TEMPI 20 Ottobre 2010
Caro Padre Aldo, da tempo seguo i tuoi scritti su Tempi, e sempre mi sento provocata dai giudizi che dai sulla realtà che ognuno di noi è chiamato a vivere. Sono sposata da trent’anni e ho tre figli. Ho incontrato il movimento all’età di 18 anni e lì ho conosciuto il mio futuro marito. La nostra vita insieme è stata segnata dall’appartenenza al movimento così come molte scelte fatte. Circa quattro anni fa mio marito ha incominciato a disaffezionarsi al movimento fino a uscirne e pur lasciando a me e ai miei figli la libertà di vivere questa esperienza è diventato sempre più insofferente. I rapporti con me e con i figli si sono via via complicati. Un anno e mezzo fa ha deciso di andarsene da casa e poco dopo ha chiesto la separazione. Le motivazioni sono state
molteplici, dalle più banali (non sono più innamorato, forse non dovevo sposarti) alle più incidenti (il mio compito in famiglia è finito, io sto male a casa, non sono più felice). Per me è stato un duro colpo, mai e poi mai avrei pensato che potesse succedermi una cosa simile. Per grazia di Dio sono stata sorretta e accompagnata da amici, grandi perché grandi nella fede, che mi hanno sempre indicato la strada da percorrere e dove volgere il mio sguardo. Pur nel dolore di questa situazione e nella fatica che ne consegue sono serena perché più volte ho sentito su di me «la carezza del Nazareno» che si è fatto prepotentemente presente attraverso alcuni volti. Io mi ritengo ancora sposata, porto ancora la mia vera benedetta al dito perché non è certo una carta firmata davanti al giudice che può separare ciò che Dio ha unito. Ma vivo una fatica che non mi fa stare in pace e la riassumo con questa domanda: perché Dio ha voluto per la mia vita questa prova? Perché una cosa che era bella e che Lui ha voluto come vocazione per la mia vita, che ha benedetto con il sacramento del matrimonio, a un certo punto è diventata una ferita profonda che segna ogni mia giornata?
Lettera firmata
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