mercoledì 21 maggio 2008

LA VERA STORIA DEI BAMBINI SOLDATO


di Edoardo Tagliani
Tratto da Il Sussidiario.net il 19 maggio 2008

Arresta il fuoristrada con aria marziale, puntando verso l’auto un AK47 arrugginito. Chiede i documenti, ma il primo passaporto lo afferra al contrario. Lo scruta per un attimo e lo restituisce. Non sa leggere.

Poi sputa feroce il suo scarno kiswahili, bastardato col francese dei coloni: «Acuna bonbon, mzungu?». Non hai caramelle, uomo bianco? Il pedaggio costa una gomma da masticare. Nel pieno della foresta del Congo, nel grande villaggio di Walikale, quella stessa notte scoppiò l’ennesima guerra. Era il 4 giugno del 2004. Di quel soldato, forse tredicenne, non si seppe più nulla.


Arruolati a forza, rapiti nelle scuole di paglia durante gli improvvisi raid delle milizie, violentati fisicamente e psicologicamente, rubati all’infanzia con la ferocia dei machete, addestrati a non temere nulla.
I “bambini soldato” sono linfa vitale per ogni milizia che si contende l’immenso tesoro minerario dell’Est della Repubblica Democratica del Congo, all’ombra degli eterni Virunga, gli otto vulcani che circondano la città di Goma.
Il campo di battaglia è un caos di armate irregolari che nessuno, né i caschi blu, né i malconci militari di Kinshasa, è mai riuscito a tenere sotto controllo. Truppe di etnia Hutu (Fdlr) i cui capi sono accusati del genocidio perpetrato in Rwanda, nel 1994, ai danni dell’etnia Tutsi. Decine di gruppi di Mai Mai, combattenti locali di diverse etnie congolesi (almeno un centinaio), alcuni organizzati e disposti ad alleanze politiche e militari, altri soltanto banditi, cani sciolti che vivono di saccheggi e rapine. Raggruppamenti rwandofoni (Cndp) la cui rigida gerarchia è controllata da ufficiali Tutsi, acerrimi nemici degli Hutu.
Le brigate regolari, assurdo meltingpot di razze malamente unificate attraverso un processo chiamato “brassage”: avrebbe dovuto dar vita all’armata nazionale congolesi, ma oggi dimostra tutti i suoi limiti. La Fardc, questo il nome dell’esercito di Kabila, non ha armi, salari, caserme, addestramento.

Tutti, nessuno escluso, reclutano bambini soldato.
Chi è più bravo a parlare con le radio e le televisioni, si aggiudica lo status di “agnello tra i lupi”. Bugie. Di agnelli ce ne sono pochi. Molto pochi.
C’è chi si accontenta di “usare” i ragazzini come bestie da soma, facendogli trasportare per settimane viveri e munizioni.
C’è chi li arruola sul serio e li inizia alla guerra.
Le tecniche sono differenti. La più usata è quella del rapimento, della coercizione. In poche settimane i bambini costretti ad imbracciare un fucile verranno trasformati in assassini letali, senza scrupoli e senza regola che non sia quella dell’eseguire ciecamente gli ordini. I metodi per costringerli all’obbedienza vanno al di là di ogni immaginazione. Spesso, come battesimo dell’arma, viene loro imposto di scegliere chi giustiziare: la madre, il padre o un fratello. Se rifiutano, verrà sterminata l’intera famiglia.
«Una volta fatto questo - raccontava un ufficiale del villaggio di Pinga che cercava di far cattiva pubblicità ai suoi nemici - faranno tutto ciò che gli si chiede. È il primo passo per soggiogarli. Non nel fisico, ma nel pensiero. Ci sono soldati che non sono soldati, ma bestie». Il suo guardaspalle aveva 15 anni.
Chi tenta di fuggire viene punito. Talvolta con la morte, se serve da esempio. Chi non viene ritrovato in fretta subirà altre ritorsioni, indirette e feroci: colpiranno la famiglia.
Alcuni gruppi armati arruolano volentieri i bambini anche per un altro motivo: sono un ottimo scudo contro i caschi blu. La prima linea è fatta di ragazzini. I soldati Onu, almeno, non potranno sfondare il fronte con un attacco diretto.
Altre milizie, invece, non rinunciano ad avere qualche undicenne tra le loro file perché i bambini sono stregoni. Anzi, gli unici stregoni possibili: «Per mantenere i nostri poteri magici ed essere invulnerabili alle pallottole del nemico - spiega un Maggiore nemmeno quarantenne che appartiene ad un gruppo Mai Mai - dobbiamo avere dei “portatori di magia”. E per essere portatori di magia è necessario rispettare alcune regole. Per esempio, non si possono nemmeno sfiorare le donne. Quando un ragazzo arriva ad avere 15 o 16 anni, come si può pretendere che non faccia sesso? I bambini, invece, rinunciano senza troppe storie».
Di più: assistono in silenzio agli stupri di massa che vengono perpetrati nei villaggi. Sorvegliano il perimetro. Danno l’allarme se arriva il nemico, se è ora di lasciar perdere il sollazzo e fuggire.
Inoltre, sono ottimi minatori, mangiano poco, se disturbano basta uno schiaffo. Molti ufficiali hanno una scorta personale costituita da tredicenni. Non tradiscono. Non pugnalano alle spalle. Sono più fedeli degli adulti. E poi si sostituiscono facilmente in una terra dove la metà degli abitanti è ancora (anagraficamente) adolescente.
Eccesso di offerta. Carne fresca, carne da macello.

