giovedì 17 maggio 2012
Il feto già riconosce la voce della madre quando ancora è nel pancione. Questo è quanto mostra uno studio francese – il primo autore è Renaud Jardri -pubblicato sulla rivista International Journal of Developmental Neurosciences di aprile. Questa capacità è stata mostrata con l’uso di raffinate tecniche di risonanza materna, che registrano l’attivazione della corteccia cerebrale temporale già dalla trentesima settimana di gestazione. E uno studio canadese fatto al Kingston General Hospital mostra che il battito del cuore si accelera nel feto quando sente la voce della mamma.
Cosa impara da questi studi chi accetta di non avere pregiudizi? In primo luogo che la scienza è un’apertura alla bellezza: cosa c’è di più bello di vedere uno spettacolo normalmente nascosto come quello della vita prenatale, per millenni restato nel mistero del buio uterino? Il secondo punto è la chiarezza che il feto è davvero un bambino, e che reagisce, ricorda, impara proprio come un bambino già nato. Dentro l’utero c’è un universo in rapido sviluppo: è il mondo della nostra vita prenatale, come ricordava a suo tempo anche Pier Paolo Pasolini, che ricordava alla sinistra come si era allontanata dal sentire del popolo per seguire le sirene di un egoistico individualismo. Il feto in sviluppo sente le voci, i sapori, gli odori, e anche il dolore se disgraziatamente gliene facciamo. Proprio per questo si è sviluppata anche l’arte di somministrare analgesici al feto durante gli interventi chirurgici che può subire prima di nascere. Già, perché il feto può anche essere curato chirurgicamente, in un paradossale susseguirsi di stati: dalla vita fetale a quella all’aria aperta seppur attaccato al cordone ombelicale quando si opera, e poi ancora vita fetale, fino alla nascita naturale. Chi suppone che la vita inizi alla nascita ha il suo bel daffare per giustificare questo paradosso di una non-vita che diventa vita, poi torna non vita e poi ancora vita… Proprio come accade per il feto di canguro che esce dall’utero e nasce, ma poi torna a passare la seconda parte della sua vita fetale nel marsupio, fino alla seconda nascita.Paradossi che ci fanno riflettere: la nascita non cambia proprio niente nello stato morale e davvero poco nello stato fisico di un individuo, perché la vita è un continuum sin dal concepimento, e perché solo una grossolana disattenzione ci fa pensare che la vita fetale sia una vita “in sospeso”, o “in un lungo sonno”, mentre è piena di sensazioni, utili sia a modella re il sistema nervoso sia a preparare alla vita all’aria aperta.
Proprio per questo esistono addirittura dei corsi di educazione prenatale, che aiutano le mamme a prendere coscienza di questa evidenza e soprattutto a sfruttarla positivamente, entrando in contatto col loro bambino prima della nascita tramite il canto, il massaggio attraverso il pancione e alla capacità di sentire i movimenti di risposta del feto. Che consolazione per tante donne scoprire di avere in sé questa compagnia, forse una delle poche persone (è una personcina!) che ti amano non per come sei ma semplicemente perché ci sei! Come ho detto in arie occasioni, è proprio il caso di cancellare la parola “feto” dal nostro vocabolario, perché è un termine stigmatizzante quel livello del nostro sviluppo che si vuole tener distinti dagli altri perché non gli viene riconosciuto pari diritti rispetto agli adulti. La parola “feto” originariamente significava “cucciolo” tanto che viene da una radice sanscrita che significava “succhiare”. Poi nel tempo, soprattutto negli ultimi 50 anni si è diviso drasticamente il prima-della-nascita dal dopo. Sarebbe bello se l’utero fosse trasparente, ma con le ecografie e con la scienza in pratica lo è diventato: che guaio per chi sostiene che il feto non è “qualcuno” ma è “qualcosa”!