INTERVISTA A CESANA
Gli attacchi alla Chiesa? Sono il frutto di una degenerazione nichilista del pensiero» «Il primo fronte sui cui impegnarsi è l'educazione»
Di Giorgio Paolucci
La proposta di legge sui Dico ha scatenato un confronto molto acceso. Come si può favorire un dibattito non ideologico e che superi gli steccati rigidi della politica?
Viviamo in una società in cui l'ideologia prevale sull'esperienza. La tendenza all'ideologizzazione si combatte attraverso la testimonianza di esperienze in cui, ad esempio, si possa constatare che la famiglia è un "di più" di umanità, e ha in sé una grande ricchezza e costruttività che invece non viene riconosciuta a livello politico, economico, fiscale. In questa che si presenta come una battaglia culturale di lungo periodo, è fondamentale riproporre l'esperienza elementare, ciò che don Giussani definisce "evidenze originali dell'uomo": un dato di natura, oggettivo, con il quale ciascuno non può fare a meno di misurarsi. È questo il vero antidoto al prevalere dell'ideologia.
Obiezione: parlare di esperienza non è qualcosa di "troppo elementare" di fronte a quanto sta accadendo?
Il guaio è che si è perso il significato autentico delle parole. "Esperienza" non significa semplicemente fare cose, ma è qualcosa che contiene un giudizio sulle cose fatte. Nel clima culturale in cui viviamo, è difficile che le contrapposizioni ideologiche portino a risultati costruttivi e convincenti. Ciò che convince, è l'esempio: non ha in sé la pretesa di definizione teorica e totalizzante che ha l'ideologia, ma è una scossa, provoca un contraccolpo in chi lo incontra, muove il cuore e la ragione. Per questo, alla fine, può risultare più decisivo di tante dissertazioni..
È innegabile che la famiglia viva una stagione di crisi, conseguente a una crisi a livello antropologico. Per affrontarla è necessario un lavoro lungo: le sembra che lo si stia facendo?
La famiglia in quanto cellula originaria della società è, come si è venuta affermando in Occidente, una conseguenza della diffusione della fede cristiana, che è la novità da riscoprire. Cl, in quanto movimento di educazione alla fede, cerca di favorire una simile riscoperta. E altri in Italia lo fanno, certamente. Credo che nell'educazione cattolica la comunicazione dell'ontologia, di un nuovo modo di essere e di vivere, debba precedere, sostenendolo, il richiamo morale.
Secondo i suoi sostenitori, i Dico vanno incontro alle esigenze concrete di molte persone. Come si risponde altrimenti a queste esigenze?
Mi sembra che si sia già abbondantemente risposto che non c'è bisogno di una legislazione specifica, per ottenere certi riconoscimenti basta ricorrere al diritto privato. E d'altra parte non si può dare cittadinanza giuridica a qualsiasi aspirazione personale. Non si deve agevolare una deriva culturale che rischia di portare a una dittatura dei desideri.
La proposta sulla legalizzazione delle convivenze e le polemiche che l'accompagnano hanno risvegliato una sorta di "family pride", un orgoglio della famiglia.
Paradossalmente, ci volevano i Dico per affermare il protagonismo familiare?
Non so se si possa parlare di "family pride", ma certamente la mobilitazione in atto dice che non siamo in presenza di qualcosa di epidermico. È così serio, affascinante e insieme impegnativo vivere l'esperienza della famiglia nella società di oggi, che non si può ridurre quello che sta accadendo a una fluttuazione dell'emozione. C'è qualcosa di solido sotto, c'è un giudizio che viene da lontano, che ha radici profonde.
In molti media, nel mondo dello spettacolo e tra gli opinion leader si guarda con favore alla cultura da cui nasce il ddl sui Dico. Si sta forse riproponendo lo schema creatosi durante il referendum sulla legge 40, che vide la maggioranza degli italiani rifiutare le posizioni che erano dominanti a livello mediatico?
Mi pare che la stragrande maggioranza degli italiani abbia il buon senso di apprezzare molto la famiglia. Tuttavia, il bombardamento mediatico che va in altre direzioni è forte. Basti pensare allo spazio dedicato su giornali e tv a certe esperienze di convivenza extra-familiare o legate alla cultura omosessuale, che diventano una sorta di icona mediatica, amplificando una realtà molto circoscritta ma sapientemente veicolata come una sorta di avanguardia del "mondo nuovo". Mentre è proporzionalmente più raro che la famiglia normale sia protagonista sui media. La normalità che vive nel popolo e costruisce nella società, non fa notizia.