Diversi programmi d’assistenza umanitaria si occupano della reintegrazione di quei bambini soldato che abbandonano le armi grazie ad accordi politici con alcune milizie (che il giorno dopo aver sottoscritto il patto, solitamente, ricominciano a reclutare) o che sono invece riusciti a fuggire dai loro aguzzini.
In molti casi, il tentativo di recupero risulta vano. Non sono pochi i ragazzi che, una volta tornati a casa, pur accompagnati da assistenti sociali o psicologi, commettono efferati crimini contro i genitori o tornano a fare l’unica cosa che sanno fare: uccidere. Non tollerano più alcun tipo di autorità che non sia quella del loro superiore. Un padre non ha i gradi. Un padre non è un comandante. E allora comandanti si credono loro. E se papà non ubbidisce, diventa un nemico da ammazzare. Come i vicini, gli amici, i compagni di scuola.
In altri casi, con un lavoro paziente, il reinserimento sociale riesce, anche se gli occhi di un bambino soldato restano freddi per sempre. Occhi vecchi. Occhi gelati. Occhi vuoti dell’innocenza rubata, strappata, irrimediabilmente perduta.
Il passato non si può cancellare. Specie se dipinto col sangue.
Grazie al cielo, molti ex bambini soldato oggi hanno di nuovo una vita. Una famiglia. Un lavoro. Una speranza. Dei figli. Ma ciò che ricordano quando chiudono gli occhi, lo raccontano di rado, anche se in controluce lo si legge in ogni loro sguardo, gesto, parola: «L’anno scorso ho rivisto il mio vecchio Tenente – bofonchia George, 20 anni, oggi coltivatore di manioca – E’ entrato nel villaggio con altri militari che non conoscevo. Ho afferrato il machete. Mia moglie ha capito. Mi ha fermato. Le ho dato uno schiaffo e sono fuggito. Sono stato via sette giorni. Quando sono tornato l’ho ringraziata. Credo mi abbia salvato la vita. Se non ci fosse stata lei, o mi avrebbe ucciso il Tenente, o mi avrebbero messo in galera a morire».

Un colonnello dei Mai Mai che ha passato la cinquantina, si sbottona davanti ad una birra: «Venite qui coi vostri progetti, coi vostri soldi, con le vostre speranze. Prendete i nostri soldati e li riportate a casa. Non c’è più niente, per loro. Dopo tre o quattro anni di guerra in foresta, a mangiare topi e radici, a scappare ed uccidere, non c’è più niente. Ci siamo solo noi. I loro fratelli. I loro compagni d’armi. Voi promettete un lavoro, ma non è vero. Ve ne andate dopo qualche mese, e loro si ritrovano soli, in un mondo che non conoscono. Non sanno fare gli agricoltori. E nemmeno i commercianti. Sono soldati. Li abbiamo rapiti? Forse, in qualche caso. Ma oggi sono soldati. Hanno combattuto bene. Hanno difeso il Paese. Sono eroi, non merce per i vostri progetti fasulli. Volete dar loro un futuro? Lasciateli combattere da eroi. Altro che zappatori».
Tra tante cose assurde dal sapore di equatore, una delle più assurde è che una frase simile, in un contesto come quello del Congo, parrebbe persino avere un senso.
Segno certo che si è andati oltre a un limite.
Segno certo che bisogna cambiar rotta.



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