su cosa investire perché non prevalga l'orrore e la desolazione? Forse alle belle parole, alla retorica che parla astrattamente di ripresa, di speranza, e che proprio usando vuotamente quelle parole le impoverisce, avvelena e indebolisce mortalmente? No, occorre guardare dei fatti.
Tanto più quando questi fatti danno indicazioni generali. E documentano che il modo per non andar sotto l'onda della crisi c'è.
È ufficiale: chi studia fa una posizione al Paese
Avvenire 21 settembre 2008
DAVIDE RONDONI
Nei mo¬menti di crisi – e ce n'è parecchia in giro – si è portati al pessimismo. È più facile accodarsi al coro dei lamenti. E del resto, chi volesse provare a reagire in qualche modo, da che parte può guardare, a cosa appigliarsi? Mentre grandi aziende del Paese si avvitano, e da Oltreoceano arrivano notizie funeste sull'economia dove orientare resistenza e sforzi? E mentre ripetuti episodi di violenza e scontri, violentissimi e squallidi, mostrano che in Italia siamo alla guerra tra poveri e tra bande, su cosa investire perché non prevalga l'orrore e la desolazione? Forse alle belle parole, alla retorica che parla astrattamente di ripresa, di speranza, e che proprio usando vuotamente quelle parole le impoverisce, avvelena e indebolisce mortalmente? No, occorre guardare dei fatti.
Tanto più quando questi fatti danno indicazioni generali. E documentano che il modo per non andar sotto l'onda della crisi c'è. Ieri questo giornale riportava un dato emerso da lunghe e autorevoli ricerche. Il cosiddetto Pil, che uno degli indici più chiari per misurare la ricchezza di un Paese, crescerebbe di un punto se gli italiani studiassero mediamente tre anni di più. Negli Usa la media di istruzione e formazione è 12 anni. Gli italiani studiano in media 9 anni. La differenza, secondo la vasta ricerca presentata l'altro giorno dai giovani di Confcommercio, vale 12mila euro pro capite di differente remunerazione media. In questo elemento sta uno dei motivi della saldezza della società americana anche di fronte alla crisi finanziaria che sta cambiando il volto della borsa di New York e imponendo la ristrutturazione di un'intera economia. Insomma, i dati dimostrano che studiare conta. Che formarsi conta. Anzi, che è una dele risorse certe per il Paese per alzare il proprio livello e rispondere alle crisi. Conteranno le riforme e gli investimenti. E conterà, come si dice, anche la voglia. Un giorno una anziana signora ospite in una casa di riposo mi disse: «Ci vuol dell'ambizione anche per fare un po' di sugo». Ci vogliono gli investimenti del governo, e ci vuole l'ambizione dei ragazzi. La sana ambizione di migliorarsi, studiando. Troppo rapidamente siamo passati da anni in cui studiare per farsi una posizione era un sacrificio e un valore a cui famiglie di ogni parte e di ogni censo d'Italia richiamavano i loro ragazzi, ad anni – questi – in cui è diffusa, secondo la ricerca, la realistica sensazione che i meriti di studio acquisiti valgano poco. È salutare che si discuta, anche accanitamente, di scuola, di riforme, e si cerchino le soluzioni migliori.
Per il futuro del Paese, per intenderci, valgono più le discussioni sulla scuola che quelle su Alitalia. Troppo rapidamente gli italiani hanno smesso di credere nella educazione e nella preparazione. Ora il recupero pare arduo. Se il dibattito innestato dalle proposte del ministro Gelmini non si ridurrà a sterile contrapposizione ma segnerà un passo avanti per 'guadagnare' almeno quei tre anni di istruzione media, allora c'è da sperare. È un obiettivo politico e sociale importante e urgente. I dati ci dicono che puntando su questo fattore di sviluppo, aumenta la ricchezza del Paese. Mirando ad altro rischia – come ben si vede in questi giorni – di affidarci a illusioni.
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