giovedì 21 maggio 2009

PER CONFERMARCI NELLA NOSTRA FEDE

Quando il papa fu lì tra noi, quando udimmo e ascoltammo le sue parole di compassione e di saggezza, quando fummo spettatori della sua testimonianza di fede, non era più in questione cosa avrebbero detto i giornali, ma di cosa aspettava il nostro cuore. Mentre accanto al Papa partecipavo ai vari avvenimenti, non ero presente alla televisione, era chiaro che si andava al cuore del problema. Il problema, il nocciolo della questione era Dio e l’uomo cambiato nell’incontro con Cristo, e l’uomo cambiato da questo incontro può costruire un mondo più umano.



di Vincent Nagle 21/05/2009
Fin dal mese di novembre sono stato coinvolto tangenzialmente con la vista del Papa in un incontro con il patriarca Fouad e alcuni sacerdoti. Nell’incontro si percepì un’atmosfera un po’ tesa quando venne espressa con calore la posizione degli oppositori. L’opposizione si basava sul paragone fra la visita di Benedetto XVI e quella di Giovanni Paolo II del 2000. La visita di Giovanni Paolo II si era svolta in un momento di celebrazioni, un momento pieno di speranza in special modo per la comunità cristiana. Il processo di pace basato sugli accordi di Oslo, una strada verso la realizzazione dello stato palestinese, aveva fatto notevoli progressi. Anche se si era in stallo c’era e i palestinesi sentivano di essere sulla strada giusta.


Inoltre era l'anno 2000, anniversario della nascita di Cristo, e c’era la sensazione generale che tutto potesse portare a un periodo di pace e di fraternità e anche la comunità cristiana locale aveva fatto investimenti nel campo del turismo. Anche se i palestinesi pensavano che la visita del papa sarebbe stata monopolio dei media israeliani per fare la loro propaganda, c’era una sensazione che potesse portare a una nuova speranza. La visita del papa era insomma l’acme di questa positività.
Oggi, non si vede un briciolo di questa positività nella comunità cristiana. I motivi risiedono in parte nella situazione dei palestinesi, che è peggiorata sia perché è scomparsa l’idea di uno stato palestinese sia per la posizione sempre più intransigente di Israele, con la costruzione del muro che divide le famiglie ecc. Oltre a tutto questo, e molto più grave, è il massiccio esodo della comunità cristiana a seguito della seconda intifada. I cristiani sono una minoranza davvero ridotta e le speranze di pace e di ritorno alla normalità sono scomparse. Nell'attesa della visita del papa, questo era il pensiero predominante: "Che cosa c’è mai da festeggiare?”. “Israele vuole usare come propaganda la visita del papa per trovare approvazione alla propria posizione e usare la presenza del papa per giustificare la politica che sta conducendo?” In generale l’opinione nei confronti di questa visita era decisamente negativa. E poi venne la guerra a Gaza.
Come potete capire, da un punto di vista umano non c’era motivo di essere contenti per questa visita: ma i miei amici e e il patriarca mi ricordarono subito che noi cominciamo da qualcosa che viene prima. Improvvisamente fui pieno di gioia e mi fu chiaro che dovevo vivere per saper riconoscere l’Altro che è la mia speranza. Il viaggio del papa aveva questo senso: confermarmi e confermarci nella nostra fede. Dovevo usare questo strumento: “Vieni, santo Padre, ti sto aspettando!”.
Come potevo comunicarlo ai miei parrocchiani della città di Nablus stretta sotto assedio?
La comunità negli ultimi 15 anni è passata da circa 5000 abitanti a circa 600. La città è chiusa dal 2003. Molti giovani sono morti per le strade di questa città, davanti agli occhi di tutti, ma un numero maggiore di persone è scomparso nelle prigioni israeliane, senza una sentenza, solo una detenzione senza termine. Bramano di vedere un segno qualsiasi che faccia vedere un progresso verso la libertà. I giornali e la televisione dievano che il Papa sarebbe venuto solo per essere gentile con gli ebrei.
Più di un mese fa, alla messa di Pasqua ho chiesto al prete che è venuto a cantare (sono capace ormai di recitare la messa in arabo, ma a cantare non ce la faccio ancora) di dire alla fine della messa due parole sulla prossima visita papale. Lui ha detto: “Sono contro la visita del Papa e so che anche voi lo siete. Ma lui sta per arrivare e noi siamo arabi e cristiani, perciò dobbiamo dargli il benvenuto". Ho pensato che non fosse di grande aiuto.
Da quel giorno, in ogni omelia, pregai soltanto per la visita del Papa. Per esempio: "Quando Gesù ripete la benedizione “la pace sia con voi” è o non è colui che è in grado di darci la pace? La pace è soltanto l’esito di un processo politico o militare o è un dono di Dio? La pace viene da Dio e perciò abbiamo bisogno di riconoscere questo dono, cioè abbiamo bisogno di riconoscere Cristo per condividere il dono della pace con tutti. Perciò abbiamo bisogno di essere aiutati nella nostra fede. Abbiamo bisogno che il Papa venga". Molti di quelli che mi seguono furono confortati da queste mie parole, ma mi accorgevo che molti, in particolar modo il consiglio pastorale che è molto attivo politicamente, non le apprezzarono. La loro conclusione era: “Tu non sei palestinese e quindi non puoi capire” La tensione faceva venire mal di stomaco.
Temevo che nessuno sarebbe venuto alla messa a Betlemme, invece riempimmo due pullman con più di cento persone. In tutta la parrocchia siamo solo 250. E la mia gente alla messa era felice, veramente felice. Hanno veramente visto che c’è qualcosa che viene prima. Non abbiamo bisogno di esiti politici, o di aver successo nei mezzi di comunicazione, non abbiamo bisogno di ottenere una vittoria militare. Quando lui viene ci rende felici. E il nostro cuore mutato rende possibile camminare in modo diverso, portando il dono che abbiamo ricevuto.

