Scritto da Capo redattore
Venerdì 22 Gennaio 2010 16:23
Quando lo spettacolo non aiuta la cultura
Durante la nota trasmissione di Canale 5 del Grande Fratello, spesso e volentieri alcuni dei partecipanti sono soliti condire le loro liti con l’epiteto “mongoloide”. Hanno iniziato in dicembre, mentre i concorrenti erano a tavola per la cena (la puntata su Canale 5 era finita da un’ora o forse più, la diretta continuava sul Canale Extra 1 di Mediaset Premium) e la concorrente Carmela l’ha urlato come fosse il peggiore degli insulti. Da allora non hanno più smesso.
Il reiterarsi di questi spiacevoli episodi fa male; fa male alle 49.000 persone con la sindrome di Down e alle loro famiglie che vivono in Italia e che lottano ogni giorno per far capire che avere la sindrome di Down, essere “mongoloide”, non vuol dire essere sciocchi e incapaci e quindi degni solo di disprezzo.
Avere la sindrome di Down vuol dire avere un ritardo mentale, ma essere comunque persone, persone che vanno a scuola, che si sforzano di acquisire una certa autonomia, che qualche volta lavorano, che ridono, che piangono, che hanno dei sentimenti, che sanno dare e ricevere.
Da tempo lavoriamo per abbandonare il termine “mongoloide”, proprio perché troppo spesso usato in senso dispregiativo, ma quello che davvero vogliamo non è solo abbandonare la parola, ma abbandonare l’idea che si possa disprezzare una persona.
Chi fa televisione sa che molte persone lo vedranno e lo ascolteranno, deve sapere di avere delle responsabilità, di fare, a volte suo malgrado, cultura. E se domani due bambini giocando davanti alla scuola si scherniranno chiamandosi “mongoloide”, deve sapere che ha contribuito a rinforzare questo comportamento anziché ridurlo.
Le scuse non servono a cancellare l’offesa, ma aiutano a rimettere al centro le persone. Per queste ragioni l’AIPD chiede alla trasmissione Grande Fratello di chiedere scusa a questa, forse piccola, parte di Italiani, ma non per ciò meno degna di rispetto.
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