessante » diventa «stato stressante». Perché? Un tempo l’imprevisto era il sale della vita; d’accordo, si dirà che era così perché in tante situazioni non c’era nulla che si potesse fare o tentare… ma da qui a non accettare niente che non sia programmato o sezionato, centellinato, ne passa!
Allora la gravidanza diventa un periodo privilegiato proprio per questo: la donna può finalmente
guardarsi; può trarre un respiro, concentrarsi su di sé, sul bambino, sulla realtà, sui suoi progetti. E imparare a non aver paura: non è sola. La gravidanza insegna proprio questo, lo abbiamo visto. E la donna non è tanto debole da non accettare ciò che arriva come imprevisto; e cosa c’è di più imprevisto di un bambino? Imprevisto, perché prevedere vuol dire «vedere prima », e nonostante si sia programmata la nascita ragionando su modi e tempi, il colore degli occhi, le capacità, le paure, le pulsioni, gli amori del bambino che crescerà non sono programmabili. Ma se la donna impara a non sentirsi debole, a non temere ciò che non può prevedere, impara davvero ad essere una grande mamma; perché la dote principale di una mamma è avere una certezza: che il figlio non è «sua proprietà», e il figlio, amato, vezzeggiato, coccolato, cullato, ma non «posseduto come si possiede un soprammobile », gliene sarà per sempre grato; così sarà libero di crescere e di ricambiarne l’amore.
Il bello, dice Goethe, è solo «una manifestazione di leggi naturali, segrete, che senza il suo apparirci sarebbero state eternamente celate», e aggiunge Paul Klee: «Quale artista non vorrebbe abitare là dove l’organo centrale del tempo e dello spazio, non importa se si chiami cervello o cuore, determina tutte le funzioni? Nel grembo della natura, dove è riposta la chiave segreta del tutto?». Con la gravidanza la donna si immedesima col «grembo della natura» e con una certa sua armonia, che è una delle dimensioni della bellezza.
Strano: oggi si intende per bellezza l’assenza di difetti, un’estetica meccanica fatta a colpi dibianchetto, che dimentica che il bello è un richiamo a «guardare oltre». Invece la bellezza è il riflesso del vero; e nella gravidanza la donna riflette all’ennesima potenza il Mistero del mondo, la Verità del mondo, che è amore, perdono e accoglienza. Dire che è bello il periodo delle trasformazioni di una donna incinta verso canoni e forme «fuori moda e fuori misura», sembra un’eresia. È normale che in gravidanza all’inizio si stia male di stomaco, che poi si gonfino un po’ le caviglie, che il seno si gonfi, che si cresca di vari chili e ci si senta stanche. Ci mancherebbe altro che si scambiasse questo con un’anomalia! Un intellettuale indiano d’America, notando la differenza nell’approccio al bello fra la sua cultura e quella europea scriveva: «Gli occidentali cercano di rappresentare la natura dividendola e stendendola su una linea per esaminarla a pezzetti. Sembrano sempre gente che sta fuori e cerca di guardare cosa c’è dentro». In altre parole: attenti a non scambiare il bello col meccanicamente integro! In realtà è qui che si coglie l’essenza della bellezza. Nella gravidanza è così: la bellezza appare chiara, perché da essa traspare un senso di certezza di stare facendo una cosa buona. (…)
La maternità è proprio questo: un cambiare, un attendere qualcuno nuovo e sorprendente, amarlo non per quello che ci dà, addirittura amarlo prima ancora che si veda; anche se è un peso o è scomodo.Questo, in altre parole, è immergersi e respirare un mare di bellezza pura.
Quante donne non lo sanno, ma per loro la gravidanza è stata un’occasione persa. La vicinanza col proprio corpo, col guardarsi, col conoscere i propri mutamenti riappropriandosi di tutto, anche quando tutto sembra essere un po’ meno «meraviglioso»: le caviglie che si gonfiano e il peso che aumenta; non c’è più la taglia 42 e si è un po’ più stanche… ma come ci si conosce meglio! Come si arriva a stupirsi di sé e di come siamo fatte bene, pensando a come tutto procede verso qualcosa che non abbiamo stabilito a tavolino, ma di cui siamo una propaggine. E la contiguità con il nuovo arrivato che si trova nascosto dentro l’utero, che si fa a volte sentire, magari ingombrante, ma che è chiaramente una certezza, una sicurezza, una compagnia. Tutto questo risveglia un sentimento che molte credevano sopito, dimenticato, nascosto: lo stupore… «Però: sono proprio in gamba!». E mentre tutta la società sta lì a sindacare che le donne oggi sono deboli, sono poco robuste, preferiscono tagliare la corda di fronte alle responsabilità, voi siete lì a guardarvi allo specchio, magari di profilo, e dire: un corno! Le donne sanno amare, darsi, accettare, proprio perché così si scopre la bellezza del reale.
Carlo Bellieni, MD
Neonatal Intensive Care Unit
Policlinico Universitario "Le Scotte"
Viale M. Bracci,
53100, Siena
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