lunedì 26 ottobre 2009

DON CARLO GNOCCHI BEATO

Comprese che la luce capace di dar senso al dolore innocente dei bambini viene dal mistero della Croce. Ogni mutilatino era per lui "una piccola reliquia della redenzione cristiana e un segnale che anticipa la gloria pasquale".

.......È proprio in questa tragica esperienza che, assistendo gli alpini feriti e morenti e raccogliendone le ultime volontà, matura in lui l'idea di realizzare una grande opera di carità che troverà compimento, dopo la guerra, nella Fondazione Pro Juventute.
Ritornato in Italia nel 1943, don Carlo inizia il suo pietoso pellegrinaggio, attraverso le vallate alpine, alla ricerca dei familiari dei caduti per dare loro un conforto morale e materiale.....


Un prete che, nel mezzo delle macerie fisiche e spirituali lasciate dalla seconda guerra mondiale, non temeva di proclamare che "ogni restaurazione della persona umana, che non voglia essere parziale, effimera o dannosa, come quelle finora attuate dalla civiltà, non può essere che la restaurazione della persona di Cristo in ogni uomo".

Un uomo innamorato dell’uomo

E’ una vita, quella di don Carlo Gnocchi, sempre di corsa, che fosse in treno o con la sua Topolino o con il mitico Galletto, all’insegna dell’incontro con l’altro uomo, dell’amore a tutto l’uomo, la cui piena verità è la croce di Cristo. Quella croce che don Carlo ha voluto abbracciare fin dentro la tragedia della guerra, avendo scelto lui stesso di lasciare il suo incarico di assistente al liceo Gonzaga per condividere la tragedia della guerra, fino all’apocalisse della ritirata di Russia, dove egli vide in faccia la morte di centinaia dei suoi alpini e perfino la sua propria morte, dalla quale fu salvato per miracolo: un amico lo riconobbe, ormai abbandonato nel ghiaccio, e lo risollevò dal destino collettivo già incontrato da molti, di uno sfinimento per fame e gelo. Cristo tra gli alpini è il libro in cui don Carlo ha raccolto le sue memorie di quell’immane tragedia, che è anche all’origine della sua particolare, impressionante vocazione di carità.


all'interno trovate un po' di stpria di don Carlo Gnocchi
Biografia di don Carlo Gnocchi



L'infanzia
Carlo Gnocchi, terzogenito di Enrico Gnocchi, marmista, e Clementina Pasta, sarta, nasce a San Colombano al Lambro, presso Lodi, il 25 ottobre 1902. Rimasto orfano del padre all'età di cinque anni, si trasferisce a Milano con la madre e i due fratelli, Mario e Andrea, che di lì a poco moriranno di tubercolosi. Seminarista alla scuola del cardinale Andrea Ferrari, nel 1925 viene ordinato sacerdote dall'Arcivescovo di Milano, Eugenio Tosi. Celebrerà la sua prima Messa il 6 giugno a Montesiro, il paesino della Brianza dove viveva la zia, dove tornava spesso nei periodi di vacanza e dove, fin da piccolo, aveva trascorso lunghi periodi di convalescenza, lui di salute così cagionevole (per saperne di più)
Assistente ed educatore
Il primo impegno apostolico del giovane don Carlo è quello di assistente d’oratorio: prima a Cernusco sul Naviglio, poi, dopo solo un anno, nella popolosa parrocchia di San Pietro in Sala, a Milano. Raccoglie stima, consensi e affetto tra la gente tanto che la fama delle sue doti di ottimo educatore giunge fino in Arcivescovado: nel 1936 il Cardinale Ildefonso Schuster lo nomina direttore spirituale di una delle scuole più prestigiose di Milano: l'Istituto Gonzaga dei Fratelli delle Scuole Cristiane. In questo periodo studia intensamente e scrive brevi saggi di pedagogia. (per saperne di più)
La guerra
Sul finire degli anni Trenta, sempre il Cardinale Schuster gli affida l'incarico dell'assistenza spirituale degli universitari della Seconda Legione di Milano, comprendente in buona parte studenti dell'Università Cattolica e molti ex allievi del Gonzaga. Nel 1940 l'Italia entra in guerra e molti giovani studenti vengono chiamati al fronte. Don Carlo, coerente alla tensione educativa che lo vuole sempre presente con i suoi giovani anche nel pericolo, si arruola come cappellano volontario nel battaglione "Val Tagliamento" degli alpini, destinazione il fronte greco albanese. (per saperne di più)
La campagna di Russia
Terminata la campagna nei Balcani, dopo un breve intervallo a Milano, nel ‘42 don Carlo riparte per il fronte, questa volta in Russia, con gli alpini della Tridentina. Nel gennaio del ‘43 inizia la drammatica ritirata del contingente italiano: don Carlo, caduto stremato ai margini della pista dove passava la fiumana dei soldati, viene miracolosamente raccolto su una slitta e salvato. È proprio in questa tragica esperienza che, assistendo gli alpini feriti e morenti e raccogliendone le ultime volontà, matura in lui l'idea di realizzare una grande opera di carità che troverà compimento, dopo la guerra, nella Fondazione Pro Juventute.
Ritornato in Italia nel 1943, don Carlo inizia il suo pietoso pellegrinaggio, attraverso le vallate alpine, alla ricerca dei familiari dei caduti per dare loro un conforto morale e materiale.

