L’inviato: ora so perché a Cuba la Chiesa è sopravvissuta a Fidel Castro
INT. Giacomo Galeazzi mercoledì 28 marzo 2012
Tornielli: la fede di Benedetto è più grande di tutti i soprusi
Duecentomila fedeli hanno affollato ieri plaza Antonio Maceo a Santiago de Cuba per ascoltare le parole di Papa Benedetto XVI. Un incontro storico a 14 anni dalla visita di Giovanni Paolo II, con Raul Castro in prima fila ad applaudire mentre Fidel forse si vedrà oggi con il Santo Padre. Nel suo discorso di ieri, Papa Ratzinger ha sottolineato la sua piena disponibilità a collaborare con Cuba, ma nello stesso tempo ha rivendicato il diritto della Chiesa a giocare un ruolo nella vita pubblica del Paese. Intervistato da Ilsussidiario.net, il vaticanista de La Stampa, Giacomo Galeazzi, sottolinea che “la testimonianza più forte della fede viva dei cubani è che i regimi passano, Cristo rimane. Il nuovo umanesimo cristiano proposto da Benedetto XVI altro non è che il ritorno a quella visione evangelica che le prime comunità perseguitate dei cristiani avevano 2mila anni fa. E’ questa la lezione della Chiesa cubana: hanno cercato in tutti i modi di annientarla, ma è rimasta talmente viva da proporsi come modello per noi europei”.
Galeazzi, qual è il significato della visita del Papa e del suo discorso di ieri per i cattolici cubani?
E’ enorme, e me ne sono reso conto al Santuario della Vergine del Cobre, dove il Papa ha donato la rosa d’oro alla Madonna spiegando che la linfa delle radici cristiane di Cuba è la migliore garanzia e la migliore possibilità per il futuro dell’isola. Quindi non soltanto dal punto di vista sociale e politico, ma prima di tutto dalla prospettiva della fede. Quella linfa cristiana che in questa terra è rimasta nonostante mezzo secolo di dittatura e di negazione di Dio, può permettere di riannodare i fili di quella memoria che non si è mai estinta contribuendo al progresso e al futuro non soltanto della Chiesa cubana ma dell’intero Paese. E’ significativo che Benedetto XVI faccia sempre riferimento a tutti i cubani, ovunque essi siano. Con un esplicito richiamo quindi agli esuli cubani fuggiti negli Stati Uniti per sottrarsi alla dittatura di Castro e anche ai detenuti, cioè a coloro che sono stati imprigionati perché dissentono dal regime. Anche nelle ultime ore abbiamo visto che sono stati incarcerati centinaia di cattolici proprio perché protestavano la loro fede, in quanto la Chiesa cubana si rifiuta di rimanere in sagrestia.
Qual è la realtà della Chiesa cubana che lei ha incontrato in questi giorni?
Quella cubana è una Chiesa perseguitata, e lo si è visto lunedì all’arrivo del Papa. C’era una piccola tribuna ai margini, dove erano stati confinati i pochi cattolici ammessi alla cerimonia di benvenuto. L’impressione era quindi di una subalternità dei cattolici rispetto al regime. I 200mila fedeli in piazza a Santiago hanno dimostrato invece che, nonostante le costrizioni e le persecuzioni, un po’ come la Chiesa dei primi martiri di duemila anni fa, quella cubana mantiene una vivacità, una forza e anche un carattere marcatamente missionario. A me ha colpito il fatto che numerosi dei cattolici con cui ho parlato evidenziavano che sentono di avere un ruolo non soltanto per Cuba, ma per la Chiesa universale. Rivendicano che da loro la fede è in crescita, e che il nuovo terreno di evangelizzazione è rappresentato dall’Europa. Mentre loro hanno mantenuto viva la fede nonostante mezzo secolo di dittatura e di negazione di Dio.
Qual è stato l’effetto della persecuzione sulla Chiesa cubana?
E’ come se le persecuzioni avessero rafforzato e reso ancora più consapevole la loro fede, che è un fatto di popolo basato sulla condivisione. L’idea espressa da tutti i canti non è soltanto quella di essere una Chiesa perseguitata, ma di essere il lievito di un intero popolo. Molti mi hanno detto: “Ma come fate a non accorgervi? Può essere proprio questo a fare cadere il regime”. A differenza infatti di 14 anni fa, quando al potere c’era Castro e il regime era molto più forte, oggi con Raul si è indebolito ed è alle ultime fasi. Dopo il muro di Berlino nell’89, sta per cadere anche il muro dei Caraibi.
Che cosa può dire a noi europei e italiani questa fede così viva dei cattolici cubani?
La testimonianza più forte è che i regimi passano, Cristo rimane. Due anni fa, al Meeting di Rimini, c’era una mostra sui Gulag in cui si vedeva che dove l’umanità e la fede sono più calpestate, tanto più resistono e diventano un nucleo per formare nuova fede. Il nuovo umanesimo cristiano proposto da Benedetto XVI altro non è che il ritorno a quella visione evangelica che le prime comunità perseguitate dei cristiani avevano duemila anni fa. E’ questa la lezione della Chiesa cubana: hanno cercato in tutti i modi di annientarla, ma questa comunità è talmente viva e forte malgrado tutto, da proporsi addirittura come modello per noi europei.
Qual è il significato dell’invito, fatto da Benedetto XVI ai cattolici cubani, “a costruire una società migliore, più degna dell’uomo, che rifletta maggiormente la bontà di Dio”?
L’aspetto più importante del discorso del Papa di ieri è stata la distinzione degli ambiti. Il Santo Padre ha ribadito la collaborazione offerta dalla Chiesa per cambiare e allargare gli orizzonti di Cuba. Non ha però fatto sconti sotto il principio etico, ha chiesto un cambiamento di rotta morale, sottolineato che “senza etica non c’è progresso” e soprattutto ha chiesto al governo cubano il rispetto dei diritti umani. E sappiamo come a Cuba alla Chiesa sia negata sia la libertà, sia la possibilità di avere un ruolo nella vita pubblica.
(Pietro Vernizzi)
Nessun commento:
Posta un commento