sabato 19 maggio 2012

Se la Corte dice sì alla fecondazione eterologa servirà una nuova legge del Parlamento



18 Maggio 2012

Il prossimo 22 maggio la Corte Costituzionale si pronuncerà sulla legittimità o meno del divieto di fecondazione eterologa previsto dalla legge 40/2004 sulla Procreazione medicalmente assistita (Pma). Eugenia Roccella, ex sottosegretario alla Salute nel governo Berlusconi, ha scritto ai parlamentari italiani per sensibilizzarli su questo tema così eticamente delicato e decisivo. Questa la lettera.
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Cari colleghi,

il prossimo 22 maggio la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi sulla legittimità o meno del divieto di fecondazione eterologa previsto dalla legge 40/2004 sulla Procreazione medicalmente assistita (Pma).
Siamo dunque alla vigilia di una sentenza che potrebbe modificare un punto fondamentale di una legge su cui il parlamento ha svolto un lungo e approfondito dibattito e che tocca questioni di grande delicatezza.
Mi rivolgo quindi a tutti voi confidando nella vostra sensibilità per sottoporvi alcune considerazioni di metodo che penso possano avere qualche rilievo.




Se infatti la Consulta decidesse per una modifica del testo attuale, ci troveremmo davanti a un vuoto legislativo che necessiterebbe di una robusta regolamentazione. In altre parole: se la Consulta facesse cadere il divieto della fecondazione eterologa, il parlamento sarebbe costretto a legiferare, perchè l’insieme della normativa vigente – nazionale ed europea - non regola alcuni passaggi fondamentali. Ricorrere a una nuova legge sarebbe inevitabile perché, per i motivi che cercherò di illustrare, sarebbe impossibile affrontare adeguatamente con semplici decreti del Ministero della Salute, eventuali linee-guida, o anche accordi Stato-Regioni, i problemi che l’introduzione della fecondazione eterologa porrebbe.

E’ possibile quindi che il parlamento sia investito nuovamente di questioni che riguardano la procreazione assistita, ed è per questo che mi sembra utile, data la complessità di un argomento che intreccia una estrema tecnicalità a problematiche eticamente sensibili, affidare alla vostra attenzione informazioni e riflessioni maturate nella mia esperienza politica e di governo.
Ricordo che la legge 40/2004, che all’art.1 “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”. In forza di tali garanzie prevede un intero articolo, il 9, a tutela dei figli eventualmente nati da eterologa praticata all’estero, o comunque in violazione della legge italiana:

“1. Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l'azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall'articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l'impugnazione di cui all'articolo 263 dello stesso codice.
2. La madre del nato a seguito dell'applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita non può dichiarare la volontà di non essere nominata, ai sensi dell'articolo 30, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.
3. In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi.
Ma a parte le garanzie già previste dalla legge 40, rimarrebbero comunque molti altri aspetti scoperti. Ne elenco i principali:

Conoscenza delle modalità con cui il soggetto è stato concepito. Bisogna stabilire se il nato da eterologa ha diritto o meno di sapere se è nato da questo tipo di tecnica, e nel caso, chi ha la responsabilità di fornirgli questa informazione.
Anonimato o meno del donatore. Bisogna stabilire se il nato da eterologa ha diritto o meno di accedere all’identità della persona che ha fornito ovociti o liquido seminale, il cosiddetto “genitore biologico”. Se sì, bisogna regolamentarne le modalità: chi ha la responsabilità di dare l’informazione, a che età, se sia necessario porre condizioni. A questo proposito ricordo il recente ordine del giorno presentato dal Sen. Carlo Sarro e approvato dal Senato, relativo al ddl sul riconoscimento dei figli naturali, che impegna il governo ad assumere ogni iniziativa per garantire ai figli naturali non riconosciuti alla nascita il diritto, al compimento dei 40 anni, di conoscere l’identità dei genitori biologici. Il nostro governo, quindi, è già impegnato a recepire l’indirizzo legislativo che sta prevalendo in Europa, con cui si riconosce il diritto di ciascuno alla conoscenza delle proprie origini.
Rete parentale biologica. Bisogna stabilire se il nato da eterologa ha diritto ad accedere ai dati biografici della rete parentale del “genitore biologico”, ovvero se ha il diritto a conoscere i propri consanguinei. Se sì, anche qui vanno regolamentate le modalità.
Possibilità di rapporti incestuosi. Bisogna stabilire come un nato da eterologa possa chiedere informazioni su un partner, per sapere se è suo parente biologico o meno. La numerosità di figli dello stesso “donatore” è spesso oggetto di cronache giornalistiche scandalistiche. E’ necessario tutelare i nati da eterologa e al tempo stesso evitare indagini indiscriminate e immotivate sul patrimonio genetico dei cittadini: vanno normate le modalità di richiesta di informazioni da parte di nati da eterologa, e le modalità di accesso ai dati personali del partner con cui si vuole escludere un’eventuale parentela.
Accesso all’eterologa. Bisogna stabilire se solo uno dei due componenti della coppia ha accesso o entrambi possono far ricorso all’eterologa – cioè se i gameti con cui avviene il concepimento possano essere tutti estranei alla coppia che accede alle tecniche - nel qual caso il nato non avrebbe alcun legame biologico con i genitori sociali. Se si ammettesse questa possibilità, andrebbe valutata anche la possibilità analoga, cioè l’adozione di embrioni, un provvedimento, tra l’altro, attualmente in discussione in parlamento.
Gratuità della cessione di gameti. Il decreto 191/2007 all’art.12 prevede che: “la donazione di tessuti e cellule è volontaria e gratuita”. Qualunque indennità è esclusa, come del resto per la donazione del sangue o di altri tessuti e cellule umane. Sappiamo però che in altri paesi esiste un vero e proprio mercato nell’ambito della fecondazione eterologa, con pesanti forme di sfruttamento soprattutto a carico di giovani donne povere: sarebbe dunque di grande importanza normare questo punto attraverso una legge, che prevedesse anche una pena specifica.

