Febbraio 15, 2013 Assuntina Morresi
La Cedu ha respinto il ricorso del governo sulla legge sulla fecondazione assistita. Una vicenda passata sotto silenzio per non disturbare il manovratore
Lo tsunami mediatico suscitato dalla rinuncia di papa Benedetto XVI ha fatto passare in sordina la decisione della Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) di respingere il ricorso del governo italiano, intervenuto a sostegno della legge 40 sulla fecondazione assistita.
È importante capire bene cosa sia successo, perché si tratta di un primo assaggio della politica che – forse – verrà, quella di rito montiano, con tutte le conseguenze del caso.
È importante capire bene cosa sia successo, perché si tratta di un primo assaggio della politica che – forse – verrà, quella di rito montiano, con tutte le conseguenze del caso.
La Cedu aveva accolto il ricorso di una coppia italiana, che voleva accedere alla fecondazione assistita per selezionare embrioni malati di fibrosi cistica – di cui i due sono portatori – e scartarli, e trasferire in utero solo quelli sani. La legge 40 non lo permette. L’accesso alla fecondazione in vitro è consentito solamente alle coppie infertili, e quindi quelle portatrici di malattie genetiche, se fertili, non possono ricorrervi. La legge, infatti, non è eugenetica, non ha cioè come scopo la selezione degli embrioni, ma semplicemente dare la possibilità alle coppie infertili di tentare la via medicalmente assistita.
La Cedu ha accolto in prima istanza il ricorso della coppia, denunciando una presunta contraddizione all’interno della legislazione italiana: con la 194 si potrebbero abortire quegli embrioni (o feti) che la legge 40 non permette invece di sopprimere appena procreati. Una affermazione falsa, in punta di diritto: la 194 non consente l’aborto eugenetico, cioè se il concepito è malformato, ma solo quando ci sono problemi di salute fisica o psichica della donna.
Non c’entra qui la prassi – di cui potremmo sicuramente discutere – ma i testi di legge: né la 194 né la 40 prevedono la soppressione di feti o embrioni se malati.
In aggiunta, c’era un problema procedurale: la coppia si era rivolta direttamente alla Corte europea senza interpellare prima i tribunali italiani, come invece richiesto dalle norme internazionali.
Il governo Monti ha fatto ricorso alla Cedu, difendendo la legge italiana ma puntando tutto sulla questione procedurale. Lo affermava espressamente il comunicato del 28 novembre scorso da Palazzo Chigi: «La decisione italiana di presentare la domanda di rinvio alla Grande Chambre della Corte europea per i diritti dell’uomo si fonda sulla necessità di salvaguardare l’integrità e la validità del sistema giudiziario nazionale, e non riguarda il merito delle scelte normative adottate dal Parlamento né eventuali nuovi interventi legislativi».
Eppure il merito è importante: consentendo che la fecondazione in vitro serva a selezionare embrioni, distinguendo fra sani e malati, trasferendo i primi e scartando i secondi, si introduce una norma eugenetica, perché – piaccia o no – ogni selezione di una vita umana basata sul patrimonio genetico è eugenetica.
Ma queste considerazioni sono state volutamente escluse dal governo Monti, come rivendica il comunicato: una decisione evidentemente condivisa dai cattolici che ne fanno parte, dai quali non si è sentito alcun commento a proposito.
La Cedu adesso ha respinto il ricorso, e non ne conosciamo le motivazioni. La legge 40 per ora non è cambiata, quella coppia può accedere alla fecondazione in vitro e alla diagnosi preimpianto, e probabilmente qualche giudice userà – o forse lo sta già facendo – questa sentenza per portare di nuovo la 40 al vaglio della Corte Costituzionale e cambiarne il testo. D’altra parte, certa magistratura pare entusiasta all’idea di modificare quel che parlamento e referendum popolare hanno stabilito.
Ma non è tutto. Da un anno le linee guida sulla legge 40 giacciono nel cassetto del Ministro della Salute Renato Balduzzi, cattolico di rito montiano, attualmente candidato al Senato con Scelta Civica, noto per aver contribuito a redigere la legge sui DiCo del Ministro Rosi Bindi.
Linee guida che ribadivano, tra l’altro, che ogni indagine sugli embrioni deve essere effettuata a tutela della salute e dello sviluppo di ciascun embrione, come prevede espressamente la 40: con questo criterio, difficile ammettere la diagnosi preimpianto.
Le linee guida erano state elaborate dal sottosegretario Eugenia Roccella, controfirmate dal Ministro Fazio ed inviate al Consiglio Superiore di Sanità (CSS) per il parere necessario. L’approvazione da parte del CSS è arrivata nel febbraio successivo, quando era in carica il Ministro Balduzzi, che non ha mai posto la sua firma in calce a quel testo nonostante sia oramai inadempiente per legge – le linee guida devono essere emanate ogni tre anni, e adesso ne sono passati quasi cinque.
Il motivo? Sembra chiaro: non disturbare il manovratore. Il divieto alla diagnosi preimpianto era uno di quelli che si voleva abrogare con il referendum – fallito – del 2005, sostenuto da tutti i partiti della sinistra. Perché approvare adesso un testo inviso al Pd? Balduzzi se ne è guardato bene.
Eppure farebbe ancora in tempo: il Ministro Livia Turco ha emanato le linee guida della 40 a governo scaduto, addirittura dopo le successive elezioni, quelle della vittoria del PdL del 2008.
I cattolici di rito montiano, insomma, già all’interno di un governo cosiddetto “tecnico” hanno fatto scelte ben precise, rinunciando in partenza a qualunque tentativo per evitare l’ingresso in Italia di norme eugenetiche.
Per quale motivo dovrebbero comportarsi diversamente, in un governo politico con Bersani&Vendola? Al massimo vedremo qualche voto di testimonianza, purché non metta in pericolo la maggioranza, s’intende.
Meditate, gente meditate….
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