domenica 6 maggio 2012
Sono rimasto assai colpito dalla lettera con la quale don Julián Carrón ha scritto al direttore di Repubblica per manifestare con grande sincerità il senso di mortificazione e di sconforto provato in queste settimane di fronte agli interventi continui e pressanti dei giornali che hanno denunciato le condotte di uomini appartenenti ai vertici di Comunione e Liberazione. Formigoni avrebbe creato un sistema costituito da canali privilegiati e relazioni più o meno fiduciarie che probabilmente sfuggono a una qualificazione giuridica in termini di diritto penale ma che sono il segno di un possibile abuso di una posizione di potere.
Indubbiamente il sistema mediatico del nostro Paese sta assumendo come linea di intervento nella vita pubblica l’attacco personale e la delegittimazione di ogni esponente politico di rilievo, come per altro è accaduto in questo stesso periodo nei confronti di Bossi e del suo entourage che sicuramente ha tratto vantaggi personali dalla posizione di capo indiscusso del proprio leader. Confesso che non provo alcuna simpatia per un tipo di giornalismo tendente essenzialmente a produrre la continua esplosione di scandali che in ultima istanza favoriscono quella deriva populista e antipolitica che sta attraversando il nostro Paese.
Ma la questione posta dalla lettera di Carrón si colloca giustamente al di là e al di sopra di questa situazione di per sé torbida ed inquietante. Anzitutto Carrón dichiara senza mezzi termini che, qualunque sia la fondatezza delle accuse, è per lui fonte di dolore costatare come la missione spirituale di Comunione e Liberazione sia coinvolta in vicende poco edificanti che possono minare la credibilità della stessa missione evangelica che Carrón considera essenziale per l’identità del movimento di cui egli stesso è il punto di riferimento etico. Carrón non ha alcuna difficoltà nell’ammettere che, nonostante le montature che possono esserci state, resta tuttavia il fatto che esponenti importanti del movimento siano percepiti come uomini di potere e non come uomini di fede, e che la loro attività sia esattamente il contrario della coerente applicazione delle proprie convinzioni religiose.
Come appartenente alla storia del Partito comunista italiano non posso non capire la sofferenza che Carrón manifesta nell’assumersi pubblicamente la responsabilità anche dei comportamenti devianti, e nel chiedere ai militanti del movimento di Comunione e Liberazione di farsi carico della necessità di combattere in ogni modo le spinte alla personalizzazione del potere e alla creazione di sistemi autoreferenziali in cui la gestione delle risorse pubbliche non è espressione di una logica caritatevole, ma di un narcisistico bisogno di stare sulla scena pubblica solo per il potere che si esercita. All’interno del mio partito funzionavano regole molto rigorose di controllo e il mito dell’onestà personale assumeva un vero e proprio carattere ideologico distintivo. Perciò ho vissuto anch’io con molta sofferenza le situazioni in cui specialmente il rapporto tra il partito e il mondo delle cooperative rosse lasciava intuire collusioni con i poteri economici e con i comitati d’affari nell’assegnazione degli appalti pubblici. Nella mia esperienza ho sempre combattuto anche la logica semplicistica che il fine giustifica i mezzi, e che per finanziarie le “opere buone” del partito si poteva consentire a soggetti collaterali di partecipare agli affari delle “opere cattive”.Purtroppo viviamo in un’epoca in cui l’idea per cui bisogna conquistare il consenso fondamentalmente col proprio esempio pratico e con la propria vita specchiata è stata progressivamente sostituita dalla costruzione di sistemi di potere che assicurano consensi sulla base del puro scambio di privilegi e protezione alla cerchia dei propri “clienti”. Ciò che succede in questo momento al governatore della Lombardia appartiene a una fase storica del nostro Paese in cui affarismo e occupazione di potere hanno creato una perversa catena di piccoli abusi e di piccoli vantaggi che rendono assai poco credibile ogni impegno politico. Nel vecchio Pci in cui sono vissuto, l’idea della politica come servizio veniva assunta come un carattere genetico. Il tema posto da Carrón, come ha sottolineato Violante, in realtà riguarda tutta la vita pubblica del nostro Paese, lo stile di comportamento e le condizioni etiche che rendono credibile chiunque assuma ruoli di governo locale o nazionale.
Il tema sollevato dalla lettera di Carrón ha tuttavia, a mio modo di vedere, implicazioni più profonde che riguardano i criteri ispiratori che debbono guidare la condotta pratica di chi, dichiarando pubblicamente la propria appartenenza ideale, si trova ad esercitare un potere le cui modalità e le cui conseguenze non sono limitabili alla sua sfera personale. Proprio per la rilevanza del tema che coinvolge il punto decisivo della coerenza tra le parole e le azioni, non penso che la vicenda del governatore della Lombardia possa ridursi al tema di una pecorella smarrita verso la quale si può anche suscitare una comprensione amorevole. La posta in gioco della questione sollevata da Carrón abbraccia due aspetti che si intrecciano profondamente: 1. Cosa dovrebbe caratterizzare l’azione politica di un uomo che assume la propria identità religiosa come un connotato costitutivo della sua personalità pubblica? 2. Come si misura l’esercizio del potere degli uomini politici che militano in organizzazioni caratterizzate da una visione ideale e non strumentale del potere?
Sulla prima questione sono molto netto: è vero che bisogna distinguere l’ispirazione e la pratica di un movimento religioso, ma è altrettanto indiscutibile che a chi fa una professione pubblica di fede si deve poter chiedere un rigore inflessibile nell’esercizio del potere che si trova ad esercitare. Si possono fare tutte le distinzioni che si vogliono ma il governatore della Lombardia è rispetto all’opinione pubblica un membro importante di Comunione e Liberazione che svolge la funzione politica di governo anche in virtù della percezione che il pubblico ha avuto della sua persona come uomo di fede e disinteressato alle conquiste personali. Se questa confusione tra ruolo politico e statuto personale di uomo di fede è alla base di sospetti e insinuazioni vuol dire che c’è qualcosa di più profondo che riguarda il rapporto tra la fede e il potere pubblico. Io personalmente ho grande simpatia per il movimento di Comunione e Liberazione per la testimonianza di fraternità che ho potuto riscontrare in vari incontri in tante città e Paesi, ma sono convinto che per far prevalere la missione spirituale di cui parla giustamente Carrón è necessaria una “riforma pratica” che non riguardi soltanto una persona determinata come Formigoni, ma l’intero sistema del rapporto fra chi si professa cristiano e la partecipazione alla vita politica nazionale.