giovedì 17 settembre 2009

BOLOGNA IL CUORE PIENO DI GIULIA

Quella sera, nella chiesa gremita di gente, don Carlo ha attraversato il dolore, i dubbi e le peregrinazioni della giornata: «Non mentiamo sul desiderio. Io voglio riabbracciare Giulia viva, come facevo quando la incontravo sulla porta della sede: niente di meno. E questo me lo può dare solo un uomo, Cristo risorto». Una novità di sguardo che ha commosso tutti, straziati dalla sofferenza e pronti a cedere all’onda dell’emozione, che quando si ritira lascia solo il cinismo e l’assenza di parole. Due giorni dopo a un pranzo, Widmer, un amico più grande, ha chiarito ulteriormente la questione: «La circostanza in cui Giulia è morta ne mostra già la santità, è morta donandosi. Il problema adesso è tutto nostro: dobbiamo essere pronti come lei».


di Samuele Donati
14/09/2009 - Quest'estate Giulia moriva in un incidente stradale. Nella lettera di un amico il racconto di una novità impensabile, che è accaduta dopo la sua morte
«Allora, cosa dici?». «C’è poco da dire. Ho il cuore pieno». Dopo la testimonianza di due amici alla serata di festa con i maturati della Romagna, Giulia, rimasta in fondo alla chiesa per poter andare subito a preparare il momento della cena,


rispondeva così a un’amica che la vedeva sorridere a quei racconti di vita. Non lo immaginava, ma quella sera il Signore l’avrebbe chiamata a sé. Aveva cominciato a frequentare il movimento negli ultimi anni delle superiori e all’università aveva scelto Lettere, entrando in rapporto con i ragazzi del Clu. Dopo un anno era arrivata la proposta di abitare in sede e cominciare a impegnarsi nella segreteria. Da qui, l’amicizia che la legava a tanti di noi è esplosa, diventando condivisione totale. Su tutti, il rapporto con Pesa, che della segreteria aveva la responsabilità. Quando, a marzo, Pesa si è laureato Giulia aveva preso il suo posto, ed era evidente la continuità tra i due, l’omone attento a tutto e a tutti e la ragazza esile e sorridente, ma ferma come è chi sta guardando qualcosa di Presente.
Il 18 luglio, alla fine di una serata in cui come sempre aveva testimoniato col sorriso, con la cura dei particolari, con la vicinanza a noi tutti la grandezza dell’amicizia che ci legava, è stata misteriosamente chiamata al suo destino, e mentre riaccompagnava a casa due amiche è morta in un incidente stradale. Lo smarrimento che ci ha colto è immediatamente diventato una ricerca. Innanzitutto una ricerca di lei, che era stata portata alla camera mortuaria dell’ospedale di Cesena; poi una ricerca di volti, che ci rendessero certi di una speranza tante volte detta e ora messa duramente alla prova. Mentre aspettavamo davanti alla chiesa di Gatteo dove di lì a poco avremmo recitato la prima veglia, è arrivato Andrea, il suo ragazzo, che da un anno, grazie a lei, aveva cominciato a fare Scuola di comunità a Cesena, e ci ha detto: «Mi faceva arrabbiare che Giulia fosse sempre a Bologna, ma per l’evidenza del bene che vi voleva, adesso voglio diventare vostro amico». Quella sera, nella chiesa gremita di gente, don Carlo ha attraversato il dolore, i dubbi e le peregrinazioni della giornata: «Non mentiamo sul desiderio. Io voglio riabbracciare Giulia viva, come facevo quando la incontravo sulla porta della sede: niente di meno. E questo me lo può dare solo un uomo, Cristo risorto». Una novità di sguardo che ha commosso tutti, straziati dalla sofferenza e pronti a cedere all’onda dell’emozione, che quando si ritira lascia solo il cinismo e l’assenza di parole. Due giorni dopo a un pranzo, Widmer, un amico più grande, ha chiarito ulteriormente la questione: «La circostanza in cui Giulia è morta ne mostra già la santità, è morta donandosi. Il problema adesso è tutto nostro: dobbiamo essere pronti come lei».Il giorno del funerale è stato impressionante. Tremila persone hanno affollato la chiesa di Gatteo, comune che per lei ha proclamato il lutto cittadino. La dedizione con cui i ragazzi della segreteria hanno curato quel momento fino all’ultimo dettaglio ha stupito tutti, fino ai gestori dei bar che hanno dato l’acqua per tutte le persone rimaste fuori dalla chiesa. Il padre di Giulia, Tiberio, alla fine della messa è salito all’ambone e ha detto: «Tanti di voi l’hanno conosciuta bene, la Giuli, l’hanno amata; noi possiamo dire che veramente l’abbiamo conosciuta da poco, forse da sabato scorso quando sono venute fuori delle cose mai conosciute di lei, le frasi e le testimonianze, che ci hanno riconfermato che Giuli era felice, pronta, sicura, che donare la vita per Gesù fosse la strada certa. Ora viviamo nella speranza che la Giulia continui ad indicarci la strada da percorrere e a comprendere, come ci dicono in tanti, che è stata scelta: la mia consolazione è che, aiutato da lei, e quando il Signore vorrà, potrò riabbracciarla e vivere con lei della Bellezza senza fine».
Poi c’è stata la vacanza. Giorni pieni di gioia e dolore, la gioia di vedere come si può vivere per la Bellezza e il dolore della mancanza. Ma come ci siamo guardati, con che misericordia, con che attenzione e affetto non nostri! Siamo partiti con una domanda vorace di senso, volevamo mangiarci le montagne: avevamo invitato Daniele, assegnista di ricerca all’Aquila, e Mario Melazzini, medico affetto da Sla, a parlarci della loro esperienza. La loro vita, segnata da un grande dolore ma anche da un successivo ed entusiasmante percorso di fede, parlava a noi, e chissà come la comprensione delle loro parole e perfino lo stupore sarebbero rimasti a un livello intellettuale senza la ferita che ci accompagnava, e che portava un’essenzialità tra noi che non lasciava passare un secondo senza una scoperta nuova. La prova di questo? Il riposo, quello vero di cui parla don Giussani, che non è relax, ma un’attenzione che coinvolge la ragione oltre al fisico.
E ora, la domanda che tante volte ci siamo posti in questo periodo, ovvero cosa ci è chiesto? Come dicono le lodi, di riaffermare l’obbedienza della fede al Dio che non risparmiò la Croce a suo Figlio. Perché il riaffermare è affermare due volte, prima e dopo la prova con un percorso fatto in mezzo, certi che il dolore a volte è misteriosa condizione, ma mai obiezione. Per questo la croce bisogna imparare ad offrirla, come ha fatto Giulia e come fece Enzo, a cui ora è legata misteriosamente nella storia della nostra comunità bolognese. E noi non vediamo l’ora di tornare in università per mettere alla prova i nostri santi, e per stare, lieti, sulle loro orme.


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