venerdì 25 maggio 2007

NEL TEMPO DELL'IMPERATIVO RELATIVISTA;RATZINGER SCRIVE DI UN CRISTO CHE CI CHIEDE TUTTO


Ringraziamo Esterina che ci ha segnalato quest'articolo

Tempi num.21 del 24/05/2007
Tirabaci tirapugni
Nel tempo dell'imperativo relavitista, Ratzinger scrive di un Cristo che ci chiede tutto
di Corradi Marina




Il Gesù di Nazaret di Benedetto XVI è una sfida. Sfida prima di tutto a noi, normali cristiani, che in Cristo vogliamo credere, e però siamo abitati da una sotterranea esitazione a fidarci totalmente di ciò che ci è promesso. Figli di un tempo che ci ha insegnato a dubitare di tutto, e soprattutto di ciò che non possiamo misurare e provare scientificamente, ogni giorno ci troviamo divisi fra questo dubbio e la pretesa assoluta delle parole di quell'uomo nato duemila anni fa. La sfida di Benedetto XVI è prima di tutto una domanda antica: «E voi, chi dite che io sia?». Dio, oppure semplicemente quel buon maestro di pii sentimenti cui la cultura contemporanea vorrebbe ridurre Cristo, come unica condizione per tollerarlo?
Già, e noi, chi veramente crediamo che lui sia? Il Papa ci parla, nel bellissimo capitolo sulle Tentazioni nel deserto, di un Cristo profondamente uomo, che affronta le sfide degli uomini di ogni tempo. Quella di fare a meno di Dio, o di creare un mondo giusto senza di lui - che è l'inganno costante della storia, dal marxismo a ognuna delle nostre rivoluzioni fallite. Ma quest'uomo che conosce tutti i nostri pensieri dice di se stesso: «Prima che Abramo fosse, Io Sono». E calca, la penna del Papa, e ritorna su questa inaudita pretesa. In un richiamo ostinato a scegliere: non sono un buon maestro, «Io Sono».
Così che chi legge si trova costretto a scegliere, di nuovo, e con nettezza. Chi è dunque quell'uomo? Davanti al Gesù di Benedetto XVI non si può restare neutrali. E, se si sceglie per il sì, che Dio esigente è questo: «Senza il naufragio di ciò che è soltanto nostro, non c'è redenzione». Pretesa totale. E straordinaria bellezza, in tempi in cui ci hanno educato ad accontentarci di poco, di un Dio esigente.
Ma come stare, noi cresciuti nel relativismo e nel pensiero debole, noi divisi fra speranza e cinismo, di fronte a questa domanda? L'uomo che il Papa pare mostrare è il Vir desideriorum del Libro di Daniele, sono gli uomini «che non si accontentano della realtà esistente e non soffocano l'inquietudine del cuore» . I cercatori di infinito, quelli che non stanno tranquilli, quelli che vogliono "tutto". Quelli che, per trovare ciò che cercano, sono disposti anche a rinunciare a se stessi. E nel tempo dell'autonomia più orgogliosa, di una collettiva egopatia narcisista, leggendo il Papa viene in mente una frase di Lewis : «L'Io esiste, perché possa abdicare». Un abdicare da sé che per il mondo è folle, e in cui pure, nella testimonianza di chi l'ha fatto davvero, si riconosce una pienezza che nulla ha a che fare con le nostre brevi soddisfazioni. Sfida totale in quel libro, percorsa costantemente per chi legge da un indicibile timore. Di questo Cristo, si corre il rischio di innamorarsi - e chi sa dove poi ci potrebbe portare.

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