Tra Ottocento e Novecento bambini senza famiglia, anziani soli, malati cronici o diversamente abili - al di là delle esigenze fondamentali della vita (nutrimento, accudimento) - pativano un deficit di speranza sociale. Oggi la forbice s'è di molto allargata, e in quella terra di mezzo, in cui la perdita di benessere si accompagna al venir meno della dignità di persone, da Atene a Milano, alla loro «esclusione sociale», per dirla con Simone Weil, nessuno è risparmiato.
31 ottobre 2011
Gigure di testimoni della fede, come don Luigi Guanella, recentemente proclamato santo da papa Benedetto XVI vanno dritte al cuore, anche di chi non crede. Perché, al di là del miracolo che lo ha portato alla gloria degli altari, questo sacerdote ha fatto della propria vita un inesausto servizio di aiuto ai bisognosi. Ma, oltre i festeggiamenti, è doveroso attualizzarne il messaggio, per radicarlo ancora di più nel presente. In una domanda: se il santo lombardo della carità fosse attivo oggi, tra noi, a quali poveri si rivolgerebbe?
«I tempi cambiano e bisogna imparare a leggerli», ha scritto Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio, nell'introdurre la ristampa de "Le vie della Provvidenza", la biografia di Guanella (San Paolo). Ed ha aggiunto: «I poveri si trasformano, ma sono ancora tanti, troppi».
Nel pieno della crisi globale che stiamo vivendo, ci rendiamo tutti perfettamente conto di un fatto nuovo: nessuno è davvero immune dall'indigenza. Perdere il lavoro, vivere di impieghi precari, separarsi dal coniuge, persino una malattia cronica, in un Paese come il nostro - che ancora garantisce l'assistenza sanitaria a tutti - tutto può significare il tracollo economico. Non solo.
Come dimostra il movimento degli indignati, per lo più giovani, è soprattutto di futuro che si avverte la mancanza. In breve: la povertà oggi, rispetto alla quale nessuno può chiamarsi fuori, appare intrecciata ad un deficit di speranza. Sperare non significa aspettare che qualcosa succeda prima o poi, ma avere la possibilità già ora di costruire quel "domani". Proprio per questo, senza lavoro, senza politiche per i giovani e le famiglie, in un clima di generale demoralizzazione per il perdurare della crisi, risulta quanto meno arduo farsi "costruttori" di speranza.
A fronte di un simile scenario, potrebbe sembrare complicato dare una lettura attuale dell'opera svolta da san Luigi Guanella. In fondo, verrebbe da dire, la componente economica della povertà non è la materia prima della "nuova" indigenza. Gli ospizi, i centri di accoglienza, tutto questo ha ancora grande valore, tuttavia va delineandosi una condizione diffusa di di-sperazione come disorientamento, perdita di fiducia, abbandono. E proprio da quest'ultima parola, a ben vedere, occorre ripartire per rileggere la straordinaria avventura umana-spirituale del prete valtellinese, che nella propria biografia si chiedeva a quali persone rivolgere la carità, in via prioritaria, e rispondeva: «I più poveri e i più abbandonati si volevano preferire per incontrare le promesse di Gesù Cristo». Tra Ottocento e Novecento bambini senza famiglia, anziani soli, malati cronici o diversamente abili - al di là delle esigenze fondamentali della vita (nutrimento, accudimento) - pativano un deficit di speranza sociale. Oggi la forbice s'è di molto allargata, e in quella terra di mezzo, in cui la perdita di benessere si accompagna al venir meno della dignità di persone, da Atene a Milano, alla loro «esclusione sociale», per dirla con Simone Weil, nessuno è risparmiato.
Per questo motivo, al di là della dimensione sacra e metafisica rilanciata dalla canonizzazione, l'opera di Guanella si presta in modo efficace a indicare linee guida decisive. In una prospettiva allargata, si tratta di non lasciare che la crisi venga percepita come sventura - a tutti i livelli, dalla sua comunicazione alla politica - attraverso un radicale ripensamento della solidarietà. Che, per chi crede, può dare concretamente corpo a quella «nuova evangelizzazione» invocata pochi giorni fa dal Papa, di cui san Luigi Guanella appare il miglior testimonal per questi tempi bui.
Vera Fisogni
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