.....L’analisi non basta. La confusione resta. E il motivo, se siamo leali, è proprio che troppe volte cambiamo strada. Metodo. Infilandoci in una rincorsa a tenere conto di tutto senza tenere conto di sé. Ovvero, della profondità del nostro bisogno. Delle nostre evidenze ed esigenze originarie. Di quello che lo stesso Senso religioso chiama «cuore».
E invece è da lì che comincia il giudizio. Dal cuore e da Chi lo risveglia di continuo. È quello il criterio, l’arma che ci consente di affrontare tutto. Parti da te, che hai bisogno di tutto. E dall’unico fatto che ha la pretesa di rispondere a tutto, che attira e sospinge il cuore a un paragone totale: la presenza di Cristo.
Se abbassi il tiro, sei fregato: il caos torna in un attimo. Se usi il cuore, ti scopri a stare di fronte alle cose in maniera diversa. La moglie. Il lavoro. La malattia. Fino alla politica. Tutto attraversato, trapassato, dalle tue esigenze reali......
Ma alla fine, cosa vuol dire giudicare? E perché è così urgente che, come indica il Papa, «l’intelligenza della fede diventi intelligenza della realtà»? Parliamoci chiaro: a volte ci sfugge. In fondo, pensiamo si tratti di qualcosa che c’entra con i massimi sistemi. Va bene per la “realtà”, appunto. Che è una parola grossa. Meglio, larga. Talmente larga che finiamo per maneggiarla come fosse un’idea. Un’astrazione.
Così il discorso torna benissimo. Ma quando dalla “realtà” ci caliamo nei fatti - la casa, il lavoro, la politica -, impercettibilmente cambiamo strada. Quasi senza accorgercene, riduciamo giudizio e conoscenza a un tentativo sfiancante e un po’ ossessivo di mettere in fila i dati. Di analizzarli meglio. Di scomporli e ricomporli con più ordine, come fossero pezzi di un puzzle, fino a quando l’ultimo tassello infilato al posto giusto ci permetterà di risolvere il rompicapo e dire «ho capito»
Peccato che non funzioni. Quando proviamo a farlo, per esempio, davanti al maldimare della politica italiana o al cambio di scenario epocale del Nord Africa, ci accorgiamo che non basta “accumulare informazioni” per capire. Puoi avere lì i pezzi della sveglia uno per uno, fino all’ultimo, e non capirne senso e scopo, come scrive don Giussani in un esempio tra i più suggestivi del Senso religioso. Manca qualcosa. Giorni fa, a un raduno di universitari, un ragazzo raccontava il suo lodevole tentativo di capire meglio i fatti che leggeva in prima pagina. Aveva passato un weekend a studiarsi i giornali. Un pacco alto così. «La domenica sera ero più confuso di prima». L’urgenza, il bisogno di giudicare, non aveva trovato sbocco. Anche lì, mancava qualcosa. Mancava un criterio di giudizio.
L’analisi non basta. La confusione resta. E il motivo, se siamo leali, è proprio che troppe volte cambiamo strada. Metodo. Infilandoci in una rincorsa a tenere conto di tutto senza tenere conto di sé. Ovvero, della profondità del nostro bisogno. Delle nostre evidenze ed esigenze originarie. Di quello che lo stesso Senso religioso chiama «cuore».
E invece è da lì che comincia il giudizio. Dal cuore e da Chi lo risveglia di continuo. È quello il criterio, l’arma che ci consente di affrontare tutto. Parti da te, che hai bisogno di tutto. E dall’unico fatto che ha la pretesa di rispondere a tutto, che attira e sospinge il cuore a un paragone totale: la presenza di Cristo.
Se abbassi il tiro, sei fregato: il caos torna in un attimo. Se usi il cuore, ti scopri a stare di fronte alle cose in maniera diversa. La moglie. Il lavoro. La malattia. Fino alla politica. Tutto attraversato, trapassato, dalle tue esigenze reali.
Non capirai tutto, ma saprai starci di fronte senza smarrirti. Non avrai risolto il problema (alzi la mano chi può risolverlo tout court...), ma sei nella condizione migliore per affrontarlo. E scopri il gusto di affrontarlo, invece di aver voglia di fuggire. In una parola, ti sorprendi libero.
Non si può vivere senza questa libertà. Dobbiamo giudicare. E giudicare, tanto per essere chiari, non è trarre conseguenze da una posizione come quella espressa nell’ultimo Tracce (avete presente il commento su “Chi salva la politica?”) per applicarle a un problema scottante come il rapporto tra giustizia, moralità e vita pubblica. Ma continuare a usare quella stessa bussola, quel fascio di esigenze ed evidenze (bastano soldi e potere a riempire il cuore? Di che cosa abbiamo bisogno noi? E il Paese? Qual è il bene comune? E la salvezza può venire da giudici o politici?), senza riduzioni, mentre ci si addentra, un passo dopo l’altro, nel tema. Come proviamo a fare in questo “Primo piano”. E sugli altri temi: il Nord Africa, l’unità d’Italia, il multiculturalismo...
Un criterio. Conviene. Perché si scopre che tutto, a poco a poco, si rimette al suo posto. La realtà torna a fuoco. Le idee si fanno più chiare. L’incertezza, un po’ alla volta, cede il passo. Si cammina. Si cade, si sbaglia, ma si cammina, spediti.
Si può entrare nelle cose senza lasciarne fuori noi stessi. E si può leggerle dentro, grazie a Chi ci legge dentro
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