lunedì 26 marzo 2007

RATZINGHER RICORDA DON GIUSSANI;"IL MIO VERO AMICO"


Articolo di Renato Farina...
(all'interno inserisco anche due articoli comparsi sul il gionale.Uno comparso sulla stampa.)

Ieri c'è stato il pellegrinaggio a San Pietro di Comunione e liberazione: ha festeggiato il 25° anniversario del riconoscimento ufficiale della Fraternità. Quando nel 1982 questo movimento fu innestato nel cuore della Chiesa con bolla pontificia, c'erano tre amici. Giovanni Paolo II, don Luigi Giussani e il cardinal Joseph Ratzinger. I primi due sono morti. Il terzo è diventato Papa. Ieri ha ricordato gli altri due. Di Wojtyla ha detto: «Amato, venerato». Di Luici Ciussani (la g dolce non gli viene) ha confidato: «Mi era diventato vero amico». È stato un racconto semplice: «Ho molti ricordi del grande fondatore e sacerdote. Spontaneità, libertà, la sua casa era povera di pane ma ricca di musica, originale intuizione pedagogica». Ne parlava, e rideva; ne parlava, e si commuoveva. La piazza era stracolma, e mezza via Conciliazione era tappata da ragazzi e signori canuti. Se fossero stati no global si sarebbe detto che la folla arrivava a mezzo milione. Ma la gendarmeria vaticana non tollera falsificazioni e controlla i biglietti: sono 90mila più diecimila aggiunti dell'ultima ora. Centomila più quei tre amici di cui sopra. Due sono morti, ma non sono morti: non è una fissazione di alcuni matti, che la morte non sia l'ultima parola. Il cristianesimo dice proprio questo, ed è il fondamento della nostra civiltà che sarebbe ben meschina se si reggesse su una balla. In sintesi: la vita è dura, ma è bellissima dentro il dolore, e il cristianesimo è questa bellezza, che permette di vivere persino i sacrifici come una grazia. In don Giussani si vede chiaro che «Cristo non ci salva a dispetto della nostra umanità, ma attraverso di essa». E qui c'è la profezia di futuro, intravista proprio nell'intuizione di don Giussani: il fascino umano di Cristo in sintonia con la cultura contemporanea». Delegazioni da tutto il mondo
La civiltà dell'Europa si è costruita intorno a questa esperienza popolare. E Comunione e liberazione - benedetta ieri dal Papa con un affetto candido e dolce - è questo segno del modo con cui Benedetto XVI intende la resurrezione dell'Europa che sa dire ancora qualcosa al mondo. «Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace che si incontrano in Cristo Redentore». È sicuro che i ciellini obbediranno. Hanno seguito l'invito del Wojtyla che glielo chiese negli stessi termini nel 1984. Ci stavano in sala Nervi, allora, poco più di ventimila. Oggi stanno in 80 Paesi. Era uno spettacolo, la piazza. Senza cartelloni, senza cori scomposti. Un ordine allegro. Uno slogan attinto da don Giussani, morto il 22 febbraio di due anni fa: «Instancabile apertura, fedelissima unità». Papa Ratzinger lo si capisce meglio se si guardano le sue due "cose" di ieri. La prima amara, la seconda dolce. Alle 11 e 15, nella Sala Clementina, dove due anni fa giaceva il corpo morto di Giovanni Paolo II, ha preso l'Europa di petto, le ha urlato con gentilezza che ha dimenticato la propria identità. «Apostasia di se stessa», ha detto con parole colte e apocalittiche. Come uno che si amputa l'anima. E quindi distrugge la famiglia, facendo dei «compro- messi sui valori umani essenziali» in nome «del male minore». Il Papa era severo, angosciato. Parlava ai vescovi dei 27 Paesi dell'Unione europea perché riferissero ai capi politici ma anche ai loro fe- deli cattolici propensi agli inciuci. Qualcuno dice alla radio, dopo dieci secondi: pressioni vaticane, volontà di potere. Il Papa è solo. Chi ha con lui? Parla ad un popolo che non c'è più. (Radio radicale). Sicuri? Un resto però c'è, e neanche tanto piccolo. La piazza era bellissima. Veniva giù l'acqua del diluvio, ma gli ombrelli erano colorati e i fazzoletti sventolati davano dal sagrato l'impressione di uno sciame festante e leggero che si posava sul colonnato e sui sampietrini. C'erano delegazioni di 52 Paesi (1500 dalla Spagna, 500 dalla Polonia, 300 dalla Germania, ma ho visto persone anche dall'Iraq, da Israele, dall'Uganda e dal Kazakhistan), ma la gran parte erano italiani. Un sacco di passeggini, ci sarà molta tosse da piccoli petti questa notte in tante case. La lotta per la bellezza

