In tutto questa confusione sorge Benedetto XVI a proporci obiettivi difficili, ma degni dell'uomo che è destinato a cose grandi e belle e quindi non facili, e ci ricorda in uno dei suoi numerosi pronunciamenti che
“Ciascuno di voi nella vita di pubblico servizio deve essere impegnato a servire il bene degli altri nella società, a livello locale, nazionale ed internazionale. Si tratta di una nobile vocazione, stimata dalla Chiesa. Quando adempiuto con fedeltà, il servizio pubblico ci permette di crescere in sapienza, integralmente e con realizzazione personale. Platone, Aristotele e gli stoici diedero grande importanza a tale realizzazione personale – eudemonia – quale scopo per ogni essere umano, e videro nel carattere morale la via per raggiungerlo. Per loro, e per i grandi filosofi islamici e cristiani che hanno seguito i loro passi, la pratica della virtù consisteva nell’agire secondo la retta ragione, nel perseguimento di tutto ciò che è vero, buono e bello. In una prospettiva religiosa – ha proseguito - siamo membri di un’unica famiglia umana creata da Dio, e siamo chiamati a promuovere l’unità e a costruire un mondo più giusto e fraterno fondato su valori durevoli.
Nella misura in cui adempiamo il nostro dovere, serviamo gli altri e aderiamo a ciò che è giusto, le nostre menti divengono più aperte alle verità più profonde e la nostra libertà si rafforza nel suo aderire a ciò che è buono. Il mio predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, scrisse una volta che l’obbligazione morale non dovrebbe essere vista come una legge che si impone da se stessa dall’esterno e che esige obbedienza, ma piuttosto come un’espressione della sapienza stessa di Dio, alla quale la libertà umana si sottomette con prontezza (cfr Veritatis splendor, 41). Quali esseri umani, troviamo la nostra realizzazione ultima in riferimento a quella Realtà Assoluta, il cui riflesso trova così spesso riscontro nella nostra coscienza come invito pressante a servire la verità, la giustizia e l’amore”.
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“le relazioni personali sono spesso i primi passi per costruire fiducia e – a tempo debito – solidi vincoli di amicizia fra individui, popoli e nazioni. Questa è una parte essenziale” del ruolo, sia di politici sia di diplomatici. “In Paesi con situazioni politiche delicate, un simile rapporto personale onesto e aperto può essere l’inizio di un bene più grande per società e popoli interi”. Il Pontefice ha incoraggiato i presenti “a cogliere le opportunità offertevi, sia a livello personale sia a livello istituzionale, per costruire tali relazioni e, così facendo, promuovere il bene più grande dell’insieme delle Nazioni”. “Gli antichi filosofi greci ci insegnano inoltre che il bene comune viene servito precisamente attraverso l’influenza di persone dotate di chiara visione morale e di coraggio. In tal modo, le azioni politiche vengono a purificarsi dagli interessi egoistici o da pressioni di parte e vengono poste su una base più solida. Inoltre, le aspirazioni legittime di quanti rappresentiamo vengono protette e promosse. La rettitudine morale e il rispetto imparziale degli altri e del loro benessere sono essenziali al bene di qualsiasi società, dato che essi stabiliscono un clima di fiducia nel quale ogni relazione umana, religiosa o economica, sociale e culturale, o civile e politica, acquista forza e sostanza. Ma cosa significa in termini pratici – ha domandato il Papa - rispettare e promuovere la verità morale nel mondo della politica e della diplomazia a livelli nazionali ed internazionali? Come può la ricerca della verità recare un’armonia più grande alle tribolate regioni della terra?”.
“Prima di tutto, il promuovere la verità morale significa agire in modo responsabile sulla base della conoscenza dei fatti reali. Come diplomatici, sapete per esperienza che tale conoscenza vi aiuta a identificare le ingiustizie e le recriminazioni, così che potete valutare in maniera spassionata le preoccupazioni di quanti sono coinvolti in una determinata disputa. Quando le parti riescono ad innalzarsi dal proprio modo di vedere gli eventi, acquisiscono una visione oggettiva e integrale. Quanti sono chiamati a risolvere simili dispute sono in grado di prendere le giuste decisioni e di promuovere una genuina riconciliazione nel momento in cui afferrano e riconoscono la verità piena di una questione specifica”.
“Un secondo modo di promuovere la verità morale consiste nel destrutturare le ideologie politiche che altrimenti soppianterebbero la verità. Le esperienze tragiche del 20° secolo hanno posto in evidenza l’inumanità che consegue dalla soppressione della verità e della dignità umana. Anche ai giorni nostri, siamo testimoni di tentativi di promuovere pseudovalori con il pretesto della pace, dello sviluppo e dei diritti umani. In questo senso, parlando all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ho richiamato l’attenzione sui tentativi di certi ambienti di reinterpretare la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo al fine di soddisfare interessi particolari, che avrebbero compromesso l’intima unitarietà della Dichiarazione e l’avrebbero allontanata dei suoi intenti originari (cfr Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 18 aprile 2008)”.
“In terzo luogo, il promuovere la verità morale nella vita pubblica esige uno sforzo costante per fondare la legge positiva sui principi etici della legge naturale. Richiamarsi ad essa, un tempo, era considerato evidente da sé, ma l’onda del positivismo nella dottrina giuridica contemporanea richiede la riaffermazione di questo importante assioma. Individui, comunità e Stati senza la guida di verità morali oggettive, diverrebbero egoisti e senza scrupoli, ed il mondo sarebbe un luogo pericoloso per viverci. D’altra parte, rispettando i diritti delle persone e dei popoli, proteggiamo e promuoviamo la dignità umana. Quando le politiche che sosteniamo sono poste in atto in armonia con la legge naturale propria della nostra comune umanità, allora le nostre azioni diventano più fondate e portano ad un’atmosfera di intesa, di giustizia e di pace”.
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