sabato 10 ottobre 2009

NEL SILENZIO UNA PAROLA CHE SALVA

....Lui sorride: «“In interiore homine habitat Deus”, ha detto Agostino».
Ma, come si scava, con quali trivelle, come si arriva all’acqua del pozzo?, insisti. Borgna: «La preghiera, in cosa consiste se non in parole riempite di silenzio, che ci immettono in un dialogo infinito?». Il pozzo è in noi, colmo di acqua sorgiva. Ma «bisogna sapere ascoltare le parole della grazia – aggiunge il professore – perché tutto è grazia infine, come diceva Bernanos».
E, insisti ancora, capendo e non capendo: la gioia, quella gioia inesplicabile di cui parla Etty Hillesum nel lager, incalzata dalla morte eppure felice di «uno spicchio di cielo», quella cos’è, che roba è? «Quella gioia, è speranza già in atto. La speranza è qualcosa che ancora non c’è, pure già illuminando il futuro. La gioia di Etty Hillesum nel lager è invece speranza incarnata»......
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Corradi:
Lo psichiatra Eugenio Borgna cita, come maestra di silenzio, Etty Hillesum, la ragazza ebrea morta ad Auschwitz che osò scrivere, dal lager in cui attendeva la morte: «Eppure la vita è straordinariamente buona»TEMPI 07 Ottobre 2009
di Marina Corradi



Il professore ha lo studio nel centro di Novara. In una grande casa ottocentesca, dalle silenziose scale. Su un terrazzino le foglie di un pergolato di glicine cominciano a imbrunirsi. Dentro, le stanze di una austera casa borghese. Tappeti, libri, pendole che sembrano messi lì da un tempo indefinito, e destinati a restare così per sempre.
Il professore è alto e magro, i capelli grigi, le mani lunghe e pazienti immobili sulla scrivania. Ti incute sempre una sottile soggezione, con quei suoi occhi profondi che sembrano capire molto più di quanto tu non voglia dire. Ma ti proteggi con lo scudo professionale del giornalista – che è qui solo per domandare per gli altri. «Le emozioni ferite», è l’ultimo saggio dello psichiatra Eugenio Borgna, edito da Feltrinelli. Emozioni, scrive Borgna, che sono «anche portatrici di conoscenza: di una conoscenza che ci trascina nel cuore di esperienze di vita irraggiungibili dalla conoscenza razionale». Emozioni cui bisogna saper dare voce. Ma le parole, le nostre quotidiane parole possono essere «soglie pietrificate» o «scialuppe che salvano». E quando, domandi tu, le parole salvano?
La parola che salva, spiega pacatamente Borgna, «è solo quella che tende all’altro». (Che obbedisce, dunque, alla ontologia dell’uomo: fino dal primo vagito teso a un rapporto, domanda di un volto che ci ami. Come nel folgorante verso di Hölderlin: «Noi siamo un colloquio»). La parola che salva, continua il professore, può essere anche dentro a un silenzio. (Il registratore gira, la casa attorno è muta come i corridoi di un convento). Borgna cita, come maestra di silenzio, Etty Hillesum, la ragazza ebrea morta ad Auschwitz che osò scrivere, dal lager in cui attendeva la morte: «Eppure la vita è straordinariamente buona».
Etty Hillesum, che diceva nel suo Diario di un pozzo molto profondo dentro di lei, a cui poteva attingere acqua sorgiva; ma il pozzo spesso era coperto «da sabbia e sassi, e allora bisogna di nuovo che lo dissotterri». Domandi al professore di questo pozzo. Lui sorride: «“In interiore homine habitat Deus”, ha detto Agostino».
Ma, come si scava, con quali trivelle, come si arriva all’acqua del pozzo?, insisti. Borgna: «La preghiera, in cosa consiste se non in parole riempite di silenzio, che ci immettono in un dialogo infinito?». Il pozzo è in noi, colmo di acqua sorgiva. Ma «bisogna sapere ascoltare le parole della grazia – aggiunge il professore – perché tutto è grazia infine, come diceva Bernanos».
E, insisti ancora, capendo e non capendo: la gioia, quella gioia inesplicabile di cui parla Etty Hillesum nel lager, incalzata dalla morte eppure felice di «uno spicchio di cielo», quella cos’è, che roba è? «Quella gioia, è speranza già in atto. La speranza è qualcosa che ancora non c’è, pure già illuminando il futuro. La gioia di Etty Hillesum nel lager è invece speranza incarnata».
Spegni il registratore, saluti, vai. Assorta. Come se ti fosse stato detto un segreto che non afferri del tutto. La «speranza incarnata», non è Cristo? Ma capire davvero è solo poi grazia, come diceva Bernanos.

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