Con questo blog desidero dare la possibilita' a tutti di leggere articoli ,commenti ,interventi che mi aiutano a guardare la realta', a saperla leggere ed essere aiutati a vivere ogni circostanza positivamente. Mounier diceva "la vita e' arcigna con chi le mette il muso" (lettere sul dolore). E' importante saper abbracciare la realta' tutta per poter vivere la giornata con letizia.
giovedì 29 gennaio 2009
LA BAMBINA CHE NON VOLLE UCCIDERE IL COMANDANTE
Liliana: la bambina che non volle uccidere
Nel racconto, - divenuto un libro - ‘Sopravvissuta ad Auschwitz’, (scritto con Emanuela Zuccalà, edizioni Paoline 2005) Liliana Segre rivive molti aspetti di quella drammatica esperienza. …fino alla liberazione….
Sopravvissuta a diverse selezioni, nel gennaio 1945 Liliana fa parte di quel corteo di fantasmi che i nazisti hanno fatto camminare di notte, di lager in lager, - la marcia della morte - nel patetico tentativo di nasconderli agli occhi del mondo… Liberata nel circondario di Ravensbrück il 1° maggio, quattro mesi dopo torna a Milano. Ma nulla sarà facile nemmeno qui: è durissima, dopo l’infezione, la convalescenza del corpo e dell’anima…
Colpisce davvero il modo pacato con cui Liliana riesce a parlare di argomenti così tremendi. Colpisce l’assenza di odio, l’amore per la vita, … la sua capacità di cogliere segni di speranza, bagliori di vita, anche nei luoghi in cui la morte si fa più assurda e selvaggia…
«Scelsi una piccola stella nel cielo, e mi identificai con lei. Io non ero ad Auschwitz: mi ero fusa con quella stellina e pensavo: io sono quella stellina. Finché brillerà nel cielo io non morirò, e finché resterò viva, lei continuerà a brillare».
Ma il momento in cui questa ragazzina attua davvero la sua resistenza al male è quando sceglie di non essere una bestia, ma una persona umana. È il momento in cui Liliana decide di dare un senso a quel numero 75.190 che le è stato tatuato, e che mai si cancellerà perché ormai è parte di lei.
«Il comandante dell’ultimo campo, crudele assassino, camminava vicino a me (…), si spogliò, rimase in mutande, si rivestì da civile. Tornava a casa dai suoi bambini e da sua moglie. Certamente non si accorgeva della mia presenza perché io ero ancora uno Stück, un pezzo. Quando buttò la pistola ai miei piedi, con tutto l’odio che avevo dentro di me e la violenza subita che mi invadeva il corpo, io pensai per un istante: ‘Adesso mi chino, prendo la pistola e, in questa confusione assoluta, lo ammazzo’. Mi ero nutrita a lungo solo di malvagità e di vendetta. Pensai che sparargli fosse l’azione giusta, nel momento giusto; il giusto finale di quella storia di cui ero stata protagonista e testimone. Ma fu un attimo. Un attimo importantissimo, definitivo nella mia vita, che mi fece capire (…) come, nella debolezza estrema che mi vinceva, la mia etica e l’amore che avevo ricevuto da bambina mi impedivano di diventare uguale a quell’uomo. Non avrei mai potuto raccogliere la pistola e sparare al comandante di Malchow. Io avevo sempre scelto la vita. Quando si fa questa scelta non si può togliere la vita a nessuno, e da allora fui libera».
(Giulia Galeotti, La bambina che non volle uccidere il comandante di Auschwitz, L’Osservatore Romano, 27 gennaio 2009)
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