E' triste dover leggere queste notizie!
Don Giussani diceva" toglieteci tutto ma non l'educazione"
Parole sante,troppi genitori ormai affidano questo grande compito ad altri,non hanno tempo di seguire i figli,ritengono sia meglio darsi da fare per poter dare un maggior benessere .
I figli sono affidati alle strutture statali ,o in modo piu' economico in balia della televisione.
Ormai il superfluo e' diventato il necessario e i genitori per accapparrarsi l'affetto dei figli preferiscono accontentarli ,non vogliono che ai loro figli possa mancare tutto quello che la pubblicita' dice necessario per la loro crescita.
E' piu' faticoso dare le ragioni di un no,spiegare che la vita e' un'altra cosa ,non e' quella che propone la societa'
La felicita' non e' possedere,avere l'ultimo telefonino di moda,la felicita' quella vera ,quella che tiene anche di fronte alla fatica al dolore alla morte ,la felicita' che e' meglio chiamare letizia non ce la diamo noi,non ce la danno i soldi,il potere.
In questo mondo ,dove conta solo l'apparire ,dove tutti ritengono che ogni speranza si debba affidare alla scienza,dove tutti conoscono i propri diritti ,dove la parola sacrificio e' stata messa in soffitta ,non c'e' spazio al mutuo soccorso,alla gratuita',tutto e' un calcolo,anche il tempo .
Educati al possesso,all'egoismo,chiusi ognuno fra le proprie mura di casa non ci basta piu' nulla .
Il Nulla sta avvolgendo la nostra società :i grandi pretendono dallo stato,i giovani dai genitori..
Forse sarebbe necessario cominciare ad educarci per poter educare alla vita.
.. Diciamolo: dipende solo da quanto si ha voglia di rimboccarsi le maniche e accettare qualche rinuncia. Toglietemi tutto, ma non il mio cellulare. E lo chiamano progresso....
Fausto Carioti
Tratto da Libero del 1 maggio 2008
Il quotidiano è Repubblica, il titolo è di quelli che attirano subito l’occhio: «Solo 1.300 euro al mese. Ho deciso di abortire». Un caso umano, lo specchio di un’emergenza sociale? Ma no. È solo un esempio di moderno egoismo, elevato in modo paraculo a metafora di una generazione.
Che, per fortuna, non è tutta così. Anche se è solo di questi casi che si parla: gli altri, quelli che i figli se li tengono anche a costo di rinunciare a qualcosa - il ristorante con gli amici il sabato sera, le vacanze estive, il telefonino - non sono abbastanza trendy.
La ragazza in questione, che ha 29 anni ed è ribattezzata “Sandra”, la sua storia l’ha messa nero su bianco in una lettera inviata a Giorgio Napolitano e pubblicata sui giornali, come va di moda di questi tempi. «Egregio Presidente», scrive, «tra un paio di settimane abortirò!! Nonostante la mia non fosse una gravidanza programmata, l’aver scoperto di essere positiva al test mi ha dato un’emozione bruciante, una felicità incontenibile. L’idea di aver concepito un figlio con l’uomo che amo è qualcosa di così forte ed intimo che è impossibile da spiegare. Ad ogni modo la mia gioia non ha visto la luce del giorno dopo. Ben presto la ragione ha preso il posto del cuore e mi ha schiaffeggiata forte. La verità, mio caro Presidente, è che nonostante sia io che mio marito abbiamo un lavoro che ci impegna sei giorni alla settimana, le nostre entrate ammontano a circa 1.300 euro al mese. Presidente, ora devo scegliere se essere egoista e portare a termine la mia gravidanza, sapendo di non poter garantire al mio piccolo neppure la mera sopravvivenza; oppure andare su quel lettino d’ospedale e lasciare che qualcuno risucchi il mio cuore spezzato dal mio utero sanguinante». Ovviamente lei la scelta l’ha già presa. E, va da sé, ne dà la colpa a «questo paese, che detesta i giovani», e la costringe a rinunciare a quello che lei chiama il suo «diritto ad essere madre».
Eppure “Sandra” non è affatto costretta ad abortire. La «mera sopravvivenza» del bambino potrebbe assicurarla senza rimetterci un euro. Esiste una legge per l’adozione. Lei può portare a termine la gravidanza, mettere al mondo il bambino che sostiene di amare tanto e affidarlo, in modo anonimo, a una famiglia che avrà la disponibilità economica e l’amore necessari per trattarlo nel modo migliore. La giornalista che la intervista, timidamente, accenna alla possibilità: «Non ha pensato alla possibilità di farlo nascere e poi darlo in adozione?». La risposta è raggelante: «Non lo farei mai. Mai, per nessun motivo. Sapere che esiste da qualche parte nel mondo un mio bambino e io non mi occupo di lui sarebbe lo strazio peggiore». L’egoismo vero è qui: saperlo vivo e in salute, magari mentre gioca con i genitori adottivi, le fa molto più male che ucciderlo in grembo. Non contano la vita del figlio, la sua felicità. Conta solo il possesso: se non posso averlo io, non deve averlo nessun altro.
L’amore materno è tutt’altra cosa. Se ne trovano tracce anche sul sito di Repubblica, nei commenti lasciati dai lettori: «Alla mia prima gravidanza avevo 29 anni... Dal momento che ho deciso di tenere il mio fagottino ho lottato contro chi mi ha tolto il lavoro, contro la precarietà più totale e il disagio di affrontare tutto da sola, visto che sono andata a vivere con il mio attuale compagno solo da quando nostro figlio aveva 6 mesi... Ora sono in attesa per la seconda volta e sul lavoro affronterò gli stessi problemi se non peggio, perché ora sono due e non uno... Ma chi mi ha dato tutta la forza a risolvere i miei problemi è stato proprio mio figlio». Anche gli uomini hanno qualcosa da dire: «Ho 33 anni. La mia compagna è disoccupata e fa qualche lavoretto qua e là quando capita, io prendo uno stipendio di 1.600 euro al mese, viviamo in affitto (400 euro al mese) e abbiamo una bellissima bambina che compirà un anno tra pochi giorni. Non vado in palestra perché non me lo posso permettere, non ho Sky, ma riesco ad avere un pediatra migliore di quello della Asl. Spesso sono a cena dai miei suoceri. Per noi non faccio la spesa tutti i giorni, ma per mia figlia sì. Per lei tutto, per lei lavorerei anche di notte». Eroi normali che si fanno un mazzo così senza lamentarsi né dare la colpa al «sistema», che sorridono felici quando danno al figlio il bacio della buonanotte e a scrivere al presidente della Repubblica non ci pensano proprio.
E per finire, visto che tutto gira attorno ai soldi e la difesa della vita sembra roba da fondamentalisti cristiani, parliamo anche della cifra. “Sandra” e il suo compagno, che piangono miseria, non devono affrontare spese per la casa. «Ci ospita una mia vecchia zia», fa sapere la ragazza. Ma davvero 1.300 euro al mese, senza affitto da pagare, non bastano a sfamare due adulti e un bambino? Ogni giorno, milioni di famiglie italiane dimostrano il contrario. Diciamolo: dipende solo da quanto si ha voglia di rimboccarsi le maniche e accettare qualche rinuncia. Toglietemi tutto, ma non il mio cellulare. E lo chiamano progresso.
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