Quando il papa fu lì tra noi, quando udimmo e ascoltammo le sue parole di compassione e di saggezza, quando fummo spettatori della sua testimonianza di fede, non era più in questione cosa avrebbero detto i giornali, ma di cosa aspettava il nostro cuore. Mentre accanto al Papa partecipavo ai vari avvenimenti, non ero presente alla televisione, era chiaro che si andava al cuore del problema. Il problema, il nocciolo della questione era Dio e l’uomo cambiato nell’incontro con Cristo, e l’uomo cambiato da questo incontro può costruire un mondo più umano.
All’inizio del suo discorso alla comunità cristiana di Gerusalemme disse queste parole “ Cristo è risorto, alleluia”. Si è dovuto fermare a causa del lungo applauso che accolse questa dichiarazione. Poi continuò dicendo “ La comunità cristiana di questa città deve aggrapparsi saldamente alla speranza consegnata dal vangelo acclamando la promessa della definitiva vittoria di Cristo sulla morte e sul peccato, dando testimonianza alla potenza del perdono.”
A Betlemme ha detto ai cristiani Cristo ha portato un regno che non è di questo mondo, ma un regno che è capace di cambiare questo mondo, perché ha il potere di cambiare il cuore, di illuminare l’intelligenza e di rafforzare la volontà”, Al presidente Abbas ha detto: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono". Al presidente Perez ha detto: "La sicurezza è un problema di fiducia, è alimentata dalla giustizia e dall’integrità, e viene cementata dalla conversione del cuore, che ci stimola a guardare l’altro negli occhi così da riconoscere l’altro come mio simile, io fratello, mia sorella".
Forse la gente non sapeva che aspettava la visita del Papa, ma quando è venuto hanno capito che era venuto per loro. Questo è stato per me evidente nella messa a Nazaret, che è stata un vero record di partecipanti cristiani in Terra Santa. La gente per riuscire a prendere posto prima che la polizia chiudesse è rimasta sveglia tutta la notte e il sole ormai era cocente. Ciononostante, quando, dopo la comunione, che per molte persone è stato un momento doloroso perché non sono riuscite ad averla, fu chiesto di osservare un minuto di silenzio per ringraziare Dio della comunione ottenuta attraverso il Figlio, accadde un miracolo. In mezzo a quella folla enorme scese il silenzio, si riuscì a sentire il canto degli uccelli, anche degli uccelli che cantavano lontano da lì. Niente altro. Fu un segno che dopo tutto il rumore, la tensione, lo scetticismo e le critiche e le discussioni eravamo alla fine semplicemente grati di questa comunione. E quando nella vita uno incontra una vera gratitudine, è di nuovo pronto a ricominciare, a ripartire di nuovo.


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