venerdì 12 marzo 2010

QUARTA PARTE INTERVISTA A SUSANNA TAMARO LE BANDIERE DELL’UMANITARISMO

.....Contro questa maschera
dell’umanitariano sotto cui si nasconde «il ghigno della morte», esiste solo la
«trasgressione del cristianesimo». È una cosa diversa da tutte le altre perché
«propone un cammino, un percorso, una via per la redenzione». Come ha altre
volte scritto, «senza l’idea di redenzione la storia diventa un’arena in cui i
vincitori ammassano costantemente i corpi dei vinti. Senza la redenzione la vita
degli esseri umani non è diversa da quella dei gitani sorpresi dalla
nebbia......




Il cristianesimo sta vivendo un «importante passaggio: da fede imposta a scelta consapevole. La Chiesa ha la grande responsabilità di dare una risposta a tutte le persone che chiedono acqua viva e pura. Non può accontentarsi di offrire loro l’aranciata». L’aranciata è la buona creanza, le regole, i precetti. «Io odio i buoni sentimenti, io sono cattivissima», dice Tamaro, sapendo di sfidare così la vulgata che la vuole come la nuova Liala del Duemila. «Ho orrore dei perversi buonismi del nostro tempo. Perché mai dovremmo essere buoni, visto che ci conviene essere cattivi?».

Ha scritto che combattere il male con i buoni sentimenti «è come volere costruire un carro da guerra con degli stuzzicadenti. Viviamo in una società che, per anestetizzare la propria coscienza, ha bisogno di alzare sempre più alte le bandiere dell’umanitarismo, della tolleranza, del pacifismo. Sente i demoni salire dentro di sé, ma non sa come tenerli a bada, così usa i surrogati: l’osceno abito del buonismo».
Contro questa maschera dell’umanitariano sotto cui si nasconde «il ghigno della morte», esiste solo la «trasgressione del cristianesimo». È una cosa diversa da tutte le altre perché «propone un cammino, un percorso, una via per la redenzione». Come ha altre volte scritto, «senza l’idea di redenzione la storia diventa un’arena in cui i vincitori ammassano costantemente i corpi dei vinti. Senza la redenzione la vita degli esseri umani non è diversa da quella dei gitani sorpresi dalla nebbia.
Qual è la via da cui siamo venuti? Dove stiamo andando? Nessuno ha una bussola, si procede alla cieca, tornando sempre sui nostri passi, così, quando la morte verrà, avremo consumato tutte la scarpe marciando fermi sullo stesso posto». La vita è un percorso difficile, una sfida, un rischio: «La salvezza non si compie camminando al tramonto sul bagnasciuga di un mare calmo, ma arrampicandosi come capre tra i monti, tra l’arsura, le spine, con il rischio di precipitare in ogni istante».

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