"la fatica degli interpreti non si puo' liquidare d'ufficio"
Di Alberto Melloni
La presentazione del volume del Papa fatta dal cardinal Martini testimonia le potenzialità e i problemi posti da un'opera che prosegue, dentro il servizio papale, lo stile con cui il cardinale Ratzinger, pur prefetto della dottrina della fede, s'era preso la libertà di entrare ut privatus magister nella discussione teologica. Il recente libro su Gesù si muove in questa direzione.
Chiede semplicemente un ascolto amichevole delle tesi che esprime: ma, come nota Martini, non è proprio agevole distinguere questi piani e leggere quest'opera come quella di un qualsiasi autore: e questo non solo a causa della copertina, ma del contenuto. Certo sarebbe un servizio prezioso se questo Gesù di Nazareth aprisse una discussione molto serena e molto profonda sullo statuto dell'esegesi storico-critica, sulle ragioni della indifferenza che essa suscita in troppa predicazione cattolica, sullo sprezzo con cui la tratta un conservatorismo facilone e ignorante, sulle ragioni che vedono sempre più basso sull'orizzonte della vita cristiana la figura di Gesù, sul suo abbandono alle edulcorazioni settarie o agli approcci faciloni eccitati dall'odore di una rivincita anti illuminista.
Ma sappiamo tutti che è una ipotesi remota. Sì: il cardinal Martini, dall'alto della sua competenza di studioso del testo del Nuovo Testamento, al riparo della porpora e della luminosa testimonianza di sapienza cristiana, può permettersi qualche cautela quando il Gesù di Ratzinger tratta con la disinvoltura di chi pensa che in fondo tutto ciò che ha affaticato generazioni di esegeti possa essere liquidato in poche frasi. Per molti altri, per tutti gli altri, problematizzare il metodo e le posizioni del libro non magisteriale del romano pontefice significa assumersi un rischio, il che nella chiesa non è mai positivo. Bisogna prenderne atto, così come bisogna apprezzare che Martini, ancora una volta, scelga di difendere, assumendola su di sé, la liceità di una posizione «altra» sulle materie che lo consentono o lo esigono.
Al tempo stesso conviene essere serenamente consapevoli che il libro di Ratzinger papa non pone rimedio (e se mai aggrava) il problema dei problemi del cattolicesimo degli ultimi 250 anni, che è quello della cultura del clero. Esso legittima con l'autorità di un fine intellettuale una pericolosa diffidenza verso la ricerca, in nome di una eloquenza teologica nel presente della fatticità evangelica assunta in modo acritico e concordistico. E a un clero che studia sempre meno, sempre peggio, il Gesù di Ratzinger non servirà per coprire la superficialità che riluce oggi senza bisogno di commenti dalla vetrina delle librerie religiose, non solo in Italia?
Al di là degli effetti, però Martini accenna a quello che secondo me è il nodo centrale del libro per il futuro della Chiesa: perché nel Gesù di Ratzinger, infatti, l'insieme dei testi e racconti ha un solo significato che è perfettamente coincidente con la fede come espressa dal credo ed è perfettamente rappresentato nella Chiesa, specialmente dove essa resiste come controcultura. È una prospettiva che scalza tutto il dinamismo di riforma che dal IV al XX secolo ha invece colto nell'oggi le rughe di una infedeltà dolorosa della Chiesa e nella riscoperta della verità evangelica la grazia per la riforma. Anche su questo si dovrebbe riflettere, pensare, dialogare: o forse si riflette e si dialoga già, al riparo della concorrenza fra best sellers a sfondo gesuano.
Corriere della sera, 25 maggio 2007
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