sentire la speranza di Roberto Mancini
Tratto da Avvenire del 14 ottobre 2008
Esistono esperienze che, se accolte con lucidità, pongono l’esistenza in una luce di verità. Tra esse c’è l’incontro con la promessa.
Constatando che perdiamo continuamente di vista ciò per cui vale la pena di vivere, Bonhoeffer scrive: «Il concetto non biblico di 'senso' è solo una traduzione di ciò che la Bibbia chiama 'promessa'». Ma perché la promessa può interessare anche chi non riconosce alcun Dio ? Nella sua analisi antropologica Hannah Arendt vede nel potere di promettere una facoltà che ci permette di garantire gli uni agli altri un futuro meno instabile perché con- ferisce affidabilità ai comportamenti. La promessa mostra che, rompendo il corso meccanico delle cose, la libertà umana può orientare la vita. Scrive Arendt: «Il corso della vita diretto verso la morte condurrebbe inevitabilmente ogni essere umano alla rovina e alla distruzione se non fosse per la facoltà di interromperlo e di iniziare qualcosa di nuovo, una facoltà che è inerente all’azione e ci ricorda in permanenza che gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire ma per incominciare». Promettere, essendo affidabili, è essenziale per sviluppare quella fiducia senza la quale le relazioni tra persone sono un inferno. La promessa è, oltre che una dichiarazione per il futuro, una relazione in divenire, una storia che lega chi fa e chi riceve la promessa stessa. Questa deve svolgersi in maniera che il suo destinatario non ne sia l’oggetto, ma il co-protagonista. Dire 'promessa' significa dire una relazione di promessa. Essa è sempre orientata al bene, altrimenti sarebbe una minaccia. Solo una promessa amorevole può chiamarci a una consonanza di sguardo e di azione. Esistere secondo il bene: questo ci rende co-soggetti della promessa che, fatta da un essere umano o da Dio, punta comunque a una felicità, o alla salvezza. Qui c’è in gioco qualcosa di più che una facoltà della volontà di garantire qualcosa per l’avvenire. La promessa si dà per noi, prima di ogni parola data e ricevuta, come un’apertura al futuro costitutiva del nostro essere. La dignità umana, infatti, è sì un valore già incarnato in ciascuno, ma è anche la tensione verso una realtà adeguata a quel valore. Quella riconoscibile da chiunque è la promessa che noi stessi siamo in virtù della nostra dignità. Agire secondo questa dignità è ciò che possiamo fare per onorare la promessa di felicità che i genitori ci hanno fatto generandoci e che, per la fede, Dio fa all’umanità e al creato. Molti sono, per tutti, i motivi di incredulità: sofferenze, lutti, violenze. «Eppure – ha scritto Theodor Adorno – non si potrebbe percepire niente di realmente vivo, se esso non promettesse anche qualcosa di trascendente la vita». Cercare il senso dell’esistenza in una promessa significa riconoscersi nella relazione con sé, con gli altri ed eventualmente con Dio, sapendo che il vero senso delle cose non si inventa, ma sorge dalla responsabilità di essere affidabili e dall’impegno a tenere aperto un buon futuro per altri. O almeno dal tentare di realizzare tutto questo. Nella Leggenda del santo bevitore di Joseph Roth il protagonista appare inaffidabile, come ogni bevitore. Riceve un prestito e sembra fallire ogni volta l’adempimento della promessa di restituirlo. Alla fine, mentre sta per restituire il denaro, muore un attimo prima. Ma la sua consonanza con la promessa era ormai ugualmente compiuta. Perciò Roth scrive nel finale: «Conceda Dio a tutti noi, a noi bevitori, una morte così lieve e bella!».
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