Viene in mente cosa diceva don Giussani nel 1964 a Varigotti, sulla Riviera ligure di Ponente. C'era un gruppetto di ragazzi e lui disse: «Noi dobbiamo lottare per la bellezza. Perché senza la bellezza non si vive. E questa lotta deve investire ogni particolare: altrimenti come faremo un giorno a riempire piazza San Pietro?». Si è riempita. Che cosa vuol dire lottare per la bellezza? L'incontro di ieri è stata la liturgia di questa bellezza, secondo le intenzioni di don Juliàn Carròn, che ha ereditato da don Gius la guida del movimento. Sin dalle nove erano già arrivati tutti, la più parte dopo un viaggio notturno in pullman e treni. E nell'aria è risuonato Beethoven, il concerto opera 61 per violino e orchestra. La musica che don Giussani faceva sentire ai suoi allievi durante le lezioni di religione. La spiegava come la lotta tra l'individuo che cerca di affermarsi (il violino) e la comunità, il refrain dell'orchestra. Per tre volte il violino prende la fuga e stanco viene ripreso. Ma poi lui, in mezzo alla comunità, non si perde, la sua singolarità resta e trascina gli altri. Insieme persone e popolo con un destino. Non siamo soli, ma non siamo spalmabili come numeri. Una ragazza scoppiò in pianto. In tanti lo seguirono. Che cosa ci trovavano? Il mistero dura ancora. I discorsi, quasi delle provocazioni, non avvenivano solo in classe. Quando don Giussani incontrava rari studenti con il distintivo dell'Azione cattolica o degli Scout chiedeva loro: «Ma voi credete davvero in Cristo?» oppure «Secondo te, il Cristianesimo e la Chiesa sono presenti nella scuola, hanno un'incidenza nella scuola?». Papa Ratzinger ha chiesto di «personalizzare» la fede. Non ci si salva perché si è in compagnia. Lo ripeteva anche don Giussani. C'era anche Francesco Cossiga. Si è buttato in ginocchio, zoppicante com'è. Il Papa l'ha sollevato. E si sono parlati all'orecchio. Poi Cossiga era più Gattopardo che mai.

Libero, 25 marzo 2007

E Ratzinger celebra «l’amico» don Giussani

di Redazione

«Il mio primo pensiero va al vostro fondatore, Luigi Giussani, al quale mi legano tanti ricordi», dice Papa Ratzinger, aggiungendo a braccio: «e che mi era diventato un vero amico». Piove e fa freddo. La piazza San Pietro è squassata dal vento ma il clima dell’incontro sembra non risentire delle circostanze atmosferiche. È un ritrovarsi di amici quello tra gli ottantamila ciellini e Benedetto XVI. L’occasione è il pellegrinaggio per i 25 anni del riconoscimento della Fraternità di Comunione e Liberazione.

Il Papa cita «l’ultimo incontro» in occasione dei funerali di Giussani, da lui celebrati a Milano due anni fa. Ricorda che «lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa», attraverso don Gius, un movimento «che testimoniasse la bellezza di essere cristiani in un’epoca in cui andava diffondendosi l’opinione che il cristianesimo fosse qualcosa di faticoso e di opprimente da vivere». Don Giussani «s’impegnò allora a ridestare nei giovani l’amore verso Cristo... ripetendo che solo lui è la strada verso la realizzazione dei desideri più profondi del cuore dell’uomo, e che Cristo non ci salva a dispetto della nostra umanità, ma attraverso di essa».

Il Papa ripete che Giussani «cresciuto in una casa povera di pane, ma ricca di musica – come amava egli stesso dire – sin dall’inizio fu toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza, non di una bellezza qualunque. Cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita che trovò in Cristo». Cita poi alcuni degli incontri avvenuti tra il fondatore di Cl e Giovanni Paolo II, ribadendo «che l’originale intuizione pedagogica di Cl sta nel riproporre in modo affascinante e in sintonia con la cultura contemporanea, l’avvenimento cristiano, percepito come fonte di nuovi valori e capace di orientare l’intera esistenza». Il movimento, aggiunge, è nato «nella Chiesa non da una volontà organizzativa della gerarchia, ma originata da un incontro rinnovato con Cristo» e dunque «da un impulso derivante ultimamente dallo Spirito Santo». Fedeltà e comunione con il Papa e i vescovi, insieme a «spontaneità e libertà» offrono la «possibilità di vivere in modo profondo e attualizzato la fede cristiana». Con poche parole, Ratzinger ridefinisce ormai superate contrapposizioni: la dimensione istituzionale e la dimensione carismatica, di cui i movimenti sono un’espressione significativa, sono entrambe essenziali. Nella Chiesa infatti «anche le istituzioni essenziali sono carismatiche e d’altra parte i carismi devono in un modo o nell’altro istituzionalizzarsi per avere coerenza e continuità». Infine, il Papa ha ripetuto ai ciellini il mandato che già Giovanni Paolo II aveva loro affidato: «Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace, che si incontrano in Cristo redentore».

Il Giornale, 25 marzo 2007


L’abbraccio in piazza con gli 80mila di Cl

di Stefano Filippi

Il colonnato del Bernini sembra il portico di un immenso chiostro battuto dalla pioggia sottile quando gli ottantamila ciellini intonano le preghiere delle Lodi, tutte recitate a una sola voce su un’unica nota. Piazza San Pietro prende l’aspetto di un enorme monastero silenzioso quando va al microfono don Julián Carrón, il successore di don Giussani, per invitare il popolo che sta davanti a lui a trasformarsi in «un mendicante: l’uomo più realista perché si riconosce bisognoso di tutto». Papa Benedetto quasi balbetta a pronunciare il nome del fondatore di Comunione e Liberazione, «don Luigi Giussani grazie ai nostri frequenti incontri era ormai diventato per me un vero amico».

Piove su San Pietro, la stessa pioggia di due anni fa a Milano nel giorno dei funerali di don Giussani, quando l’allora cardinale Ratzinger salutò per l’ultima volta «il prete della bellezza». Una pioggia che costringe tutti all’essenzialità e che assieme alla semplicità dell’udienza (solamente canti della tradizione medievale e bizantino-slava prima dei due discorsi di Carrón e del Papa) danno l’idea di un rapporto, quello tra Cl e Benedetto XVI, che non ha bisogno di grandi manifestazioni esteriori.

Nel cuore della cristianità risuonano Mozart e Beethoven, non musica sacra, prediletti da don Giussani, e la lunga attesa (la piazza è stata aperta alle 8) è accompagnata dalle immagini che scorrono sui maxi schermi: i mosaici di Monreale, gli affreschi di Duccio da Buoninsegna e Masaccio, le tele di Caravaggio. Il Papa si tuffa in mezzo alla gente di Cl. La «Papamobile» scoperta si affaccia sulla piazza a mezzogiorno, mentre dal pulpito vengono lette parole del Giuss.

Il grande ombrello bianco che protegge Ratzinger dalla pioggia galleggia per venti minuti sulla folla, tra canti e applausi, fino in via della Conciliazione. La gente sventola fazzoletti gialli e rossi, qualcuno urla «Viva il Papa», nessun cartello, lungo il colonnato quattro striscioni giganteschi con una frase di don Giussani che è lo slogan dell’udienza («Instancabile apertura, fedelissima unità») e una del Papa («Cristo non toglie nulla e dona tutto»).

È stato il Papa a volere questa udienza sul sagrato. L’appuntamento era già stato fissato per l’11 febbraio: venticinque anni prima il Vaticano proprio nella festa della Madonna di Lourdes aveva riconosciuto ufficialmente la fraternità di Cl. L’udienza era fissata nell’aula Nervi. Ottomila posti. «Ma io vi voglio incontrare tutti», disse il Papa, così l’udienza al coperto e a numero chiuso è slittata ed è diventata una clamorosa manifestazione di folla.