In questo stesso periodo aiuta molti partigiani e politici a fuggire in Svizzera, rischiando in prima persona la vita: lui stesso viene arrestato dalle SS con la grave accusa di spionaggio e di attività contro il regime. (per saperne di più)
Gli orfani e i mutilatini
A partire dal 1945 comincia a prendere forma concreta quel progetto di aiuto ai sofferenti appena abbozzato negli anni della guerra: viene nominato direttore dell'Istituto Grandi Invalidi di Arosio e accoglie i primi orfani di guerra e i bambini mutilati. Inizia così l'opera che lo porterà a guadagnare sul campo il titolo più meritorio di "padre dei mutilatini".
Ben presto la struttura di Arosio si rivelerà insufficiente ad accogliere i piccoli ospiti le cui richieste di ammissione arrivano da tutta Italia; ma, quando la necessità si fa impellente, ecco intervenire la Provvidenza. Nel 1947, gli viene concessa in affitto, a una cifra simbolica, una grande casa a Cassano Magnago, nel varesotto. (per saperne di più)
La Pro Infanzia Mutilata
Nel 1949 l'Opera di don Gnocchi ottiene un primo riconoscimento ufficiale: la "Federazione Pro Infanzia Mutilata", da lui fondata l'anno prima per meglio coordinare gli interventi assistenziali nei confronti delle piccole vittime della guerra, viene riconosciuta ufficialmente con Decreto del Presidente della Repubblica.
Nello stesso anno, il Capo del Governo, Alcide De Gasperi, promuove don Carlo consulente della Presidenza del Consiglio per il problema dei mutilatini di guerra. Da questo momento uno dopo l'altro, aprono nuovi collegi: Parma (1949), Pessano (1949), Torino (1950), Inverigo (1950), Roma (1950), Salerno (1950), Pozzolatico (1951).
(per saperne di più)
La Fondazione Pro Juventute
Nel 1951 la Federazione Pro Infanzia Mutilata viene sciolta e tutti i beni e le attività vengono attribuiti al nuovo soggetto giuridico creato da don Gnocchi: la Fondazione Pro Juventute, riconosciuta con Decreto del Presidente della Repubblica l'11 febbraio 1952.
Nel 1955 don Carlo lancia la sua ultima grande sfida: si tratta di costruire un moderno Centro che costituisca la sintesi della sua metodologia riabilitativa. Nel settembre dello stesso anno, alla presenza del Capo dello Stato, Giovanni Gronchi, viene posata la prima pietra della nuova struttura, nei pressi dello stadio di San Siro, a Milano.
(per saperne di più)
L’addio a un "santo"
Don Carlo, minato da una malattia incurabile, non riuscirà a vedere completata l'opera nella quale aveva investito le maggiori energie: il 28 febbraio 1956, la morte lo raggiungerà prematuramente presso la Columbus, una clinica di Milano dove era da tempo ricoverato per una grave forma di tumore.
I funerali furono grandiosi per partecipazione e commozione: quattro alpini a sorreggere la bara, altri a portare sulle spalle i piccoli mutilatini in lacrime.
Poi la commozione degli amici e conoscenti, centomila persone a gremire il Duomo e la piazza e l’intera città di Milano listata a lutto. Così il 1° marzo ’56 l’arcivescovo Montini – poi Papa Paolo VI – celebrava i funerali di don Carlo.
Tutti i testimoni ricordano che correva per la cattedrale una specie di parola d’ordine: “Era un santo, è morto un santo”. Durante il rito, fu portato al microfono un bambino.
Disse: “Prima ti dicevo: ciao don Carlo. Adesso ti dico: ciao, san Carlo”. Ci fu un’ovazione. (per saperne di più)
L’ultimo dono
L'ultimo suo gesto profetico è la donazione delle cornee a due ragazzi non vedenti - Silvio Colagrande e Amabile Battistello - quando in Italia il trapianto di organi non era ancora disciplinato da apposite leggi. Il doppio intervento, eseguito dal prof. Cesare Galeazzi, riuscì perfettamente. La generosità di don Carlo anche in punto di morte e l'enorme impatto che il trapianto ebbe sull'opinione pubblica impressero un'accelerazione decisiva al dibattito. Tant'è che nel giro di poche settimane venne varata una legge ad hoc.
(per saperne di più)
La causa di beatificazione
Don Carlo Gnocchi diventerà ufficialmente beato il 25 ottobre 2009 nel corso di una solenne cerimonia che si terrà in piazza Duomo a Milano, a seguito dell’annuncio con cui il Papa Benedetto XVI ha autorizzato nel gennaio 2009 la pubblicazione del decreto che attribuisce all’intercessione di don Gnocchi il miracolo che ha visto protagonista, il 17 agosto 1979, un alpino elettricista di Villa d’Adda (Bg) incredibilmente sopravvissuto a una mortale scarica elettrica. La cerimonia di beatificazione porterà a compimento il processo di canonizzazione avviato nell’86 dal cardinale Carlo Maria Martini e svoltosi in oltre vent’anni grazie all’impegno della diocesi di Milano, della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi e della Fondazione Don Gnocchi, che ha portato tra l’altro al riconoscimento dell’eroicità delle virtù di don Gnocchi, quando, il 20 dicembre 2002, Papa Giovanni Paolo II lo ha proclamato venerabile.
La causa di beatificazione
A trent'anni dalla morte di don Carlo Gnocchi (28 febbraio 1956), il Cardinale Carlo Maria Martini ha avviato la causa di canonizzazione e Fratel Leone Luigi Morelli è stato nominato Postulatore della stessa causa di canonizzazione.
La causa dispone di un unico “Processo sulla vita, virtù e fama di santità”, celebrato nella Diocesi di Milano dal 6 maggio 1987 al 23 febbraio 1991, nell'arco di 199 sessioni per la deposizione di 178 testi e la raccolta di una copiosa documentazione.
Tale materiale istruttorio, distribuito nei quindici volumi della copia pubblica (per un totale di 4.321 pagine) è stato poi presentato alla Congregazione per le Cause dei Santi, allo scopo di verificare la validità procedurale del Processo.
Con il decreto sulla validità, rilasciato il 26 ottobre 1993 dalla Congregazione, ha preso avvio lo studio per la preparazione della “Positio”.
La “Positio” è il volume che raccoglie tutte le testimonianze e tutti i documenti contenuti nella copia pubblica e si divide in due parti: il “Summarium”, che riporta tutti gli interrogatori e le testimonianze, e la “Informatio”, che mette in risalto come il candidato alla santità abbia osservato in grado eroico le virtù teologali, cardinali e le altre virtù, sia verso Dio che verso il prossimo.
Un relatore assegnato dalla Congregazione ha poi il compito di preparare una presentazione a tutto il volume che viene poi esaminato dalla Commissione dei Teologi per un ulteriore giudizio. Una volta acquisito il positivo giudizio della Commissione dei Teologi, deve essere giudicato e approvato da una Commissione di Cardinali: solo dopo questi pareri, la Congregazione per le Cause dei Santi prepara il decreto sull'eroicità delle virtù che viene letto dinnanzi al Papa. Con la lettura di tale decreto, al Servo di Dio viene dato il titolo di venerabile.
Il 20 dicembre 2002 il Papa ha dichiarato don Gnocchi venerabile, riconoscendone l’eroicità delle virtù.
Nel 2003, alla morte di Fratel Morelli, nuovo postulatore della causa è stato nominato Fratel Rodolfo Cosimo Meoli.
Per la beatificazione, la Chiesa richiede una Grazia che, attraverso un processo, deve essere riconosciuta miracolosa. Tra i mesi di ottobre e dicembre del 2004, a Milano si è svolta la sessione straordinaria del processo di beatificazione di don Gnocchi per l’analisi di un presunto evento miracoloso.
Tutto il carteggio è stato analizzato dalla Congregazione per le Cause dei Santi, in Vaticano e agli inizi del 2009 ha portato alla notizia tanto attesa: Papa Benedetto XVI ha infatti autorizzato il 17 gennaio 2009 la pubblicazione del decreto che attribuisce all’intercessione di don Gnocchi il miracolo che ha visto protagonista, il 17 agosto 1979, un alpino elettricista di Villa d’Adda (Bg) incredibilmente sopravvissuto a una mortale scarica elettrica. Per effetto di questo annuncio, don Carlo Gnocchi diventerà ufficialmente beato il 25 ottobre 2009 nel corso di una solenne cerimonia che si terrà in piazza Duomo a Milano.
Un altro miracolo viene invece chiesto per la Canonizzazione.
Chi ricevesse favori per l'intercessione del Servo di Dio don Carlo Gnocchi è pregato di darne urgente comunicazione alla Fondazione Don Carlo Gnocchi.
La "Petitio" dei Vescovi lombardi
I Vescovi lombardi e l'Arcivescovo di Salerno hanno rivolto una richiesta al Papa, nella primavera del '98, per accelerare il processo di beatificazione di don Carlo Gnocchi. Ecco uno stralcio della supplica firmata dai Vescovi della Conferenza Episcopale Lombarda e da monsignor Pierro.
Beatissimo Padre,
noi, Vescovi della Regione Ecclesiale di Lombardia, ci rivolgiamo a Lei, dopo aver appreso che il Rev.mo Padre Ambrogio Eszer, O.P., Relatore Generale presso la Congregazione delle Cause dei Santi, lo scorso 9 novembre 1997 ha approvato la "Positio super vita et virtutibus et fama sanctitatis" del Servo di Dio don Carlo Gnocchi, sacerdote della diocesi ambrosiana e fondatore della Federazione Pro Infanzia Mutilata, divenuta ora la Fondazione Pro Juventute, istituto che si dedica alla riabilitazione e alla integrazione sociale dei portatori di diverse forme di handicap, dei piccoli soprattutto, sulla scia del suo fondatore, persuaso che "sanare il dolore non è soltanto un'opera di filantropia, ma è un'opera che appartiene strettamente alla redenzione di Cristo".(…)
Don Carlo Gnocchi può essere di esempio e di stimolo, alla nostra e alle prossime generazioni, del primato della carità, del dono di sé, senza risparmio di energie e neppure della propria vita, neppure del proprio corpo, perché l'amore di Cristo tutto lo pervadeva. (…)
Un prete che, nel mezzo delle macerie fisiche e spirituali lasciate dalla seconda guerra mondiale, non temeva di proclamare che "ogni restaurazione della persona umana, che non voglia essere parziale, effimera o dannosa, come quelle finora attuate dalla civiltà, non può essere che la restaurazione della persona di Cristo in ogni uomo".

