NUOVO DIARIO MESSAGGERO - Venerdì 16/10/2009
Giovanni Bucchi
Schietto, sincero, spesso brusco ma con una grandissima umanità. Chi ha conosciuto Enzo Piccinini spesso lo racconta così, con un po' di nostalgia nelle parole e un sorriso malcelato tra le labbra, quasi a voler dire “che grazia per me averlo incontrato”. Piccinini, nato in provincia di Reggio Emilia nel 1951 e scomparso dieci anni fa in un incidente stradale, è stato tra i responsabili del movimento di Comunione e Liberazione, in particolare ha guidato per molti anni la comunità degli universitari bolognesi. Medico chirurgo affermato, per scrivere una sua completa biografia servirebbero chissà quante pagine.
Un po' come ha fatto Emilio Bonicelli, giornalista, che ha dato alle stampe un libro, “Enzo Un'avventura di amicizia”, .che sarà presentato venerdì 23 ottobre alle 21 nell'aula magna del Liceo scientifico “Ricci Curbastro” (organizza Medicina e Persona) da persone che hanno conosciuto Piccinini da vicino: Gianpaolo Ugolini, Domenico Pirozzi e Carlo Tellarini. Mentre Enzo Tellarini, medico e responsabile della comunità di Cl di Lugo, farà da moderatore e ha deciso di raccontare brevemente la sua amicizia con Piccinini.Innanzitutto, come e quando hai conosciuto Enzo Piccinini?
“Conoscevo Enzo da anni avendolo ascoltato in varie riunioni del Movimento di CL, ma l’ho incontrato personalmente la prima volta la sera dell’11 maggio del 1996, giorno del funerale di Novella Scardovi, quando cenammo insieme con quelli che allora facevano parte del Consiglio direttivo della Casa d’accoglienza San Giuseppe e Santa Rita. Poi in quella estate ci siamo incontrati alcune volte ed è iniziata un’amicizia che si è fatta sempre più vera ed intensa”.
Chi è stato per te Enzo? Che cosa ti ha affascinato di lui e perché valeva la pena seguirlo?
“Enzo era quel tipo di uomo che forse vorremmo essere tutti. La sua umanità era prorompente, in lui tutto l’umano era reso vero e limpido dalla grande lealtà con la quale stava davanti a se stesso e davanti alla realtà. Era un uomo con i pregi e i difetti di tutti, con le passioni e gli slanci di tutti che l’incontro con Cristo, attraverso l’esperienza di Cl, aveva esaltato all’ennesima potenza. Quello che era ‘unico' in lui era la passione umana con la quale viveva tutto senza nascondersi dietro una maschera, ma rischiando quello che lui era, col suo temperamento e le sue debolezze. Questo è l’aspetto che più mi ha colpito in lui fin dal primo incontro. Vivere così era una sfida continua alla mia umanità e libertà, a me stesso”.
Nel libro di Bonicelli lo hai ritrovato descritto così?
“Il libro di Bonicelli non è un libro ‘su' Enzo, ma il racconto - attraverso le testimonianze di chi l’ha conosciuto - di una vita, così come chi lo ha incontrato l’ha vissuta e percepita. Per questo il libro è interessante anche per chi non ha avuto la grazia di conoscere Enzo, perché è la possibilità di incontrare la testimonianza di un uomo vero col quale potersi paragonare ancora oggi”.
Com'era Enzo sul lavoro? Per te è stato un maestro anche nella professione di medico?
“Non ho avuto occasione di lavorare con lui e quindi non sono in grado di descrivere il suo modo di lavorare, mentre all’incontro di venerdì ci sarà chi darà testimonianza di questo aspetto della vita di Enzo. Nelle nostre chiacchierate si parlava comunque di tutto, perché a tema c’era la vita intera, e perciò si parlava anche del lavoro, non tanto di aspetti tecnici, quanto di come ciascuno di noi lo affrontava, i problemi che nascevano, le speranze, i tentativi…”.
Spesso Enzo, anche come emerge dal libro, aveva dei modi un po' bruschi e molto diretti con i quali trattava le persone. Questo ti ha mai creato problemi? O forse era proprio il fatto che lui non censurasse nulla della sua umanità ad affascinare tanti giovani?
“Sul carattere di Enzo, o meglio su quel che si racconta del suo carattere (una specie di leggenda), si potrebbe scrivere un libro. Enzo era un uomo che l’incontro con Cristo aveva reso certo del proprio compito, della propria vocazione e soprattutto certo di essere fatto da un Altro ora, nell’istante. Questo lo rendeva instancabile costruttore della Gloria di Dio tra gli uomini. E questo lo faceva partecipando con tutto se stesso, con la propria umanità e il proprio temperamento, con l’aggressività - non verso la persona, ma verso la realtà - di un vero combattente. Era un uomo che non voleva perdere tempo e non lo voleva far perdere nemmeno ai suoi amici, per questo spesso era brusco, diretto, sfidava continuamente, sollecitava in modo deciso, a volte rude. Ho avuto con lui discussioni con toni anche rudi - come si conviene tra amici veri, tesi alla scoperta della verità - ma mai litigato, mai offesi. Ma di Enzo ricordo soprattutto gesti di grande tenerezza, piccole attenzioni e soprattutto la cosa che mi porterò sempre dentro il cuore e la mente è la sua stima e il suo amore per la mia libertà, come nemmeno io ero capace di avere verso me stesso”.
Come sei venuto a sapere della sua morte? E oggi, dieci anni dopo, quali sono i segni e le ereditò lasciate dal carisma di Piccinini?
“Ho saputo della sua morte dalla telefonata di un amico. E’ stato un grande dolore e la prima percezione è stata quella di qualcosa che resta incompiuto, in sospeso. Pochi giorni prima ci eravamo visti a Ferrara, al termine di una testimonianza che lui aveva fatto su invito del cardinale Cafarra, e ci eravamo lasciati dicendoci: ‘vediamoci presto'. Ma subito dopo è stata la certezza, come quando è morta Novella, che per lui tutto si era compiuto: che Quello per cui aveva dato la vita ora lo teneva tra le sue braccia. Questo non toglie né diminuisce il dolore, ma rende più certi che vale la pena spendere la vita come ha fatto Enzo per la Gloria di Cristo. Oggi dopo dieci anni non viene meno la sensazione della sua mancanza, ma è più evidente e chiaro il valore dell’amore a Cristo che ci ha testimoniato”.
gi.buc.
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