Opere in corso
L’avventura della carità
Lia SIlanos
01/06/2000 Tracce
La caritativa con ragazzi disabili. Un’esperienza nata vent’anni fa. Segnata dall’incontro con Giovanni Paolo II e da una messa celebrata da don Giussani. La testimonianza di chi da anni vi lavora
L’alecrim è un fiore selvatico, come racconta un’antica canzone brasiliana, che nasce spontaneamente, senza essere seminato. Alecrim è il nome dato all’esperienza, nata nel 1979, di alcuni amici che decidono di condividere parte del loro tempo con ragazzi disabili e le loro famiglie, ogni due domeniche presso alcuni oratori di Busto Arsizio, in provincia di Varese.
Un’amicizia cresciuta nel tempo tra pomeriggi trascorsi stando semplicemente insieme, cantando, giocando, facendo gite. Le persone che vent’anni fa si sono lanciate in quest’avventura ora sono sposate e hanno figli e continuano a venire in caritativa. E ci portano anche i bambini. «Io e Luciano - racconta Laura, la moglie - siamo consapevoli che la felicità dei nostri figli è compito di un Altro e noi la possiamo solo desiderare vivendo ciò che abbiamo incontrato. Per questo ci sta a cuore che Tommaso e Filippo vengano con noi in caritativa, perché possano incuriosirsi vedendoci vivere e seguire questa realtà». La testimonianza che danno, facendo questo gesto, rende chiaro come l’esperienza della carità non appartiene a un periodo della vita, ma è una grazia che continua e a cui rispondere. I passi decisivi della storia dell’Associazione sono stati l’incontro in San Pietro con papa Giovanni Paolo II nel settembre del 1986, e una visita di don Giussani durante un pomeriggio di caritativa a Busto Arsizio, che ha celebrato la messa e si è commosso guardando i nostri ragazzi. Da quell’inizio, il gruppo dell’Alecrim è cresciuto, molti giovani si sono aggiunti. La modalità dello stare con i ragazzi è quella dell’abbinamento: ad ognuno è affidato un ragazzo a cui fare compagnia.
«All’inizio la situazione è spiazzante - raccontano alcuni volontari -, non sai come stare di fronte a queste persone. Per fortuna ci sono gli altri cui guardare, per la naturalezza e la familiarità con cui si sta insieme. E allora i rapporti diventano un’affezione che ti aiuta a capire dove sta la dignità dell’altro». «Andando in caritativa - continuano - si scopre che chi vai ad aiutare, a sostenere è fatto della tua stessa stoffa: ha delle preferenze e delle antipatie. Cerca la nostra stima, il nostro affetto, ci mostra cosa ha imparato di nuovo: poesie, canti, imitazioni. Le domeniche con loro sono fatte soprattutto di questo. Il problema del rapporto con loro è allora un falso problema. Ti ritrovi coinvolto in un’affezione identica a quella che provi per le persone più care».
Un’affezione che trascina tutti, in estate e in inverno, una settimana in montagna. Si prega insieme, si gioca divisi in squadre, alcuni amici li raggiungono per raccontare ai ragazzi la loro esperienza, si va in gita, e alla fine l’assemblea. Lo scorso settembre Carmen, una ragazza disabile, si ammala gravemente. «La prima reazione è stata quella di una domanda arrabbiata che chiedeva per quale ragione dovesse essere aggiunto un peso così grande alla fatica che Carmen e la sua famiglia già facevano», raccontano gli amici dell’Alecrim. «L’unica cosa che potevamo cercare era il rivelarsi e il permanere di una Presenza - vanno avanti -. E a questa presenza abbiamo cominciato a chiedere tutto. Siamo andati a Trivolzio, da san Pampuri. Un giorno la mamma di Carmen ci ha detto: “La cosa più grande, l’unica cosa di cui ho bisogno, la state facendo voi chiedendo che accada un miracolo”». Nel fare compagnia a Carmen, nei difficili giorni della malattia, i giovani dell’Associazione hanno capito che bisognava essere disposti a rispondere a ciò che stava accadendo. «Negli ultimi giorni con lei, quando ormai la malattia l’aveva resa incosciente, le uniche cose da fare erano sollevarla, cambiarla, accarezzarla». Carmen è morta il 10 dicembre. Al funerale, durante la lettura dei ringraziamenti, i ragazzi dell’Alecrim si sono sentiti chiamare amici. «Non sta a noi decidere come le cose finiscono - racconta Lara -. La grandezza dell’uomo è imparare ad amare e servire un Altro in quello che gli capita».
di Lia Silanos
Nessun commento:
Posta un commento