La piazza è traboccante, giovani, famiglie con bambini, anziani: il cosiddetto «popolo di Cl» è davvero un popolo di ogni età e condizione sociale, composto sotto la pioggia e fedele alla consegna della vigilia secondo cui l’udienza «è un gesto di preghiera». Carrón commemora brevemente don Giussani e poi invita i suoi «a un atteggiamento di attesa di quello che ci verrà detto e di domanda di essere disponibili ad accogliere ciò che il Papa ci dirà».

Accanto al palco di Benedetto XVI, sei cardinali guidati dal segretario di Stato Tarcisio Bertone tra i quali è presente l’arcivescovo di Madrid Rouco Varela, che fu restio al trasferimento di Carrón dalla capitale spagnola a Milano, ma tra i quali mancava il patriarca di Venezia Angelo Scola. Con i cardinali la decina di vescovi di Comunione e Liberazione (un applauso ha salutato monsignor Luigi Negri) e i responsabili del movimento che al termine dell’udienza hanno salutato il Papa a uno a uno. Un solo politico, Francesco Cossiga. Che ha reso omaggio a Benedetto XVI avvicinandosi a fatica e inginocchiandosi davanti a lui.

Il Giornale, 25 marzo 2007


Il Papa esalta il movimento di Cl

Centomila in festa per il compleanno

CITTA’DEL VATICANO

Negli anni Settanta si distinguevano per il linguaggio spiccatamente laico, impermeabile ai sociologismi ecclesiali e ai terzomondismi quaresimali. Un cristianesimo battagliero disposto a difendere a spada tratta la dottrina sociale della Chiesa da chi la riteneva un trucco dei padroni per ingannare gli operai. Adesso che sul soglio di Pietro siede l’«amico» Ratzinger, l’«eresia» di Giussani coincide perfettamente con la linea dell’ortodossia. Eppure fino a non molto tempo fa erano ancora guardati con diffidenza nelle diocesi, considerati fuori dal tempo, una scheggia «integralista», anacronistica nell’arcipelago ecclesiale scosso dal post-Concilio. Ora Benedetto XVI, accogliendo per la prima volta in piazza San Pietro 100mila seguaci di don Giussani, li proclama «testimoni di Cristo nella nostra epoca» e attribuisce la nascita del loro movimento all’«impulso dello Spirito Santo». Ieri, dalle sei del mattino, il popolo ciellino ha intonato canti e preghiere, assistendo a filmati su «Gius». Il grande merito di Cielle, secondo il Papa («amico di Giussani»), è quello di aver suscitato nella Chiesa un movimento che ha testimoniato la bellezza di essere cristiani in una epoca in cui andava diffondendosi l’opinione che il cristianesimo fosse qualcosa di opprimente da vivere. Benedetto XVI, che ha ricordato con affetto i suoi numerosi incontri con don Giussani, fino «all’ultimo, due anni fa», quando ne ha celebrato i funerali nel duomo di Milano, ha sottolineato come il fondatore di Cielle fosse stato «ferito dalla bellezza, non una bellezza qualunque, ma quella che viene da Cristo». L’«originale intuizione pedagogica di Comunione e Liberazione sta nel riproporre in modo affascinante e in sintonia con la cultura contemporanea, l’avvenimento cristiano, percepito come fonte di nuovi valori e capace di orientare l’intera esistenza». Nella piazza affollata di persone di ogni età che lo hanno acclamato a lungo durante i vari giri in papamobile che ha fatto prima di salire sul sagrato, Joseph Ratzinger ha evidenziato che, «con una spontaneità e una libertà che permettono nuove e profetiche realizzazioni apostoliche e missionarie», Cl continua dunque il suo cammino che è iniziato «non da una volontà organizzativa della Gerarchia, ma che prosegue oggi «in una totale fedeltà e comunione con il Successore di Pietro e con i Pastori che assicurano il governo della Chiesa». Meritorio, in quest’ottica, è il ruolo dei movimenti nella Chiesa: «Sono un dono dello Spirito e «non bisogna spegnere i carismi, ma esserne grati, anche se talora sono scomodi».

La Stampa, 25 marzo 2007



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