IL GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA: GUADAGNO MENO DI 100 MILA EURO ALL'ANNO, LÌ NE SPESI 5.000
«Su Comunione e liberazione maso chiuso faccio volentieri autocritica»
Roberto Formigoni
MILANO - Presidente, una cosa che non rifarebbe?«Non rifarei le vacanze che ho fatto a Natale del 2008 e del 2009».
Roberto Formigoni risponde quasi di getto, nel mezzo di una lunga analisisull'editoriale di Ernesto Galli della Loggia dedicato al caso di Comunione e Liberazione. Una analisi in cui il governatore, mai indagato ma finito sotto i riflettori dopo gli scandali che hanno travolto il San Raffaele e la Fondazione Maugeri e per i quali sono in carcere il faccendiere Piero Daccò (con il quale Formigoni era in vacanza, giusto a Natale del 2008 e del 2009, ai Caraibi) e l'imprenditore ciellino Antonio Simone, dichiara più volte di essere «pronto all'autocritica» e di «condividere alcune riflessioni di Galli della Loggia».
Le riflessioni del professore sono molto dure. Che cosa condivide?
«Il fare politica è insito nel fatto cristiano, perché il cristianesimo che non è una teoria ma un avvenimento che coinvolge la totalità della persona: il cristiano, il cattolico, è chiamato ad assumersi questo rischio, pur sapendo che si può sbagliare. Noi ciellini preferiamo rischiare di sbagliare, piuttosto che stare fermi e immobili a bordo campo, perché la società ha bisogno di chi fa politica».
Roberto Formigoni ha sbagliato?
«Posso aver sbagliato e ho sbagliato tante volte. Ma non mi pento di essermi misurato con questa sfida».
Della Loggia denuncia la tentazione della separatezza e dell'egemonismo del mondo cattolico. Cl è un «maso chiuso»?
«Sono consapevole del fatto che tentazione ed egemonismo siano due errori da evitare. Quanto al maso, io sono ciellino di base da 50 anni e dico: se diamo questa impressione, se un esterno ha questa immagine, volentieri accettiamo di fare autocritica. Giussani ci ha bastonati infinite volte perché non fossimo autoreferenziali: ci ha ripetuto che compito del cristiano nel mondo è la presenza, non l'egemonia. Facciamo autocritica, lo ha fatto anche Carrón».
La lettera di don Carrón a «Repubblica» va in questo senso?
«Certo. Accetta le critiche, le assume su di sé».
Nella lettera di don Carrón, quando parla di uomini che sbagliano, si è sentito chiamato in causa?
«Sì, come ogni altro ciellino all'interno della propria condizione di vita e responsabilità. Per questo ho scritto che le sue parole mi costringevano a purificarmi e ripartire: ma Carrón non ha fatto prediche a nessuno, non ha detto Voi, ma Noi».
Si è sentito abbandonato dal movimento?
«Mai, neppure un istante. Semmai mi sento sempre in dovere di rendere conto dei miei atti: la politica è responsabilità».
Quindi, la cosa che non rifarebbe?
«Non rifarei le vacanze che ho fatto nel 2008 e 2009. Sono andato due volte ai Caraibi, a mie spese, non in alloggiamenti faraonici. Guadagno meno di 100 mila euro netti all'anno e mi sono permesso questa vacanza da 5 mila euro: non lo rifarei, soprattutto considerato il momento di crisi che impone a tutti sobrietà».
Lei è una persona sobria?
«I lombardi mi conoscono. Sanno qual è il mio tenore di vita, sanno che lavoro 10-12 ore al giorno, sanno che incontro e rispondo a tutti, che non me la tiro anche se qualche volta mi piace mettere una maglietta colorata, cantare e ballare in compagnia perché non sono un musone».
La sanità in Lombardia è a sua immagine?
«Governo la Regione da 17 anni, ma non sono mai stato da solo. Se in Lombardia la sanità funziona, come tutti riconoscono, è anche merito degli alleati con cui abbiamo lavorato: Forza Italia, An e l'Udc prima; la Lega e il Pdl dopo. Ricordo il lavoro enorme dell'assessore Borsani, del leghista Cè che aveva introdotto con le sue delibere le funzioni non tariffabili, dell'assessore Bresciani».
Perché nella sanità lombarda contano così tanto i ciellini?
«Non è vero. Su 53 posizioni apicali, soltanto sei sono affidate a persone della fraternità e Cl e la Compagnia delle Opere non possiedono ospedali».
E tutti questi medici obiettori in Lombardia?
«La Lombardia è il regno della libertà e i medici lombardi non sentono Formigoni come un dittatore, via...».
L'autocritica riguarda anche il suo ruolo di amministratore?
«Certamente. Sento l'esigenza di avviare una revisione radicale delle politiche regionali che abbiamo messo in piedi. Dobbiamo ripensare il modo di fare amministrazione pubblica ai tempi della crisi: abbiamo meno risorse e più domande di aiuto. Formigoni guarda avanti e, senza volontà di egemonismo ma aperto al contributo anche critico di tutti, cerca la strada migliore per essere utile ai cittadini lombardi».
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