Un prete che, raccogliendo il lamento morente dei giovani soldati, che aveva voluto accompagnare nel fango delle trincee e nel gelo delle steppe della Russia, contemplava: "I suoi occhi erano colmi di dolore e di pietà, come di bimbo che si addormenta a poco a poco. Non altrimenti dovette guardare Gesù dall'alto della sua croce".
Un prete che, di fronte a questo muto dolore, che avrebbe rivisto poi negli occhi di tanti fanciulli innocenti, dilaniati da un residuato bellico, rifletteva quanto fosse urgente "riscoprire i segni caratteristici del Cristo sotto la maschera essenziale e profonda di ogni uomo percosso e denudato dal dolore". (…)
Per tutti questi motivi, sinteticamente qui esposti, vorremo pregarLa, Beatissimo Padre, di intercedere perché la Positio, finalmente presentata, sia sollecitamente proposta al votum dei Reverendissimi Consultori Teologi e degli Eminentissimi Cardinali, così da affrettare - per quanto sarà possibile - il momento in cui le nostre comunità potranno venerare il Servo di Dio don Carlo Gnocchi, sacerdote ambrosiano, quale Beato della Chiesa e affidare alla sua intercessione le loro preghiere e i loro desideri.
Preghiera per la canonizzazione di don Gnocchi
Signore Iddio,
che sei glorificato nei Tuoi Santi,
concedi che possa risplendere nella Tua Chiesa
la luce eroica delle virtù del Tuo Servo
don Carlo Gnocchi,
il quale, sulle orme di Cristo Maestro e Sacerdote,
Ti ha amato e servito nei "piccoli",
nel servizio educativo e pastorale,
nella dedizione al "dolore innocente"
degli orfani, dei mutilatini, dei vulnerati
nel corpo e nello spirito.
Per i suoi meriti e per la Sua intercessione
concedi la grazia (…)
che con fiducia Ti chiediamo.
Per Cristo nostro signore.
L'ardimento. Racconto della vita di don Gnocchi
di Stefano Zurlo
ed. Rizzoli BUR, 2006
Don Carlo Gnocchi: nell’accoglienza, l’incontro con Cristo crocifisso
                                     
