martedì 20 gennaio 2009
Dopo due mesi e mezzo di interregno, risultati quanto mai lunghi, arriva finalmente oggi l’appuntamento tanto atteso del passaggio di testimone: dopo la passeggiata con George W. Bush dalla Casa Bianca a Capitol Hill, Barack Obama giurerà come 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America. A questo appuntamento Obama arriva fresco o già appesantito dagli eventi che hanno segnato le vicende americane e mondiali dal 4 novembre scorso ad oggi? Riuscirà a far dire agli americani con lo stesso vigore di allora il suo motto “yes we can”?
Gianni Riotta, direttore del Tg1 e attento osservatore delle vicende americane, ne è convinto: Obama è ancora l’uomo nuovo in grado di dare una svolta alla politica americana.
Direttore, sono in molti a credere che Obama si presenti all’insediamento ufficiale con un’immagine già un po’ ridimensionata rispetto al momento della vittoria elettorale: non le pare che abbia pesato molto questa lunga e accidentata transizione?
Non penso che la situazione sia cambiata rispetto al momento della vittoria di novembre: d’altra parte la transizione c’è sempre stata e fa parte del sistema elettorale americano. Obama, nonostante tutto, ha comunque conservato l’85% di fiducia da parte del Paese. È ovvio che non potrà che andare in basso rispetto a questo livello; ma questo non è che la naturale conseguenza di quella fiducia un po’ irrealistica che gli americani danno sempre al loro nuovo presidente. Bush padre riuscì a raggiungere addirittura un livello di fiducia pari al 90%. In questo momento dunque c’è grande entusiasmo, ma non c’è dubbio che poi pian piano la dura realtà produrrà i suoi effetti.
La creazione della squadra è stato un percorso difficile: dai problemi di “trasparenza” di alcuni esponenti, alle scelte difficili sul settore economico. Come giudica in definitiva la squadra con cui Obama parte per il suo mandato?
Cito un precedente abbastanza vicino: il presidente Clinton dovette addirittura cambiare tre ministri della Difesa per trovarne uno che andasse bene. Il momento dell’insediamento del nuovo governo è molto complicato, ed è complicato il lavoro che bisogna fare per arrivare alle scelte giuste. Noi italiani non abbiamo molto chiaro questo aspetto, e facciamo un po’ l’errore di guardare agli Usa come se fossero l’Italia. Ma evidentemente non è così, e le difficoltà avute nella preparazione della squadra non sono a mio avviso rilevanti, o comunque non maggiori di quelle avute in passato dagli altri presidenti.
Ma guardando la squadra c’è il famoso effetto cambiamento?
L’effetto del cambiamento deve essere innanzitutto dato dal presidente, e questo Obama non l’ha perso. Innanzitutto perché è democratico, anziché repubblicano come Bush. Il vero problema del cambiamento, se c’è o meno, lo vedremo adesso, dal modo con cui il presidente affronterà la crisi. È questo il vero problema della presidenza Obama, e non certo quegli aspetti di cui noi europei ci preoccupiamo tanto, come Guantanamo o altri problemi simili. Obama si dovrà confrontare con la capacità di reagire alla crisi economica e alla prospettiva di avere milioni di disoccupati. Poi tutto il resto verrà di conseguenza.
A proposito di crisi: anche il pacchetto economico di Obama ha generato qualche malumore, anche tra chi è dalla parte del presidente, come l’economista premio Nobel Paul Krugman. Sono anche queste critiche di routine, o Obama deve tenerne conto e correggere il tiro?
La crisi è la più grave degli ultimi ottant’anni, e come tale nessuno ha idea di come risolverla. Obama capisce con tutta chiarezza che deve sempre più fortemente entrare nel vivo di questa crisi; però, al contrario di Krugman, sa che deve anche affrontare un problema politico in più, e non poco rilevante: fare approvare il pacchetto dal Congresso. Il presidente non deve solo pensare le leggi, ma deve anche farle approvare: addirittura aveva sperato di far approvare il pacchetto a ridosso del suo insediamento del 20 gennaio, e invece il Congresso gli ha già fatto sapere che lo voterà, se tutto va bene, a metà febbraio. Krugman è un grande economista, un premio Nobel; ma come commentatore politico non sono convinto che abbia la stessa capacità di analisi. Non dimentichiamo che durante la campagna elettorale aveva detto che la Clinton sarebbe stata eletta presidente. Detto questo, bisogna aggiungere che certamente il pacchetto non è sufficiente; ma non lo è per il semplice motivo che la crisi ogni giorno si aggrava.
Anche la politica estera si è notevolmente complicata a causa del conflitto israelo-palestinese. Cosa deve fare Obama sul versante internazionale?
Obama sul Medio Oriente farà poco, perché c’è poco da fare. Manderà la Clinton a vedere, a sentire, ma si concentrerà su quelle che sono le sue priorità, in primis la crisi economica. Sperando che non scoppi qualche altra crisi che lo distragga.
Infine il fatidico problema dei primi 100 giorni, di cui si è tanto parlato, soprattutto per l’inevitabile paragone con Roosvelt che per primo usò questa espressione: cosa deve fare Obama subito a ridosso del suo insediamento?
Obama deve saper dare subito alla gente due impressioni: primo, che dopo un presidente che ha diviso il Paese, e che infatti è precipitato al 20% del gradimento, ora c’è invece un presidente che unifica il Paese; secondo, deve sapere dare fiducia in merito alla possibilità di uscire dalla crisi. I 100 giorni non sono il limite entro il quale deve trovare la soluzione giusta per risolvere la crisi, cosa ovviamente impossibile; è il limite entro il quale deve saper infondere fiducia negli americani in merito al fatto che da questa crisi si possa uscire.
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