Con questo blog desidero dare la possibilita' a tutti di leggere articoli ,commenti ,interventi che mi aiutano a guardare la realta', a saperla leggere ed essere aiutati a vivere ogni circostanza positivamente. Mounier diceva "la vita e' arcigna con chi le mette il muso" (lettere sul dolore). E' importante saper abbracciare la realta' tutta per poter vivere la giornata con letizia.
venerdì 30 marzo 2007
CON ISLAM E GIUDAISMO IN COMUNE NON C'E' SOLO LA FEDE NELL'UNICO DIO,MA ANCHE LA FIDUCIA NELLA RAGIONE
Schönborn, dal logos al dialogo
«Sulla difesa della vita, ricordo le parole del mio predecessore, il cardinale König: "L’uomo deve morire non per mano di un altro uomo, ma mano nella mano di un altro uomo"»
Di Maria Ascher Corsetti
Papa Benedetto XVI fa spesso appello alla forza della ragione per un dialogo con le altre religioni. Come è possibile, cardinale Schönborn, conciliare il dialogo, la tolleranza, con la missione che la Chiesa ha di evangelizzare il mondo?
«Il Santo Padre ha parlato molto e ripetutamente dello stretto legame fra la ragione e la fede prima ancora di diventare il successore di Pietro: questa fiducia nella ragione è anche la base del dialogo. Alla luce della ragione possiamo dialogare sulle cose della vita, su quelle umane, come pure sulle ispirazioni divine, sulla legge divina: qui la luce della ragione non è sufficiente, ma è la base. Tra le religioni che non hanno in comune la Rivelazione giudeo-cristiana, come l'islam, la convinzione della fede cattolica è sempre stata che con loro si debba dialogare al livello della ragione. Con il giudaismo abbiamo in comune gran parte della Bibbia, dunque gran parte della Rivelazione, con l'islam invece abbiamo in comune la fede in un solo Dio; divergiamo in molte altre cose, ma abbiamo in comune la ragione e per questo il riferimento si fa a ciò che possiamo capire alla luce dell'intelligenza. Così quando il Papa a Ratisbona, per esempio, parla della relazione tra violenza e missione, violenza e religione, evidentemente l'argomento che vuole trattare non è in primo luogo quello della Rivelazione, ma quello della dignità umana, del rispetto della coscienza dell'altro, facendo riferimento all'orientamento che ci dà l'intelligenza. Per questo penso che dialogo, missione, ragione vadano molto bene insieme, anzi, non solo bene, ma che siano necessari per il compimento del comandamento di Gesù di andare e di ammaestrare tutte le nazioni, insegnando loro ad osservare tutto ciò che Egli ci ha comandato. Ora tutto questo fa riferimento all'intelligere, alla comprensione, all'intelligenza umana».
È sufficiente questa intelligenza umana come fondamento della dignità della persona, dei diritti dell'uomo, anche per quanti esplicitamente no n credono all'uomo come immagine di Dio?
«La tradizione cristiana, da sant'Agostino a san Tommaso d'Aquino fino al Vaticano II, ha sempre insegnato che ciò che costituisce nell'uomo l'immagine di Dio è proprio l'intelligenza, con la capacità di volontà. Ma il primo luogo in cui troviamo l'immagine di Dio nell'uomo è proprio questa capacità di intelligere, di capire la realtà, di cercare di trovare la verità, di orientarsi e quindi di orientare anche la volontà secondo ciò che l'intelligenza mostra».
Possiamo allora dire, da un punto di vista teologico, cristocentrico, che tutti gli uomini, in quanto dotati di intelligenza, appartengono da sempre a Cristo e quindi in fondo anche alla sua Chiesa?
