......Dietro l’apparenza del racconto per ragazzi si cela un ciclo epico in cui si fondono grandi temi: un mosaico di miti e di simboli, che correttamente decifrati svelano al lettore più accorto come ogni elemento narrativo sia funzionale alla rappresentazione grandiosa e terribile dell’eterna lotta tra il Bene e il Male, tra Dio e il Nemico. Nell’opera di Lewis l’intento non è affatto equivocabile: prendere profondamente sul serio questa evidenza, prendere cioè sul serio il Cristianesimo stesso.
di Paolo Gulisano
Tratto da La Bussola Quotidiana il 17 dicembre 2010
Esce oggi sugli schermi il film Il viaggio del veliero, terzo episodio della saga cinematografica de Le Cronache di Narnia, tratta dall’omonimo capolavoro dello scrittore anglo-irlandese C. S. Lewis, ed è subito polemica.
«Narnia film di fede?» titolava nei giorni scorsi il quotidiano La Repubblica, sostenendo - anche attraverso le dichiarazioni di qualche attore - che una lettura cristiana dell’opera è una forzatura a fini commerciali, visto il clima di buoni sentimenti pre-natalizi, e una concessione indebita ad un sedicente «religiosamente corretto» che secondo il quotidiano starebbe prendendo sempre più piede. Perplessità sono state espresse dal buon Liam Neeson, che dà la voce al leone Aslan, e che pur ammettendo che tale personaggio ha evidenti simbolismi cristologici afferma che «rappresenta anche Maometto, Budda e i grandi leader spirituali»; e dal co-produttore del film Mark Johnson che a detta di Repubblica avrebbe sostenuto che «la resurrezione esiste in così tante religioni, in una forma o nell'altra, che è difficile definirla come un'esclusiva del cristianesimo».
Eppure è innegabile che l’opera di Lewis, al pari del Signore degli Anelli del suo grande amico Tolkien, è una grande epica religiosa e cristiana. Il Ciclo di Narnia prese il via con il romanzo Il leone, la strega e l’armadio, seguito da Il Principe Caspian, e quindi - tra il 1950 e il 1956 - furono in tutto sette i libri che uscirono, e che ebbero uno straordinario successo in tutto il mondo. Da allora generazioni di lettori, giovani e non solo, hanno attinto a tutta la bellezza e il fascino delle imprese dei quattro fratelli, del leone Aslan, e di altri indimenticabili personaggi, come quell’Eustachio Scrubb protagonista del Viaggio del veliero la cui vicenda rappresenta, con un simbolismo in realtà molto intuibile, il cammino della conversione e la salvezza rispetto alla triste sorte (diventare draghi, ovvero mostri) che ci riserverebbe l’essere schiavi del peccato.
Un tema che era molto caro al suo autore: C. S. Lewis, irlandese protestante di Belfast, nel nord dell’Irlanda, ferocemente anti-cattolico, poi ateo militante, infine convertito al Cristianesimo (nella Chiesa Alta Anglicana) grazie al suo migliore amico, il fervente cattolico J. R. R. Tolkien. Il suo itinerario spirituale fu complesso e tormentato, e quando infine giunse all’ammissione dell’esistenza di Dio, si definì il «convertito più riluttante di tutta l’Inghilterra». Ben presto tuttavia divenne uno degli scrittori cristiani più apprezzati della sua generazione, un’apologeta acuto quanto appassionato, autore di testi famosissimi come Le Lettere di Berlicche.
Lewis divenne un appassionato apologeta del Cristianesimo, e il modo che scelse per raccontare la propria conversione non si limitò alla saggistica, ma trovò il luogo più appropriato nell’allegoria, nel racconto fantastico. Questo tipo di narrativa offrì a Lewis la possibilità di descrivere, con il linguaggio del mito, lo scenario complesso, contraddittorio ma affascinant, della condizione umana, così come andava facendo il suo amico Tolkien. Entrambi avevano intrapreso il cammino della Mitopoiesi, ovvero della costruzione di miti, descrivendo mondi che, all’interno del romanzo, hanno una loro piena coerenza.
Lewis si affidò alla ragionevolezza delle fiabe in un mondo apparentemente razionale ma in realtà solo razionalistico, e più folle e intriso di male e di ingiustizia di qualsiasi racconto di orchi e draghi o streghe. Quella contenuta nelle favole è d’altra parte una ragionevolezza e una saggezza antica: queste storie meravigliose collocate nel magico reame del «c’era una volta» e della narrativa per l’infanzia hanno le loro radici nei racconti popolari. Dietro l’apparenza del racconto per ragazzi si cela un ciclo epico in cui si fondono grandi temi: un mosaico di miti e di simboli, che correttamente decifrati svelano al lettore più accorto come ogni elemento narrativo sia funzionale alla rappresentazione grandiosa e terribile dell’eterna lotta tra il Bene e il Male, tra Dio e il Nemico. Nell’opera di Lewis l’intento non è affatto equivocabile: prendere profondamente sul serio questa evidenza, prendere cioè sul serio il Cristianesimo stesso.
di Paolo Gulisano
Tratto da La Bussola Quotidiana il 17 dicembre 2010
Esce oggi sugli schermi il film Il viaggio del veliero, terzo episodio della saga cinematografica de Le Cronache di Narnia, tratta dall’omonimo capolavoro dello scrittore anglo-irlandese C. S. Lewis, ed è subito polemica.
«Narnia film di fede?» titolava nei giorni scorsi il quotidiano La Repubblica, sostenendo - anche attraverso le dichiarazioni di qualche attore - che una lettura cristiana dell’opera è una forzatura a fini commerciali, visto il clima di buoni sentimenti pre-natalizi, e una concessione indebita ad un sedicente «religiosamente corretto» che secondo il quotidiano starebbe prendendo sempre più piede. Perplessità sono state espresse dal buon Liam Neeson, che dà la voce al leone Aslan, e che pur ammettendo che tale personaggio ha evidenti simbolismi cristologici afferma che «rappresenta anche Maometto, Budda e i grandi leader spirituali»; e dal co-produttore del film Mark Johnson che a detta di Repubblica avrebbe sostenuto che «la resurrezione esiste in così tante religioni, in una forma o nell'altra, che è difficile definirla come un'esclusiva del cristianesimo».
Eppure è innegabile che l’opera di Lewis, al pari del Signore degli Anelli del suo grande amico Tolkien, è una grande epica religiosa e cristiana. Il Ciclo di Narnia prese il via con il romanzo Il leone, la strega e l’armadio, seguito da Il Principe Caspian, e quindi - tra il 1950 e il 1956 - furono in tutto sette i libri che uscirono, e che ebbero uno straordinario successo in tutto il mondo. Da allora generazioni di lettori, giovani e non solo, hanno attinto a tutta la bellezza e il fascino delle imprese dei quattro fratelli, del leone Aslan, e di altri indimenticabili personaggi, come quell’Eustachio Scrubb protagonista del Viaggio del veliero la cui vicenda rappresenta, con un simbolismo in realtà molto intuibile, il cammino della conversione e la salvezza rispetto alla triste sorte (diventare draghi, ovvero mostri) che ci riserverebbe l’essere schiavi del peccato.
Un tema che era molto caro al suo autore: C. S. Lewis, irlandese protestante di Belfast, nel nord dell’Irlanda, ferocemente anti-cattolico, poi ateo militante, infine convertito al Cristianesimo (nella Chiesa Alta Anglicana) grazie al suo migliore amico, il fervente cattolico J. R. R. Tolkien. Il suo itinerario spirituale fu complesso e tormentato, e quando infine giunse all’ammissione dell’esistenza di Dio, si definì il «convertito più riluttante di tutta l’Inghilterra». Ben presto tuttavia divenne uno degli scrittori cristiani più apprezzati della sua generazione, un’apologeta acuto quanto appassionato, autore di testi famosissimi come Le Lettere di Berlicche.
Lewis divenne un appassionato apologeta del Cristianesimo, e il modo che scelse per raccontare la propria conversione non si limitò alla saggistica, ma trovò il luogo più appropriato nell’allegoria, nel racconto fantastico. Questo tipo di narrativa offrì a Lewis la possibilità di descrivere, con il linguaggio del mito, lo scenario complesso, contraddittorio ma affascinant, della condizione umana, così come andava facendo il suo amico Tolkien. Entrambi avevano intrapreso il cammino della Mitopoiesi, ovvero della costruzione di miti, descrivendo mondi che, all’interno del romanzo, hanno una loro piena coerenza.
Lewis si affidò alla ragionevolezza delle fiabe in un mondo apparentemente razionale ma in realtà solo razionalistico, e più folle e intriso di male e di ingiustizia di qualsiasi racconto di orchi e draghi o streghe. Quella contenuta nelle favole è d’altra parte una ragionevolezza e una saggezza antica: queste storie meravigliose collocate nel magico reame del «c’era una volta» e della narrativa per l’infanzia hanno le loro radici nei racconti popolari. Dietro l’apparenza del racconto per ragazzi si cela un ciclo epico in cui si fondono grandi temi: un mosaico di miti e di simboli, che correttamente decifrati svelano al lettore più accorto come ogni elemento narrativo sia funzionale alla rappresentazione grandiosa e terribile dell’eterna lotta tra il Bene e il Male, tra Dio e il Nemico. Nell’opera di Lewis l’intento non è affatto equivocabile: prendere profondamente sul serio questa evidenza, prendere cioè sul serio il Cristianesimo stesso.
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