Ci sono poi altri punti che si potrebbero regolare attraverso decreti ministeriali, accordi Stato-Regioni, e linee guida. Ne accenno alcuni:

Tutta la problematica della donazione di cellule, tessuti e organi, in Italia, è totalmente all’interno del servizio sanitario nazionale, in strutture rigorosamente pubbliche, e l’intera filiera – dalla raccolta del materiale biologico da donare, al trasferimento alla persona che riceve – è gestita dal pubblico. Ma i centri PMA in Italia sono anche privati non convenzionati, e quindi, se si introducesse l’eterologa, avremmo per la prima volta donazioni di cellule al di fuori del circuito pubblico, circostanza che richiede regole nuove. Per esempio per gli screening, che nel caso delle donazioni cellulari finora sono tutti a carico del servizio sanitario nazionale, proprio per la valenza pubblica delle donazioni. Ma per l’eterologa, anche in centri privati, bisogna stabilire se alcuni test sono obbligatori e gratuiti per i pazienti, ed eventualmente quali, considerando il rilievo sociale che in questo caso assumerebbero (oltre a quelli di tipo infettivo) i test genetici, da farsi sui gameti e/o sui donatori.
Condivisione dei gameti. Una modalità di accesso ai gameti è quella secondo cui chi ne ha prodotti in “sovrappiù” rispetto alle necessità durante i trattamenti di fecondazione assistita, potrebbe metterli a disposizione di chi ne richiede. Negli altri paesi esiste per esempio l’”egg sharing”, la condivisione di ovociti. Bisogna stabilire se ammettere o meno questa possibilità, ed eventualmente stabilirne le modalità, sempre garantendone la totale gratuità.
Numerosità delle “donazioni”: è necessario stabilire se c’è, ed eventualmente quale sia, un numero massimo di “donazioni” che può fare chi è disposto a cedere i propri gameti.

Esiste poi il problema delle informazioni che le biobanche di gameti possono gestire. E’ noto che nei paesi in cui l’eterologa è ammessa, le coppie che vi accedono hanno la possibilità di scegliere alcune caratteristiche dei “donatori”, spesso in veri e propri cataloghi: aspetti somatici, appartenenza etnica, ma anche livello di istruzione e persino religione. Talvolta sono richieste anche foto da bambino del donatore.
Una modalità di questo tipo contrasta con l’assetto normativo italiano. La legge 40 vieta esplicitamente “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti “, (art.13, comma 3b).
Recentemente, poi, la Corte di Cassazione (Cassazione Civile, sezioni unite, 1 giugno 2010, n. 13332), ha stabilito che “l’adozione internazione di minori non può avvenire in base a preferenze etniche”: la sentenza sottolinea inoltre che, ove detto rifiuto (degli adottanti all'accoglienza di un minore appartenente ad una determinata etnia ndr) si concreti in un'espressa opzione dinanzi agli organi pubblici, tale condotta dev'essere apprezzata dal giudice di merito nel quadro dell'idoneità all'adozione, evidentemente compromessa da una disponibilità condizionata al possesso da parte del minore di determinate caratteristiche genetiche.
Pur essendo adozione e procreazione assistita due fattispecie assai diverse, il principio della non discriminazione alla base della sentenza della Cassazione non può non essere esteso anche alle norme sulla Pma, considerando che, in generale, in Italia non ci sono leggi eugenetiche.
E’ necessario quindi normare le modalità di gestione dei dati personali dei “donatori” da parte delle biobanche, in accordo con la giurisprudenza del nostro paese.

Nel caso in cui la Consulta dovesse abolire il divieto di eterologa, quindi, il parlamento sarebbe costretto a legiferare, per colmare l’evidente vuoto legislativo che getterebbe nella confusione prima di tutto gli operatori sanitari coinvolti, oltre che le coppie.  Non è possibile introdurre una procedura di fecondazione assistita – l’eterologa – non regolata, all’interno di un quadro normativo ben preciso e coerente – la legge 40.
Se la legge 40 venisse modificata dal pronunciamento della Consulta, presenterò subito, insieme ad altri parlamentari, una proposta di legge per regolare la nuova situazione, che toccherà tutti i punti sopra enunciati, per evitare che il vuoto legislativo che ci troveremmo davanti favorisca il diffondersi e il consolidarsi di pratiche incongrue con il nostro assetto normativo. Una nuova legge per evitare un nuovo “far west” delle pratiche di Pma, come quello che già si era prodotto nel nostro paese prima della legge 40.
Nella consapevolezza che su questo tema ci sono visioni e indirizzi diversi e che comunque le questioni a cui ho accennato non possono essere affrontate su un piano meramente ideologico ma interpellano le singole coscienze, non ho dato qui indicazioni di merito. Sono certa però che come membri del parlamento ciascuno di voi dia ai punti e ai problemi che ho elencato il giusto peso per affrontarli, eventualmente, con la consapevolezza e la responsabilità necessarie.


Cordiali saluti,



On. Eugenia Roccella

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