Durante la campagna di Russia don Carlo Gnocchi abbracciava i moribondi per accompagnarli all’estremo passo. Era il suo modo di incarnare il proprio compito di cappellano militare. Poi caricava la sua bisaccia di lettere, di foto e di ricordi degli alpini lasciati nella neve ghiacciata, impegnandosi a consegnarli alle famiglie. Ma un giorno un alpino che moriva gli fece una richiesta molto più impegnativa: «Il mio bambino lo raccomando a lei, signor cappellano». Fu come un brivido. Don Carlo si assunse questa responsabilità, fino in fondo: «Stai tranquillo, ci penserò io». Qui, nei meno cinquanta gradi della terra di Russia, prima della tragica battaglia di Nikolajevka da cui ben pochi dei nostri alpini riuscirono ad uscire vivi dall’accerchiamento russo, maturò la vocazione di carità di don Carlo Gnocchi.
                                  
Un uomo innamorato dell’uomo

E’ una vita, quella di don Carlo Gnocchi, sempre di corsa, che fosse in treno o con la sua Topolino o con il mitico Galletto, all’insegna dell’incontro con l’altro uomo, dell’amore a tutto l’uomo, la cui piena verità è la croce di Cristo. Quella croce che don Carlo ha voluto abbracciare fin dentro la tragedia della guerra, avendo scelto lui stesso di lasciare il suo incarico di assistente al liceo Gonzaga per condividere la tragedia della guerra, fino all’apocalisse della ritirata di Russia, dove egli vide in faccia la morte di centinaia dei suoi alpini e perfino la sua propria morte, dalla quale fu salvato per miracolo: un amico lo riconobbe, ormai abbandonato nel ghiaccio, e lo risollevò dal destino collettivo già incontrato da molti, di uno sfinimento per fame e gelo. Cristo tra gli alpini è il libro in cui don Carlo ha raccolto le sue memorie di quell’immane tragedia, che è anche all’origine della sua particolare, impressionante vocazione di carità.

                            
Una vita all’incrocio di tante storie
                         
In questo bel libro di Stefano Zurlo troviamo intrecciate molteplici storie: la storia di un uomo verso la santità, fiorito dentro la Chiesa ambrosiana, coi suoi uomini e le sue opere: l’Istituto salesiano sant’Ambrogio, dove aveva studiato al liceo, Don Orione e i suoi piccoli disabili, il liceo Gonzaga e i Fratelli delle scuole cristiane, padre Gemelli e l’Università Cattolica, il cardinal Schuster, il cardinal Montini. E il popolo di Milano, che intorno a queste personalità ha costruito fatti di carità; c’è anche un pezzo di storia della medicina, coi suoi progressi verso un’attenzione totale alla persona del malato: la nascita dei primi centri di riabilitazione motoria e di fisioterapia nell’Italia degli Anni ‘50-60, e la prima esperienza – allora illegale – di trapianto delle cornee in Italia: erano quelle di don Gnocchi, prelevate nel 1956 e trasferite su due ragazzi, uno dei quali indicato dallo stesso don Gnocchi prima di morire. L’anno dopo sarà varata la legge italiana sulla donazione degli organi, dopo che anche Pio XII avrà legittimato sostenuto i trapianti sotto il profilo dell’etica cristiana.
                                       
«Tutta la guerra negli occhi di questi bimbi»
                                  
Ma innanzitutto la grande storia: il fascismo con la sua ideologia totalitaria, la tragedia della guerra, di cui la ritirata di Russia è uno degli emblemi più tragici, e il primo dopoguerra, quando un’Italia che rinasceva stentava a riconoscere il debito contratto con le vittime più indifese del suo passato: gli orfani e i mutilati di guerra, quando ancora per molti anni gli ordigni disseminati sul terreno continuavaono ad esplodere tra le mani di bambini ignari - 15.000 in Italia i bambini devastati nel corpo - ; i mulattini, figli di nessuno, lasciati come “dono” dall’esercito di liberazione alleato: “E’ nata ‘na criatura, è nata nira…”, si cantava nel dopoguerra a Napoli sulla musica della Tamburriata nera; infine anche le nuove emergenze, aggravate dai ritardi della politica sanitaria italiana di allora: nel ‘57 i casi di poliomielite erano 4000, nel ‘58 raddoppiarono. Solo nel 1966 il vaccino Sabin, già da tempo collaudato, divenne obbligatorio in italia.
                                    