«Questo è un punto sul quale papa Benedetto insiste molto, certo anche papa Giovanni Paolo ne ha parlato molto. Ma papa Ratzinger insiste molto specificamente su questo aspetto di Cristo come Logos, come Verbum, come parola e ragione, secondo il significato greco del termine logos. Nel dibattito al quale anch'io ho intensamente partecipato in questi ultimi tempi, sull'evoluzione, sul senso della vita alla luce delle teorie scientifiche, il Santo Padre ha parlato spesso del primato del logos: all'inizio non c'è il non-sense, all'inizio c'è il logos. In tutte le cose c'è un logos, c'è una ragione, una parola che non possiamo capire facilmente, ma che siamo però capaci di accogliere, nelle cose e nelle persone. Cristo è venuto e si è rivelato, Lui, Gesù di Nazareth, Figlio del Dio vivente, come il Logos nel quale, con il quale, per il quale tutto è stato creato: questo vuol dire che in Cristo è veramente questo logos universale che ci apre alla comprensione del senso della vita, del senso della storia, del senso della creazione e del senso della mia stessa vocazione».
Cristo, il Logos incarnato ci rivela la preziosità di ogni vita umana: come testimoniare e custodire, in pratica, ora che in Italia si è acceso il dibattito sull'eutanasia e si discutono difficili questioni di bioetica, questo valore sacro della vita? Cosa può dirci a proposito?
«Anzitutto due cose. Quando vediamo una persona come Madre Teresa, o come Giovanni Paolo II o tante altre persone, molto meno conosciute, che vivono profondamente e realmente il Vangelo, la cosa impressionante, che colpisce, è l'evidenza con cui tutti sentono: ecco, questa è la vera umanità. Alla morte di Madre Teresa il mondo intero era come affascinato davanti a questa piccola donna. Cos'era quella luce che irradiava dalla sua persona e questa evidenza: ecco, questo è l'uomo secondo il cuore di Dio? Da una parte questa evidenza ci mostra che il Vangelo, molto concretamente, con tutto ciò che Gesù ci ha detto, vissuto e mostrato, è una pienezza di vita che corrisponde a un profondo desiderio del cuore dell'uomo - e si capisce, perché Colui che ci ha dato il Vangelo è Colui che conosce il cuore dell'uomo. È il Creatore di tutte le cose che ci ha parlato a Cafarnao, a Nazareth, a Gerusalemme. Questo è un aspetto. L'altro aspetto è che nell'esperienza quotidiana del male, così dura, così terribile, c'è come un'esperienza in negativo, del vuoto di ciò che può essere la pienezza di una vita umana. L'esperienza del male, così forte nel mondo attuale, sembra essere più forte di ogni cosa, più forte della vita, del Vangelo. Ciò nonostante, si vede e si sperimenta che questo non può essere vero. Prendo un solo esempio: l'eutanasia. Certo, si capisce che di fronte ad una persona soffre molto, non abbiamo il diritto di giudicare, se non abbiamo conosciuto una tale sofferenza. Ma c'è un'evidenza: ammazzare una persona è sempre ammazzare; e se chiamiamo la cosa per il proprio nome, è evidente che si tratta di un assassinio. Io penso sempre ad un mio amico medico - è un modo molto forte per spiegare la cosa -: quando a volte delle persone vanno da lui a lamentarsi: "Dottore, nostra nonna soffre tanto per il cancro, ha tanti dolori… dottore lei non potrebbe…". Lui risponde: "Ammazzatela voi stessi!". E subit o la cosa è chiara. No, la vita non è nelle nostre mani. Possiamo fare di tutto per il sollievo della sofferenza, e oggi la medicina può fare delle cose stupende in questo campo. Il cardinale König, il mio famoso predecessore qui a Vienna, poche settimane prima della sua morte ha detto: "Der Mensch soll an der Hand eines anderen Menschen, und nicht durch die Hand eines anderen Menschen sterben", cioé "L'uomo deve morire non per mano di un altro uomo, ma mano nella mano di un altro uomo"».
Sfoglia le pagine
Schönborn, dal logos al dialogo
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento