lunedì 30 luglio 2007

SCHERZATE PURE COI SANTI MA PROVATE A FARLO CON MAOMETTO

Tratto da TEMPI del 26 luglio 2007

di Giorgio Israel


È scoppiata la passione per il nuovo gadget della Apple, il telefono iPhone, che poi, come è stato detto, non serve solo a telefonare ma serve a tutto, salvo che a radersi la mattina. Da irriducibile adepto della Apple non posso che mettermi in lista d'attesa per l'acquisto.

Navigando in rete ho scoperto che il mito del patron di Apple, Steve Jobs, sta suscitando da tempo un'adorazione di tipo mistico-religioso. Il magazine New York ha dedicato la "cover story" al nuovo cellulare "intelligente", proponendo una copertina con la foto di Jobs accompagnata dalla scritta "iGod". E nella vignetta riprodotta qui sotto, che è stata pubblicata sul Washington Post, si vede Jobs che scende ieratico dal monte Sinai con due iPhone al posto delle tavole della legge. Il popolo "eletto" plaude gridando: «It's almost here!». Non penso affatto che ci si debba scandalizzare per questo uso umoristico del sacro. Anzi, quella vignetta costituisce una divertente e sana parodia di un certo tecnofeticismo dilagante che sconfina nell'idolatria, e fa pensare alla frase di Walter Benjamin secondo cui non c'è nulla di più ridicolo del modo in cui, nelle società moderne, viene presa sul serio la tecnologia. Tutto il contrario del messaggio che viene trasmesso da una pubblicità che mi è caduta di recente sotto gli occhi sfogliando un rotocalco. Era la pubblicità di un Suv di una nota casa automobilistica. Sotto la foto del veicolo campeggiava la scritta cubitale "Non avrai altro Suv al di fuori di me". Qui la pubblicità usa in modo volgare il riferimento al comandamento biblico esibendo senza ironia proprio l'atteggiamento ebete di fronte alla tecnologia ridicolizzato dalla vignetta del Washington Post.

Resta il fatto che l'unico tema che il politicamente corretto e il terrore dell'islam ci hanno lasciati liberi di trattare, bene o male che sia, è il sacro delle religioni dell'Occidente, ebraismo e cristianesimo. Viviamo in società che inventano termini ridicoli e imbecilli, come "non vedente", "non udente", "non deambulante" e persino "diversamente abile" al posto di "disabile"; in cui se ti scappa di dire "indiano" invece che "native American" vieni proposto per la sedia elettrica; in cui per non offendere gli omosessuali si propone di non farsi più chiamare "papà" e "mamma". Però si possono fare "vignette danesi" sul Dio della Bibbia, su Mosè e su Gesù Cristo. A Bologna è stata annullata in extremis una mostra su "la Madonna piange sperma", e l'associazione Arcilesbica ha proposto una mostra sui "Dieci Comandamenti" in chiave lesbica. Sulla stampa italiana coloro che hanno protestato contro la messa in scena a Venezia del balletto sadomaso Messiah Game, ispirato al Nuovo Testamento, sono stati definiti per lo più come "cattolici integralisti". Sono gli stessi giornali che - assieme ai politici che si sono stracciati le vesti contro i tentativi di imporre la censura - a suo tempo deplorarono le vignette danesi su Maometto in quanto offensive dell'islam. Nel frattempo è stato consigliato alla missione Unifil in Libano di non esibire simboli e stendardi cristiani come il Leone di San Marco o la Croce di Lorena. E però, mentre continuiamo ad imbrattarci da soli in questo modo vile e indecoroso, ci prostriamo devoti di fronte alla sacralità del velo islamico e della sharia, e la nostra nobile e decantata laicità mostra il suo autentico volto di miseria. Sarebbe un gran successo se qualche giornale riuscisse a rifare la vignetta del Washington Post in versione musulmana e certi pubblicitari cercassero soccorso alla loro fantasia inaridita altrove che tra i Dieci Comandamenti.



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