Una vocazione educativa
                                                      
La passione educativa di Don Gnocchi lo porta a non tirarsi mai indietro dalle provocazioni e dalle contraddizioni della storia. Come quando, divenuto nel 1928 cappellano dell’Opera Nazionale Balilla, si illude di poter piegare il pensiero di Mussolini ai principi del cristianesimo. Ma la passione per la persona umana non viene mai meno, come quando prende posizione in difesa della libertà di coscienza di chi non desidera partecipare alla messa. Senza libertà, egli sosteneva, non c’è neppure religione (pag. 94).
Dopo il rientro dalla Russia, don Gnocchi prese contatto con un gruppo della Resistenza cattolica operante a Milano, che si prodigava tra l’altro per ottenere documenti di espatrio per gli antifascisti e per gli ebrei. Dopo la liberazione, don Gnocchi chiederà a questi stessi amici di salvare i fascisti che erano a rischio della loro vita. Prese poi contatto con padre Gemelli ed entroò come assistente nell’Università Cattolica, ma a Gemelli don Gnocchi appariva troppo poco dedito al suo compito, mentre a questi il fondatore della Cattolica appariva lontano dal suo ideale educativo: «Lui, Gemelli, intendeva l’educazione come mettere dentro qualcosa, io la intendevo come estrarre qualcosa». Sarà così costretto a dover scegliere tra la Cattolica e i crescenti impegni che gli stava chiedendo la sua opera per i mutilatini, insediatasi nel 1946 ad Arosio, in Brianza, in una villa ricevuta in donazione.
Un dato appare singolare: don Gnocchi non ebbe in mente a priori la fondazione di un’opera e non fondò un proprio ordine religioso: egli sentì fortemente la vocazione a dedicarsi alle piccole vittime della guerra e l’opera gli crebbe tra le mani al di là di ogni immaginazione, mentre la sua frenetica attività lo risucchiava quasi controvoglia dentro a questa che all’inizio era solo una tra le tante attività di don Gnocchi. Anzi, egli implorò padre Gemelli di poter a contatto con i giovani universitari, perché il suo impegno con la casa di Arosio gli appariva all’inizio ben poco rispondente ad una vocazione strettamente educativa: doveva amministrare, più che educare.
                                   
La bellezza: strada per un’educazione integrale della persona
                                       
La storia della sua opera smentirà questa sua impressione di lontananza dall’ideale educativo, grazie anche alla concezione integrale della persona che don Carlo aveva già ben chiara ai tempi del Gonzaga. “Perché – si chiede don Carlo – rinunciare a gustare un brano di Bach o di Beethoven?” E “un canto di Dante o di Leopardi?”» (pag. 39). Don Gnocchi ama il teatro, la montagna, il mare. Ama la vita. Questo sentimento del bello diventa guida e criterio per il recupero e l’educazione dei suoi piccoli mutilati, che hanno diritto a crescere secondo l’integralità dei fattori umani non meno di quanto non ne abbiano i ragazzi della borghesia milanese del Gonzaga. Don Carlo porterà i suoi ragazzi in giro per l’Italia, li avvierà ad ogni tipo di sport, con la creatività dei santi che non conosce limiti: per i ciechi il pallone sarà ricoperto di latta, i bambini senza mani giocheranno a ping-pong, ma soprattutto, ecco la grande intuizione pedagogica: essi hanno diritto a scuole capaci davvero di accrescere le loro risorse e di preparare il loro futuro: diverse nella struttura, perché i ragazzi sono eguali per diritto: «I mutilatini sono diventati adulti – scriverà nel 1947 – così da aver bisogno di rieducazione professionale; e questa non può non essere differenziata e proporzionata alle residue facoltà lavorative degli stessi» (pag. 95). Quanto parcheggio invece, senza prospettive, sembra esserci ancora oggi, in nome di un’astratta quanto impotente e perfino discriminante “uguaglianza”, in tante nostre scuole che hanno fatto sì il grande passo dell’integrazione, ma senza strumenti adeguati e senza progettazione di un futuro possibile!
Don Gnocchi ci insegna che la differenza non è motivo di scandalo, quando sia accompagnata dalla stima sacrale per l’eguale dignità di ogni persona. Una volta portò tre piccoli mutilati ad una cena in onore di Evita Peron: li tenne con sé al tavolo «con la stessa fede e la stessa coscienza scomoda con cui Emmanuel Mounier invitava a casa i grandi di Francia e schierava fra i commensali, addirittura a capotavola, la figlioletta Françoise, devastata da un’encefalite acuta» (pag. 161).
                                      
La scienza e la politica al servizio della carità
                                 
L’intuizione pedagogica di don Gnocchi era innovativa: egli prese coscienza che la sua strada della carità passava anche attraverso la scienza e le tecniche riabilitative più complesse. Iniziò così la stagione dei grandi convegni internazionali sulla riabilitazione. A questo si accompagnò l’impegno con la politica: dinanzi ai rischi di una monopolizzazione statale dell’assistenza, don Gnocchi lottò a fondo in difesa del principio di sussidiarietà. Il cardinal Schuster, che già si era opposto a ben altre ideologie di stampo statalista, nel confermarlo su questa strada lo invitò anche a proteggere la sua opera: «Provvedi a norma di leggi. Non c’è nulla di più pericoloso dello “Stato fa tutto”» (pag. 120).
                                            
Il mistero del dolore innocente
                                                  
Ma la lotta contro la visione laicista dell’assistenza assume per don Gnocchi anche il significato più profondo della difesa di una concezione cristiana - non risentita o rabbiosa - del dolore innocente, cui egli annette un particolare significato salvifico per il mondo. Alle angosciate domande sull’ingiustizia del dolore dei bambini, don Carlo risponde: «La sofferenza dei bimbi è destinata ad aiutare chi non ha fede, a redimere chi opera il male» (pag. 150). Osserva l’autore del libro che tale risposta è l’esatto capovolgimento della consueta idea che fa del dolore dei bambini un’obiezione alla fede, che non piuttosto un aiuto ad essa. Su questi temi don Gnocchi costruì una sua spiritualità specifica, che confluirà nel suo libro del 1956, Pedagogia del dolore innocente.
Un principio evangelico guida l’intera opera di don Gnocchi: «Qui facit veritatem venit ad lucem» (Gv 3, 21). Alla lettera: «Colui che fa la verità viene alla luce». La verità non si dice, non si immagina, la verità si fa. L’uomo è sempre, come anche ha scritto don Giussani, un io in azione. Anche l’accoglienza non si dice, ma si fa: così tutto ciò che don Gnocchi scrive e dice appare piuttosto come una riflessione sulla sua propria esperienza di carità che non una serie di teorie astratte, e perfino la sua spiritualità del dolore è messa alla prova dell’esperienza: come quando, dinanzi ad un bambino saltato su una bomba, rimasto senza gambe e senza un occhio, con vaste ferite ovunque, don Carlo gli chiede a bruciapelo: «Quando ti strappano le bende, ti frugano nelle ferite e ti fanno piangere, a chi pensi?». L’incapacità del piccolo di comprendere perfino la domanda stessa convinse don Carlo che c’è tanta più sofferenza, quanto più essa non ha senso, dal momento che non si ha nessuno per la quale valga la pena offrirla: «Io ebbi la precisa, quasi materiale, sensazione di una immensa, irreparabile sciagura: della perdita di un tesoro, più prezioso di un quadro d’autore o di un diamante di inestimabile valore. Era il grande dolore innocente di un bimbo che cadeva nel vuoto, inutile e insignificante (…) perché non diretto all’unica meta nella quale il dolore di un innocente può prendere valore e trovare giustificazione: Cristo crocifisso» (pag. 81).
Era la percezione angosciata della forza negativa del nichilismo, incapace di sostenere il senso della vita e del dolore, a meno che la sofferenza non sia coscientemente incorporata a Cristo, come bene avevano saputo, invece, molti dei suoi alpini caduti in Russia, educati cristianamente. Quando don Carlo, in punto di morte, dopo avere dettato il testamento e celebrato la messa, chiede di ascoltare Stelutis alpinis, il canto degli alpini caduti, aveva certo coscienza di questo significato cristico, di offerta che era inconsapevolmente racchiuso in quelle semplici parole:
«Quando a casa tu sei sola / e di cuore pregherai per me,/ il mio spirito volerà attorno a te; /
io e la stella alpina saremo con te».
                                             
Una «baracca» nata dalla carità
                                                 
E’ straziante l’ingresso di uno dei primi mutilatini, nel dicembre 1945, nella nuova casa di Arosio: una donna porta a don Carlo un bambino di otto anni, cui una bomba aveva strappato la gamba. Aveva speso tutto per le cure e da due giorni non mangiava: «Non ce la faccio più – lo implorava-. Me lo prenda lei, padre, il bambino. Che almeno possa vivere. Io posso gettarmi sotto un treno». La madre baciò la sua creatura, poi scappò gridando: «vai con lui, Paolo, vai con lui». Il piccolo gridava e invocava la mamma. Per due giorni delirò per la febbre, graffiava e picchiava don Carlo e invocava la mamma la quale, fatta ricercare, sembrava dileguata nel nulla. Fu uno strazio, poi accadde l’impossibile: «Il sacerdote non si separa mai da lui. Lo aiuta a mangiare, gli parla (…), dorme con lui, l’occhio sempre aperto (…). Poi, dopo quarantotto ore, Paolo getta le braccia al collo di don Carlo. Piangono insieme, abbracciati, come un padre e un figlio. E’ la svolta» (pagg. 79-80).
Era l’impatto con la tragedia dell’abbandono e insieme l’esperienza unica di una nuova paternità. Don Gnocchi amava chiamare «la mia baracca» l’opera cui diede origine. Come scrisse il «Corriere della Sera» alla sua morte, egli «aveva cominciato con pochi ragazzetti: e adesso erano migliaia e migliaia. Non poneva un limite alla capacità dei soccorsi, come non lo poneva alla necessità di approfondire la conoscenza del dolore umano», ma il suo immenso lavoro diede speranze insperabili: «il cieco, il fanciullo senza gambe, il ragazzo “mulatto” piegato nel complesso del colore, non erano più i dolenti dispersi nell’amaro deserto della vita. Se un bambino senza mani scriveva, se un fanciullo con le stampelle giocava al pallone, se un “mulattino” gli chiedeva di imparare a suonare uno strumento, il passo verso la speranza era compiuto» (pag. 159).
Una considerazione in margine: oggi una legge ha imposto la chiusura degli istituti per minori. Don Gnocchi creò degli istituti per minori. Era un altro momento storico, ed è bene che oggi sia maturata una diversa sensibilità in proposito. Ma occorre non dimenticare che ciò che oggi è perfino denigrato all’origine nasceva da una cultura dell’accoglienza che si poneva all’avanguardia rispetto alle scarse risorse messe in campo da uno stato spesso assente e alla miseria anche materiale della società del tempo. Creare oggi comunità familiari di accoglienza è allora nello stesso solco di quella storia della carità e di quella creatività della tradizione cristiana del nostro popolo che ha dovuto far fronte al vuoto di umanità prodotto da ideologie stataliste e spesso antiumane.
                                         
