lunedì 21 dicembre 2009

I VECCHI SCARICATI COME RIFIUTI PER LE STRADE DI ASSUNCION

....Il sorriso nasce dal ricevere un abbraccio, dal fatto che qualcuno ci ha sorriso per primo. Ecco cosa mi hanno insegnato queste persone la cui vita è cambiata perché sono stati accolti con l’abbraccio di Cristo in ognuno di quelli che stanno accanto a loro tutti i giorni. Serbo tutte queste cose dentro di me: quale migliore modello potrei avere se non questa allegria, questa tenerezza? Quanto è importante sentire che qualcuno ti accoglie con affetto, per potermi sentire abbracciata......




Perfino loro possono cambiare quando trovano un abbraccio vero
Asilo de Dios, il dvd di padre Aldo Trento in edicola con Tempi da giovedì 17 dicembre
di Aldo Trento

Non esiste condizione umana o inumana che resista alla verità di un’esperienza carica della coscienza che l’uomo è relazione con l’Infinito, e che alla luce di questa consapevolezza non possa cambiare e trasformarsi in positività e gioia di vivere.


Le casette San Joaquín y Santa Ana della parrocchia San Rafael di Asunción accolgono i “rifiuti umani” che la polizia raccoglie come spazzatura nelle piazze e nelle strade e porta nei nostri spazi, dove alcuni uomini innamorati di Cristo con la loro presenza colma di tenerezza se ne prendono cura. Certi di una verità che i cosiddetti “esperti” non considerano neppure come ipotesi: che anche per loro può esistere una vita differente… persino felice.
    padretrento@rieder.net.py

Nell’ultima riflessione che abbiamo fatto con il personale del Hogar San Joaquín y Santa Ana, mi è venuta questa domanda: a che modello ti rivolgi per trovare il tuo Io? In cosa consiste il tuo percorso nel cammino della conoscenza, che ci porta a vivere una familiarità con il Mistero? Dopo un attimo di silenzio mi sono venuti in mente i volti di ognuno dei nonnini e delle nonnine che stanno da noi. Così ho guardato quello che c’è attorno a me ogni giorno: Chinchín, un’anziana di 88 anni, ex maestra, con la sua immensa tenerezza e allegria. Ho visto come accoglie a “casa sua” tutte le donne che arrivano, come le pettina, come aiuta a dare la colazione a Tomasa, una donna psicopatica costretta a letto, con quale tenerezza si preoccupa di loro, domandando continuamente per via dell’Alzheimer quando si mangia, e chi paga. Ricordo quando è arrivata Patrocinia, abbandonata da parenti alto-borghesi che sulla porta le avevano promesso che sarebbero venuti a visitarla spesso. E non si sono mai fatti vivi. Patrocinia aveva paura, era un totale cambio di vita per lei. In più proveniva dall’entroterra, dove non aveva mai visto un bagno né un gabinetto. Penso alla pazienza con cui tutto il personale le ha insegnato cos’è un bagno, come si usa, visto che lei si alzava il vestito e urinava e defecava in qualsiasi angolo della camera. È stato un lavoro da formica, di pazienza e soprattutto di amore. Era terrorizzata, e Chinchín le diceva: «Qui non ti accadrà nulla, nessuno può entrare, io chiudo la porta a chiave, e se no chiamo la Polizia». L’ha invitata a dormire nel suo letto per una settimana, finché Patrocinia non si è abitutata a dormire da sola, però sempre in casa di Chinchín.
Io stavo lì a osservare, partecipando al timore di lei che passava ore leggendo in camera sua, sola e coi suoi ricordi. Quando c’è una festa e le portiamo, loro camminano tenendosi per mano, stando attente a non cadere e ammirando ogni cosa: i fiori, le piante, l’immensa tettoia, sempre come fosse la prima volta. La stessa cosa è accaduta con Margarita: mandata dalla procura dopo i maltrattamenti subiti dal figlio tossicodipendente, è arrivata al Santa Ana totalmente alterata e drogata: non c’era calmante che la tranquillizzasse e le notti erano senza fine, per lei e anche per le infermiere e le nonnine del Hogar che teneva sveglie per molte ore filate. Una volta si è anche accapigliata con una di loro, gettandosi poi sul letto. Oggi è una donna dolce, riconoscente ogni volta che mi siedo un minuto a conversare con lei, e dice sempre: «Va tutto bene, mi sento bene, non voglio alzarmi perché sono in vacanza». Sarita, la gattina, come la chiamo io, perché una volta mi aveva raccontato che si era mangiata un gatto arrosto e tutte noi ci eravamo messe a ridere con lei, sempre tranquilla e desiderosa di salutare perché se le do un bacio lei mi chiama signorina. Marina, costretta a letto, quando le facciamo una carezza sulla testa smette di gemere. E abbiamo scoperto che accendendole la radio si rallegra, batte le mani e si tranquillizza. È la preferita dell’infermiera Petrona.
Coi maschi di San Joaquín capita qualcosa di simile, sono arrivati in condizioni di totale abbandono, senza conoscere l’igiene. Carlos, il responsabile, ha insegnato loro a non “defecare in qualsiasi parte della casa”, a non sputare, a tirare la catena del gabinetto, a lavare le mani tutte le volte che si va in bagno, a usare l’asciugamano. Mettere il pigiama è stata un’impresa, perché volevano dormire vestiti. Idem per la doccia giornaliera, la barba e il rispetto degli orari dei pasti. Tanto che, quando è arrivato Juan Cancio dall’entroterra, conciato come lo erano loro fino a poco tempo prima, a un certo punto si sono arrabbiati perché «non imparava» e «dava molto lavoro a Don Carlos», finché un giorno il più anziano, Trinidad, lo ha preso a pugni, e abbiamo dovuto separarli a forza. L’ultimo arrivo ce l’ha portato la polizia, un poveretto pieno di urina dalla testa ai piedi, sporco, senza scarpe, che viveva nella piazza di fronte a Mariscal López Shopping, sembrava avesse 150 anni. Quando Carlos gli ha fatto il bagno, gli ha fatto la barba e tagliato i capelli, non ci potevamo credere: aveva cent’anni di meno… È così importante, sia per me che per loro, salutarli con un bacio sulla testa e domandare: «Come stanno i miei ragazzi?», e ci riempiamo di allegria quando ci dicono: «Bien mi patroncita de oro».
Il sorriso nasce dal ricevere un abbraccio, dal fatto che qualcuno ci ha sorriso per primo. Ecco cosa mi hanno insegnato queste persone la cui vita è cambiata perché sono stati accolti con l’abbraccio di Cristo in ognuno di quelli che stanno accanto a loro tutti i giorni. Serbo tutte queste cose dentro di me: quale migliore modello potrei avere se non questa allegria, questa tenerezza? Quanto è importante sentire che qualcuno ti accoglie con affetto, per potermi sentire abbracciata. Marisa Becerra
Sono il responsabile della casa per anziani San Joaquín. Cercando di rispondere alla domanda: “Qual è l’ideale con cui confrontare tutto?”, ho sempre pensato di dover guardare ai santi, per basare su di essi la costruzione del mio Io. Dopo aver riflettuto sul testo che abbiamo letto assieme, mi sono reso conto che l’ideale cui devo riferirmi sono tutti i miei amati vecchietti. Ricordando in quale stato sono giunti al San Joaquín, in condizioni di abbandono assoluto, privi di ciò che di più elementare l’essere desidera: rispetto, affetto, attenzione, calore umano. Così mi sono venuti in mente Don Hipólito, Don Trinidad, Don Coco, Pedrito, Don José, Don Heriberto, Don Juan Cancio, e l’ultimo, Luis, oltre a quelli che sono stati chiamati dal Signore. Accompagnarli nell’apprendimento dei gesti più quotidiani, come radersi e lavarsi i denti, insegnare loro l’uso del gabinetto, della doccia, del sapone, dell’asciugamano, delle ciabatte e del pigiama: questo rappresenta per me il cammino per incontrare il mio Io.
Grande è stata la sorpresa nelle ultime settimane con l’arrivo di Juan Cancio e Luis, che vivevano entrambi abbandonati, Juan Cancio in una baracca con sua sorella e Luis in piazza Infante Rivarola, dove un gruppo di giovani ubriachi ha urinato su di lui. I due si sono sorbiti i rimproveri degli altri nonnini, che si sentono già educati. Le lamentele di Don Hipólito perché Luis non sta buono quando in casa si legge. C’è stata persino una rissa tra Don Trinidad e Juan Cancio perché al primo dava fastidio che l’altro non avesse ancora imparato a usare il bagno e facesse le sue necessità dovunque. Mi sono reso conto che in questo percorso faticoso anche loro vanno incontrando il loro Io, grazie all’amore e all’affetto che ricevono. Si sono imbattuti nel Tu, l’incontro che mi permette di dire Io. Nella vita non importa quanti problemi uno abbia passato, si inizia a dire “Io” con gusto quando grazie alla corrispondenza tra il mio Io e il Tu dei nonnini le nostre vite cambiano. Grazie a questa corrispondenza la loro vita inizia a cambiare e io vado incontro al mio Io.
    Carlos Andrés Osorio

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