Continuano gli attacchi contro la Chiesa, pochi giorni fa la busta con un proiettile e minacce contro monsignor Bagnasco: gesti isolati e marginali o la punta avanzata di un'ostilità diffusa?
Credo che siano un'espressione di una degenerazione nichilista del pensiero, di una mentalità diffusa purtroppo soprattutto a livello giovanile. Da questo brodo di coltura nascono anche atteggiamenti e gesti come la deresponsabilizzazione sociale, o certe solidarietà manifestate anche in questi giorni nei confronti delle Brigate rosse. Posizioni condivise, in fondo, anche dal radicalismo ipocrita di certi maitre-à-penser culturali e politici. Ipocrita perché non dice tutto, si guarda bene dall'esporsi oltre il limite del politically correct, usa le parole piuttosto che l'azione. Ma siccome occupa posizioni importanti nei media, nell'accademia e anche in politica, influenza mentalità e scelte e finisce per facilitare la strada all'estremismo.
Cl sottolinea il valore della testimonianza pubblica della fede. Come si sta mobilitando in vista del 12 maggio?
Quello di piazza San Giovanni è un appuntamento in cui ci riconosciamo pienamente. Abbiamo invitato le nostre comunità a partecipare e a far conoscere ed approfondire le ragioni di un gesto così importante. Da tempo sono in programma incontri pubblici in molte località, utilizzando il materiale messo a disposizione dal Coordinamento del Family Day e coinvolgendo esperti che aiutino a cogliere l'importanza della posta in gioco. La mobilitazione sta crescendo. È chiaro che una manifestazione serve a sollevare l'attenzione, più che a risolvere il problema. Il lavoro dell'educazione è il grande compito a cui siamo chiamati, e questo ci riguarda tutti e non finisce mai. È un lavoro da svolgere quotidianamente, in ogni ambiente della società civile. In questo senso, ogni giorno è un family day
Di Giorgio Paolucci
La battaglia culturale sui Dico deve diventare l'occasione per un ripensamento e una mobilitazione in favore della famiglia. Anzitutto a livello educativo, per ridare consapevolezza a un soggetto che è la spina dorsale della società, ma che viene penalizzato dalla politica e dai media. Parola di Giancarlo Cesana, responsabile nazionale di Comunione e liberazione, uno dei firmatari del manifesto per il Family Day.
La proposta di legge sui Dico ha scatenato un confronto molto acceso. Come si può favorire un dibattito non ideologico e che superi gli steccati rigidi della politica?
Viviamo in una società in cui l'ideologia prevale sull'esperienza. La tendenza all'ideologizzazione si combatte attraverso la testimonianza di esperienze in cui, ad esempio, si possa constatare che la famiglia è un "di più" di umanità, e ha in sé una grande ricchezza e costruttività che invece non viene riconosciuta a livello politico, economico, fiscale. In questa che si presenta come una battaglia culturale di lungo periodo, è fondamentale riproporre l'esperienza elementare, ciò che don Giussani definisce "evidenze originali dell'uomo": un dato di natura, oggettivo, con il quale ciascuno non può fare a meno di misurarsi. È questo il vero antidoto al prevalere dell'ideologia.
Obiezione: parlare di esperienza non è qualcosa di "troppo elementare" di fronte a quanto sta accadendo?
Il guaio è che si è perso il significato autentico delle parole. "Esperienza" non significa semplicemente fare cose, ma è qualcosa che contiene un giudizio sulle cose fatte. Nel clima culturale in cui viviamo, è difficile che le contrapposizioni ideologiche portino a risultati costruttivi e convincenti. Ciò che convince, è l'esempio: non ha in sé la pretesa di definizione teorica e totalizzante che ha l'ideologia, ma è una scossa, provoca un contraccolpo in chi lo incontra, muove il cuore e la ragione. Per questo, alla fine, può risultare più decisivo di tante dissertazioni..
È innegabile che la famiglia viva una stagione di crisi, conseguente a una crisi a livello antropologico. Per affrontarla è necessario un lavoro lungo: le sembra che lo si stia facendo?