Il maturare di un’opera
                                  
La carità, che sempre nasce da incontri concreti e particolari, in don Gnocchi crebbe fino a farsi carico dell'opera nelle sue dimensioni più larghe e istituzionali: don Carlo divenne perfino partecipe dell’ONIG, l’ente statale nato inizialmente in concorrenza con la sua opera, e che lui seppe piegare al principio di sussidiarietà, in modo che agisse di concerto con la sua nuova fondazione, la Pro Juventute. La carità crebbe dentro un immenso e incessante lavoro, sempre su più fronti, anche internazionali, sempre creativo, come quando per sponsorizzare le proprie iniziative organizzò la storica trasvolata atlantica a bordo dell’Angelo dei bimbi, il monomotore che realizzò nel 1949 il record di 14 ore di volo, o come quando nello stesso anno organizzò, lui, prete motociclista, il raid motociclistico Milano-Oslo: venticinque scout in sella alle loro Guzzine
(…)Dalla lettera di Don Carlo Gnocchi del 7 novembre 1946 al suo arcivescovo card. Schuster: «Eminenza reverendissima, con filiale confidenza, permetta che io le dica tutto il mio rammarico nel veder riaffiorare continuamente in lei (ed anche nella recente sua conversazione con padre Gemelli) la convinzione che io sia un irrequieto. Ma da che cosa può essere venuto questo giudizio? Non certo dal mio… stato di servizio! Ventun anni di sacerdozio: 11 come coadiutore a San Pietro in Sala e 10 come direttore spirituale al Gonzaga. Per la varietà del mio lavoro? E che colpa ne ho se non so e non posso dire di no alle generose offerte di bene che mi fa la divina Provvidenza? Del resto, anche in questa cosiddetta varietà di apostolato, io, dinnanzi a Dio, ho sempre conservato una precisa coerenza. Sono andato cappellano militare non per spirito di avventura o per… patriottismo, ma perché un sacerdote che in quegli anni si occupava di giovani non poteva esimersi dalla loro sorte. Dopo la guerra mi sono occupato della "Resistenza" per una logica inerente alla guerra vissuta atrocemente al fronte russo e per una necessaria "compagnia" con i miei ufficiali e soldati. Mi sono dato e mi do tuttora alla carità verso i reduci di guerra, i mutilati, gli orfani ed ora i bambini mutilati della guerra sempre per un superiore ed obbligante vincolo contratto con quelli che hanno fatto la guerra e ne portano duramente le conseguenze. Perché, eminenza, era molto facile e qualche volta brillante dire ai soldati: "Fate il vostro dovere, in nome di Dio e la divina Provvidenza non vi abbandonerà". Ma ora quelle promesse mi impegnano, come una cambiale firmata dinanzi a Dio. Ed io cerco di pagarla come posso ad Arosio: con i miei invalidi, con gli orfani dei miei soldati e con i mutilatini di guerra. Sono, per ora 146 persone che, abbandonate dalla società, trovano comprensione ed aiuto dalla carità di Nostro Signore. Certo vostra eminenza, quando sembra rimproverarmi o rammaricarsi di questo mio lavoro, non ricorda una mia lettera che confidenzialmente mi permisi di scriverle dopo la campagna di Russia. In essa io le confidavo che, in momenti di grave pericolo della mia vita, ho fatto voto di dedicarla ad un'opera di carità. E in quella stessa lettera chiedevo a vostra eminenza che mi volesse indicare qualche opera di carità diretta e di natura ecclesiastica alla quale io potessi dare la mia attività.Vostra eminenza non credette allora e poi di indicarmene alcuna ed io mi appigliai a quella che la divina Provvidenza sembrò offrirmi nell'opera di Arosio. Ecco tutta la genesi della mia… irrequietezza, e la sua logica interiore.
Certo, io avrei preferito lavorare più direttamente per la santa Chiesa e per una delle sue opere, e quando vedo il successo che in quest'anno ha coronato il mio piccolo lavoro, non posso intimamente dolermi di doverlo dare ad un'istituzione che - per ora - non è ancora "nostra". Vostra eminenza mi ha parlato più volte della parrocchia e di un mio accesso al concorso. Potrà sembrare molto romantico e forse fantastico quanto le dico, eminenza, ma io non posso per il momento lasciare quest'opera di carità verso le vittime della guerra. Bisogna aver sofferto con loro quello che io ho sofferto in Russia ed altrove per comprendermi e giustificarmi. Non appena avrò pagato il mio debito di carità e di giustizia verso di loro, entrerò nella via comune. Dalla quale se, per ora, mi rifiuto non è per amore di avventura o di eccezione, né tanto meno di facilità di vita e di successo (perché non ho mai avuti tanti grattacapi come in quest'anno e quasi con ritrosia obbedisco allo stimolo interiore), ma esclusivamente per un dovere che la coscienza mi impone. Anche la recente accettazione del posto alla Cattolica (di cui mi permetterò venire presto a parlarle) è unicamente in funzione di questo lavoro: in quanto che il Gonzaga - almeno a parere dei suoi dirigenti - non mi permetteva di dedicarvisi, mentre credo possa più agevolmente consentirmelo il nuovo posto.
Voglia perdonarmi eminenza questo sfogo confidenziale. È la sicurezza di essere compreso che me l'ha suggerito».

Profondo conoscitore dell’animo di don Carlo, l’arcivescovo seppe attenderlo e sostenerlo, per non ostacolare l’azione dello Spirito, che traspariva evidente in quel procedere “fuori dall’ordinario”. Del resto, don Gnocchi amava intensamente la Chiesa e desiderava fermamente che la sognata attività caritativa fosse un’“opera di Chiesa”. Lo scriveva espressamente in diverse lettere: “Ella mi conosce e sa che io non voglio nulla per me stesso: desidero soltanto servire la Chiesa”. Lo confidava ai suoi amici sacerdoti. Gli stava stretto il ruolo di mero esecutore di direttive ecclesiastiche, preferiva essere un ribelle per amore. Egli motivava sempre le sue scelte ai superiori, a partire dall’imperativo supremo della carità e dal primato della coscienza, illuminata dal Vangelo. Per questa autenticità umana-pastorale e per la sua devozione filiale, un benedettino come il cardinale Schuster, figlio dell’“ora et labora”, non poteva che comprenderlo.

L’arcivescovo di Milano sapeva, infatti, che l’irrequietezza di don Carlo era in realtà il dono dello spirito di profezia che anima la Chiesa e la guida nella complessa avventura umana, perciò aspettava prudentemente e accompagnava con paterna sollecitudine le sue scelte di coscienza e di impegno sacerdotale, convinto che la “cambiale firmata davanti a Dio”, da cappellano volontario alpino, contratta nelle lande russe - vere università del dolore - andasse “onorata”.

In don Gnocchi non si riscontrava mai nessun servilismo, né rispetto alle autorità civili né a quelle ecclesiali. C’era invece una grande e coraggiosa passione per tutto ciò che è umano e cristiano insieme. Per don Carlo, negli scritti e nelle opere, non c’è nulla, infatti, di umano che non sia perciò stesso cristiano; né nulla di cristiano che non sia intrinsecamente umano. I termini sono analoghi in forza delle “legge dell’Incarnazione” che ci ha mostrato, una volta per tutte, il divino nell’umano e l’umano nel divino, in un binomio inscindibile che fa della vicenda umana una storia di salvezza.

