Benedetto XVI spiega la politica ai vescovi
Massimo Camisasca martedì 22 dicembre 2009
Per certi suoi tratti il pontificato di Benedetto XVI sembra sempre più assomigliare a quello di alcuni papi della tarda romanità, come Leone Magno e Gregorio Magno.
Papa Ratzinger è innanzitutto un grande liturgo. La liturgia è stato il campo dei suoi interessi di teologo. È ora il campo del suo ministero petrino. Egli vuole salvare la celebrazione dei sacramenti e il sacerdozio ad essa connesso da ogni riduzione possibile. Sia da quella che fa della celebrazione un rito astorico, magico, sciolto dalla concreta vicenda ebraico-cristiana, sia da quella che appiattisce l’evento sulla sua dimensione politica. Qui la politica visualizzata è quella dei partiti e delle ideologie. Il sacerdote non può essere uomo di una sola parte, proprio perché rappresenta l’universale volontà di salvezza di Dio nei confronti dell’umanità.
Il tema è sempre d’attualità. Di recente un vescovo ha chiesto alla Santa Sede se gli era possibile entrare nella Camera dei Lords in Gran Bretagna. Permesso negato. Nei decenni passati abbiamo avuto preti impegnati ai vertici di due stati, Haiti e Congo Brazzaville. Ben più grave il caso di un vescovo paraguaiano diventato di recente presidente della repubblica, naturalmente sospeso a divinis.
Anche in Italia, negli anni ’60 e ’70, non sono mancati preti del dissenso, apertamente militanti nella sinistra estrema. Ben diverso il caso di don Gianni Baget Bozzo, che non si è mai distaccato dalla comunione ecclesiale.
Come vivere un equilibrio che permetta di non cadere nel disinteresse per la polis, nello spiritualismo non cristiano o, all’opposto, nella partigianeria che non sa recepire le ragioni dell’altro, schiacciata in una storicità senza aperture?
Benedetto XVI ha cercato di dare una risposta a questa domanda soprattutto nella sua enciclica Caritas in veritate, non a caso ripresa in più occasioni nel suo odierno discorso prenatalizio alla Curia romana.
Il riferimento concreto è stato al suo viaggio in Africa di inizio anno e al recente Sinodo dei vescovi africani. «Come possiamo essere realisti e pratici, senza arrogarci una competenza politica che non ci spetta?» si è chiesto stamane il Papa. Come «trovare la strada piuttosto stretta tra una semplice teoria teologica e una immediata azione politica?».
La Caritas in veritate ha cercato di trovare questa via mostrando la capacità sociale delle virtù cristiane, fede, speranza e carità. Esse non riguardano uno spicchio privilegiato o strano di uomini che possono disinteressarsi della storia, all’opposto esprimono un dinamismo molto umano di fiducia, creatività, confidenza, perdono, collaborazione, eccetera, che costruisce un tessuto sociale nuovo.
Il Papa ne ha dato un esempio nella sua allocuzione alla Curia parlando della forza della riconciliazione in Africa, cui la Chiesa vuole dedicarsi: se vogliamo strutture politiche ed economiche che favoriscano la riconciliazione, occorrono «processi interiori di riconciliazione» che rendano possibile una nuova convivenza. «Ogni società ha bisogno di riconciliazioni perché possa esserci la pace. Riconciliazioni sono necessarie per una buona politica, ma non possono essere realizzate unicamente da essa».
Il valore politico e non partitico del cristianesimo è sempre più in evidenza nell’insegnamento di Papa Benedetto.
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