venerdì 24 luglio 2009

CARO PD QUI CI VUOLE UN "VAFFA"A BEPPE E PURE A TONINO

di Giancarlo Pansa

E se mi venisse il ghiribizzo di iscrivermi al Partito democratico, con il proposito di diventarne il segretario? Non c’è dubbio: verrei respinto anch’io, come sta accadendo al comico Beppe Brillo. Un motivo per dirmi no lo scoverebbe di certo la parte del Pd che arriva dai Ds, ossia dal vecchio Pci. Ho scritto troppi libri revisionisti sulla guerra civile dove il Partitone Rosso veniva raccontato senza indulgenze. Dunque pollice verso al maledetto Pansa. Va bene la vocazione maggioritaria, però c’è un limite a tutto!

Ma in quell’ipotetico caso, il mio respingimento non farebbe clamore. Non sono famoso come Grillo. Non possiedo un blog da consultare ogni ora, neanche fosse il listino della Borsa. Non ho torme di seguaci. Non riempio le piazze di folle che irridono ai partiti. E soprattutto non ho un padrino potente come Antonio Di Pietro, proprietario del terzo partito italiano.

Grillo, invece, possiede tutto questo. Dunque fa paura a una fazione della Casta, quella dei Democratici. È per questa paura che il suo gesto beffardo non ha ricevuto dal Pd la risposta che si meritava. Provocando appena un balletto da azzeccagarbugli. Tutto sul filo dei richiami allo statuto del Pd, alle norme congressuali, alle date da rispettare e via cavillando.

La risposta giusta era un’altra: ributtare in faccia a Grillo una delle sue trovate più furibonde. Ricordate che cosa aveva inventato nell’anno 2007? Aveva ideato nientemeno che i Vaffaday. Ossia adunate di popolo all’insegna del vaffanculo nei confronti di quei partiti e di quelle persone che non piacevano al Barbuto Ridens. I quotidiani del tempo sono zeppi di cronache che narrano di piazze strapiene e di raccolte di firme. Con bollettini via via più trionfali. Siamo a quota duecentomila adesioni. No, a cinquecentomila. Stiamo per raggiungere il milione. Sempre grazie a San Beppe dei Rivoltosi.

Dunque Dario Franceschini doveva gridare un bel “vaffa” a Grillo. Ma anche al suo protettore, l’onnipotente Di Pietro. Dirlo all’uno e non all’altro non servirebbe a niente. Se non a testimoniare una verità: la debolezza nell’opporsi a Grillo viene dalla fiacchezza dei Democratici nel contrastare l’offensiva di Tonino. La conclusione è scontata: se non bastoni con durezza il capo dell’Italia dei valori, rifiutare la tessera a Grillo diventa un gesto privo di senso.

Non ho prove per sostenere che la mossa del comico genovese sia stata concordata con Di Pietro. Ma anche il più cieco dei cronisti politici vede il legame di ferro che esiste tra i due. Il sottoscritto l’ha visto da parecchio tempo. Già nel settembre del 2007, avevo citato uno slogan dipietrista che rivelava l’inghippo megalomane tra i due. Tonino si era spinto ad affermare che Grillo e il movimento dei Vaffa erano niente meno che «la Fase due di Mani Pulite».

Diciamo tutti, sia pure con parole diverse, che il problema del Pd è darsi un’identità. Ma alla base di qualunque profilo identitario c’è la difesa della propria casa, e dunque del proprio partito. La difesa contro chi vuole sottrargli militanti ed elettori. Per renderlo debole e confuso. E infine per distruggerlo. È un piano di guerra vecchio quanto il mondo. Ti attacco, ti invado e mi prendo quello che hai, in base al diritto barbaro dei vincitori.

In questa fase politica, l’aggressore del Pd, il nemico più pericoloso, non sta nel centrodestra, bensì sul suo fianco estremista, oggi coperto da Di Pietro dopo la scomparsa delle sinistre radicali. Per questo è assurdo che i Democratici insistano a considerarlo un alleato, appena un po’ balzano. I capi del Pd devono chiuderla questa alleanza, dichiararla finita per sempre. Perché fanno i gentiluomini, mentre dovrebbero applicare la norma resa famosa da un socialista con le palle, Sandro Pertini?

Pertini ripeteva: a brigante, brigante e mezzo. Voleva dire: se non vuoi farti accoppare da un avversario politico, devi essere più furbo di lui, più duro di lui, più cinico di lui. È suicida comportarsi da gentiluomini di campagna quando sul tuo confine si presentano dei tipacci pronti a impadronirsi del podere che hai costruito con fatica. Bisogna fermarli a tutti i costi, occorre sparargli a vista, per costringerli a rinunciare alle loro pretese.

Per questo mi piacerebbe sentire dai tre candidati segretari del Pd un bel “vaffa” gridato tanto a Grillo che a Di Pietro. Che cosa aspettano a farlo? E perché non lo fanno? Forse temono di perdere a vantaggio di Tonino un’altra fetta di elettori. Ma è un rischio che bisogna correre. Se non vogliono incappare in un pericolo assai più grande: veder sparire il poco che rimane di un bel sogno ancora non realizzato.
L’attuale segretario del Pd e i suoi competitori sanno bene che Di Pietro è un distruttore. E che il suo partito campa sulle disgrazie democratiche. Tonino ha sempre fatto così, anche quando era ministro delle Infrastrutture al tempo del governo di Romano Prodi. Sempre per restare all’autunno del 2007, rammento come si mosse nel giro di qualche settimana.

Con una raffica di interviste sui giornali e di comparsate televisive, presentò in successione le seguenti richieste. Primo: le dimissioni di Prodi. Secondo: quelle di Vincenzo Visco per la questione del comando della Guardia di finanza. Terzo: la messa al bando di Clemente Mastella, suo collega nel governo. Quarto: la fine dello stesso governo. Quinto: la nascita di un ministero Di Pietro-Grillo.

Cari amici del Pd, sostenete sempre, anche a sproposito, di essere gli eredi della Resistenza. Se è così, allora resistete a questa coppia di demagoghi distruttori. Abbiate un po’di orgoglio. Tiratevi su le brache. E mandate al diavolo tanto Grillo che Di Pietro. Poi gli canterete: «Brutti ciao, ciao, ciao!».

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