Questa straordinaria e caleidoscopica figura di prete ambrosiano, impregnato di spiritualità vestita di concretezza, è ben evidenziata da ciò che autorevoli personalità della Chiesa, in diverse occasioni, hanno scritto di lui. Ora, da beato, torna a casa sua, nella sua amata diocesi ambrosiana, tra i suoi confratelli nel sacerdozio, non solo per essere uno di loro, ma “per” loro. Don Gnocchi è soprattutto per il clero ambrosiano esempio di quell’operosa irrequietezza contemplativa a servizio del bene in un mondo profondamente inquieto, eppur desideroso di scoprire il volto di Dio, attraverso la dolcezza rassicurante di un abbraccio di carità e una carezza di pietà.

La sua beatificazione è un credibile biglietto da visita per testimoniare nella pastorale odierna una Chiesa che nasce dalla carità, che si nutre della carità e vive per la carità.
Mons. Angelo Bazzari
Presidente Fondazione Don Carlo Gnocchi
[Milano, 30 giugno 2009]


DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO
DELLA FONDAZIONE "DON CARLO GNOCCHI"
Sabato, 30 novembre 2002
 
Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. È per me motivo di grande gioia accogliervi quest’oggi nel contesto delle celebrazioni per il centenario della nascita di don Carlo Gnocchi, e del cinquantesimo della Fondazione sgorgata dal suo cuore di insigne "prete educatore e imprenditore della carità", come ebbe a definirlo il Cardinale Carlo Maria Martini, aprendo nel 1987 il processo di beatificazione. Grazie per la vostra visita, che mi offre l’occasione di manifestare sincero apprezzamento per il benemerito servizio che rendete a quanti si trovano in difficoltà.
Vi saluto tutti con affetto: ospiti, dirigenti, operatori, volontari, ex allievi ed amici della grande famiglia spirituale di don Carlo Gnocchi, senza dimenticare l’Associazione Nazionale Alpini e l’Associazione Nazionale Donatori Organi, particolarmente legate alla figura e all’opera di questo zelante sacerdote. Saluto i rappresentanti degli Istituti religiosi maschili e femminili voluti da don Gnocchi e il Presidente della Fondazione, Mons. Angelo Bazzari, che ringrazio per i devoti sentimenti che ha voluto esprimere a nome vostro. Saluto la giovane ospite del Centro di Milano, che si è fatta interprete di tutti gli ospiti della Fondazione. Un deferente pensiero rivolgo al Sindaco di Milano e alle altre autorità civili e militari, che hanno voluto essere presenti a questo incontro.
2. Il servo di Dio don Carlo Gnocchi, "padre dei mutilatini", fu educatore di giovani sin dall’inizio del suo ministero sacerdotale. Conobbe gli orrori della seconda guerra mondiale quale cappellano volontario prima sul fronte greco-albanese e, in seguito, con gli alpini della Divisione "Tridentina", nella campagna di Russia. Si prodigò con eroica carità verso i feriti e i moribondi, e maturò il disegno di una grande opera destinata ai poveri, agli orfani e agli sventurati.
Nacque così la Fondazione Pro Juventute, attraverso la quale egli moltiplicò iniziative sociali ed apostoliche a favore dei tanti orfani di guerra e piccoli mutilati per lo scoppio di ordigni bellici. La sua generosità si spinse oltre la morte, sopravvenuta il 28 febbraio del 1956, mediante il dono delle sue cornee a due ragazzi non vedenti. Fu un gesto precorritore, se si considera che in Italia il trapianto d’organi non era ancora regolato da provvedimenti legislativi.
3. Carissimi Fratelli e Sorelle! Le celebrazioni giubilari vi hanno permesso durante quest’anno di approfondire ancor più le ragioni del vostro impegno nella società e nella Chiesa. Dalla riabilitazione e integrazione sociale dei mutilatini di guerra siete oggi passati a gestire diversificate attività a favore di ragazzi, adulti e anziani non autosufficienti. Rispondendo, inoltre, ai nuovi bisogni emergenti nella società, avete aperto le vostre case a malati oncologici terminali. Non avete al tempo stesso trascurato di investire nella ricerca scientifica, curando la formazione professionale per disabili attraverso scuole e corsi in varie regioni d’Italia.
4. "Restaurare la persona umana" è il principio che continua ad ispirarvi, in fedeltà allo spirito di don Carlo Gnocchi. Egli era convinto che non basta assistere il malato; occorre "restaurarlo", promuovendolo attraverso pertinenti terapie atte a fargli recuperare la fiducia in se stesso. Se ciò esige un aggiornamento tecnico e professionale, domanda ancor più un costante supporto umano e soprattutto spirituale. "Condividere la sofferenza - amava ripetere questo insigne pedagogo sociale - è il primo passo terapeutico; il resto lo fa l’amore".
E fu proprio l’amore il segreto di tutta la sua vita. In ogni sofferente vedeva Cristo crocifisso, tanto più se si trattava di individui fragili, piccoli, indifesi. Comprese che la luce capace di dar senso al dolore innocente dei bambini viene dal mistero della Croce. Ogni mutilatino era per lui "una piccola reliquia della redenzione cristiana e un segnale che anticipa la gloria pasquale".5. Carissimi Fratelli e Sorelle! Continuate a seguire le orme di questo indimenticabile maestro di vita. Come lui, siate buoni samaritani per quanti bussano alla porta delle vostre case. Il suo messaggio rappresenta oggi una singolare profezia di solidarietà e di pace. Servendo infatti gli ultimi e i piccoli in modo disinteressato, si contribuisce a costruire un mondo più accogliente e solidale.
Quasi tutti i vostri centri di ricupero e riabilitativi sono dedicati alla Vergine. Sia Lei - la Madre della speranza, a cui don Gnocchi si rivolgeva con filiale devozione - a sostenervi e a guidarvi verso nuovi traguardi di bene.
Io vi assicuro la mia preghiera, mentre di cuore benedico voi qui presenti e quanti compongono la grande famiglia della "Fondazione don Carlo Gnocchi".

Nessun commento: