A Milano, l'esegeta Rainer Riesner e il teologo Stefano Alberto presentano il testo di Benedetto XVI. Testimone di «un'intima amicizia con Gesù», il Pontefice racconta come «solo se Lui è risorto, è avvenuto qualcosa di veramente nuovo»
di Maria Acqua Simi
Tratto da Tracce - marzo 2011
Rainer Riesner è un esegeta protestante della scuola di Tubinga. È un docente di Scienze Umanistiche all’Università della tecnica di Dortmund, che ha dedicato la sua vita allo studio del Nuovo Testamento e della teologia protestante. Ed è amico del Santo Padre. Don Stefano Alberto insegna, invece, Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Sono loro, nell’auditorium stracolmo di largo Mahler, a Milano, a presentare il nuovo libro di Benedetto XVI: Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione (Libreria Editrice Vaticana).
Ad accomunare i due relatori non è l’entusiasmo sterile di certi studiosi, spesso «scettici, perché pensano di potersi riferire solo a loro stessi, senza fare riferimento a Dio o senza compiere un ulteriore passo, quello dell’apertura», come dirà Riesner durante il suo intervento. A metterli insieme è la passione per il racconto di un uomo vivo. Gesù, il Nazareno.
«Queste pagine sono scritte, scaturiscono dal cuore di un uomo innamorato», dice don Stefano Alberto, descrivendo «l’entusiasmo, la gioia, la forza, la sapienza e l’apertura» di cui il Papa ha intriso il suo racconto. La narrazione si concentra sul periodo più doloroso e insieme più glorioso della vita di Cristo: la passione, la morte e la risurrezione. La risurrezione con la minuscola, come nel titolo del libro. Perché indica un fatto documentabile - storicamente documentabile - e per tutti.
«Il libro del Papa è un dono non solo per i credenti, ma per chiunque cerchi la verità», dice Riesner. Per scriverlo, Benedetto XVI non si è basato solo su testi di studiosi cattolici, ma ha valorizzato ogni contributo anche per la minima parte di verità che può portare al racconto della vita di Cristo. Una vita che, per la sua natura divina, viene spesso contestata dal punto di vista storico; e una risurrezione che viene negata dal punto di vista scientifico e filosofico.
Eppure Riesner spiega che il Papa mostra Gesù sul Monte degli Ulivi in tutta la sua «vulnerabile impaurita umanità» di fronte alla morte. E che la preghiera sacerdotale del Vangelo di Giovanni può essere compresa solo se si guarda a quella ebraica dello Yom Kippur (la preghiera dell’espiazione). Così come le parole dell’ultima cena, che molti vorrebbero impensabili in un contesto ebraico, sono invece piene di riferimento all’Antico Testamento, che preannunciava una nuova alleanza.
Ecco che Gesù è pienamente uomo del suo tempo e pienamente in accordo con il Padre. E a tutti gli scettici, Riesner risponde con la lettura di una pagina stupenda del libro: «Solo se Gesù è risorto, è avvenuto qualcosa di veramente nuovo che cambia il mondo e la situazione dell’uomo. Allora Egli, Gesù, diventa il criterio, del quale ci possiamo fidare. Poiché allora Dio si è veramente manifestato. Per questo, nella nostra ricerca sulla figura di Gesù, la risurrezione è il punto decisivo. Se Gesù sia soltanto esistito nel passato o invece esista anche nel presente - ciò dipende dalla risurrezione. Nel “sì” o “no” a questo interrogativo non ci si pronuncia su di un singolo avvenimento accanto ad altri, ma sulla figura di Gesù come tale» (pag. 270). Nel dire questo, il Papa è accompagnato dall’apostolo Paolo, che nella Prima Lettera ai Corinzi scrive: «Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la nostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha resuscitato Cristo». (1Cor 15, 14-15).
La parola passa a Stefano Alberto. Legge un Salmo molto caro a don Luigi Giussani. «Il Tuo volto, Signore, io cerco» (Sal 26). E affonda subito sulle riduzioni di un’esegesi che spesso è più ideologia che scienza, sulla mentalità moderna che ha reso drammaticamente incerta la fede degli uomini, perché ha reso incerto il suo nucleo e cioè quell’«intima amicizia con Gesù» di cui papa Benedetto sempre parla. Come nella Deus caritas est, quando ricorda che all’inizio dell’essere cristiano non v’è una decisione etica, ma l’incontro con una Presenza in grado di dare alla vita un nuovo orizzonte. Stefano Alberto spiega che «il libro ci porta nell’avvenimento di Gesù». Ma per questo è necessario abbandonare un criterio di giudizio che «è soltanto la nostra valutazione personale, che ci abbandona a noi stessi. In un’ultima solitudine che il Signore però riempie, in un modo imprevisto: attraverso un rapporto vivo». Così, punta il dito contro un metodo, quello storico-critico, nato dal desiderio di conoscere di più Cristo, ma solo sulla base di quello che si pensava già di sapere sul Suo conto.
Che non tutto sia perduto lo si evince dal «capitolo più bello» del libro, a detta dei due studiosi. Quello sulla risurrezione. Pagine dove emerge con forza il punto da cui tutto ha origine: la comunione con il Padre. Un rapporto senza il quale non si può capire niente: è solo a partire da lì che «Cristo si rende presente oggi», scrive il Papa. Per l’uomo postmoderno, questo però è qualcosa di lontano. «I figli hanno ucciso i padri, lo abbiamo visto con il Sessantotto, e oggi provano ad uccidere i figli», continua Stefano Alberto: «Ma tutto può essere generato a partire dal Padre. Solo da quello». E la cifra di tutto sta in una verità così semplice. Un figlio che guarda al padre e un padre che guarda al figlio con un amore che va oltre ogni immaginazione.
Stefano Alberto tocca altri due punti, e mentre lo fa si commuove. «Il Papa», dice, «non si dimentica del dolore della Croce e delle domande che essa provoca duemila anni dopo: perché Dio ha voluto questa espiazione? Perché fino alla morte di Suo figlio?». Non è forse un Dio crudele? Non è un’idea indegna di Dio? «Eppure la realtà della Croce c’è, ma è colpa nostra. Questa verità è però molto lontana da noi. Non è Dio ad essere crudele. In suo Figlio Egli ha preso la sofferenza su di sé. È Dio stesso che beve il calice di tutto ciò che è terribile». Fino alla risurrezione. E la domanda di Giuda Taddeo: «Signore, com'è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?» (Gv 14, 22). E aggiunge il Papa: «Sì, perché non ti sei opposto con potenza ai tuoi nemici che ti hanno portato sulla croce? - così vorremmo domandare».
La risposta è, ancora una volta, nella vita stessa di Gesù. Come spiega il Papa: «È proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell'umanità la sua storia». Patisce, muore, e vuole arrivare al mondo intero «soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta». Ecco la responsabilità dei cristiani: portare in sé il segreto del mondo e annunciarlo, duemila anni dopo. «Dio anche oggi è con noi», continua Riesner: «In croce Gesù griderà marana’ tha’, che significa “Vieni Signore”. Oppure maran ’atha’, che significa “Il Signore è venuto”».
«E proprio perché è venuto», conclude Stefano Alberto, «possiamo sempre attenderlo. Ci parla attraverso testimoni e segni. Questo libro è la testimonianza di un amore. Vi - e mi - auguro di trovare sempre sul nostro cammino testimoni che anticipano nel tempo e nello spazio la venuta di Gesù. La Sua Presenza».
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