La famiglia in quanto cellula originaria della società è, come si è venuta affermando in Occidente, una conseguenza della diffusione della fede cristiana, che è la novità da riscoprire. Cl, in quanto movimento di educazione alla fede, cerca di favorire una simile riscoperta. E altri in Italia lo fanno, certamente. Credo che nell'educazione cattolica la comunicazione dell'ontologia, di un nuovo modo di essere e di vivere, debba precedere, sostenendolo, il richiamo morale.
Secondo i suoi sostenitori, i Dico vanno incontro alle esigenze concrete di molte persone. Come si risponde altrimenti a queste esigenze?
Mi sembra che si sia già abbondantemente risposto che non c'è bisogno di una legislazione specifica, per ottenere certi riconoscimenti basta ricorrere al diritto privato. E d'altra parte non si può dare cittadinanza giuridica a qualsiasi aspirazione personale. Non si deve agevolare una deriva culturale che rischia di portare a una dittatura dei desideri.
La proposta sulla legalizzazione delle convivenze e le polemiche che l'accompagnano hanno risvegliato una sorta di "family pride", un orgoglio della famiglia.
Paradossalmente, ci volevano i Dico per affermare il protagonismo familiare?
Non so se si possa parlare di "family pride", ma certamente la mobilitazione in atto dice che non siamo in presenza di qualcosa di epidermico. È così serio, affascinante e insieme impegnativo vivere l'esperienza della famiglia nella società di oggi, che non si può ridurre quello che sta accadendo a una fluttuazione dell'emozione. C'è qualcosa di solido sotto, c'è un giudizio che viene da lontano, che ha radici profonde.
In molti media, nel mondo dello spettacolo e tra gli opinion leader si guarda con favore alla cultura da cui nasce il ddl sui Dico. Si sta forse riproponendo lo schema creatosi durante il referendum sulla legge 40, che vide la maggioranza degli italiani rifiutare le posizioni che erano dominanti a livello mediatico?
Mi pare che la stragrande maggioranza degli italiani abbia il buon senso di apprezzare molto la famiglia. Tuttavia, il bombardamento mediatico che va in altre direzioni è forte. Basti pensare allo spazio dedicato su giornali e tv a certe esperienze di convivenza extra-familiare o legate alla cultura omosessuale, che diventano una sorta di icona mediatica, amplificando una realtà molto circoscritta ma sapientemente veicolata come una sorta di avanguardia del "mondo nuovo". Mentre è proporzionalmente più raro che la famiglia normale sia protagonista sui media. La normalità che vive nel popolo e costruisce nella società, non fa notizia.
Continuano gli attacchi contro la Chiesa, pochi giorni fa la busta con un proiettile e minacce contro monsignor Bagnasco: gesti isolati e marginali o la punta avanzata di un'ostilità diffusa?
Credo che siano un'espressione di una degenerazione nichilista del pensiero, di una mentalità diffusa purtroppo soprattutto a livello giovanile. Da questo brodo di coltura nascono anche atteggiamenti e gesti come la deresponsabilizzazione sociale, o certe solidarietà manifestate anche in questi giorni nei confronti delle Brigate rosse. Posizioni condivise, in fondo, anche dal radicalismo ipocrita di certi maitre-à-penser culturali e politici. Ipocrita perché non dice tutto, si guarda bene dall'esporsi oltre il limite del politically correct, usa le parole piuttosto che l'azione. Ma siccome occupa posizioni importanti nei media, nell'accademia e anche in politica, influenza mentalità e scelte e finisce per facilitare la strada all'estremismo.
Cl sottolinea il valore della testimonianza pubblica della fede. Come si sta mobilitando in vista del 12 maggio?
Quello di piazza San Giovanni è un appuntamento in cui ci riconosciamo pienamente. Abbiamo invitato le nostre comunità a partecipare e a far conoscere ed approfondire le ragioni di un gesto così importante. Da tempo sono in programma incontri pubblici in molte località, utilizzando il materiale messo a disposizione dal Coordinamento del Family Day e coinvolgendo esperti che aiutino a cogliere l'importanza della posta in gioco. La mobilitazione sta crescendo. È chiaro che una manifestazione serve a sollevare l'attenzione, più che a risolvere il problema. Il lavoro dell'educazione è il grande compito a cui siamo chiamati, e questo ci riguarda tutti e non finisce mai. È un lavoro da svolgere quotidianamente, in ogni ambiente della società civile. In questo senso, ogni giorno è un family day
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