Perché Berlusconi ha avuto buon senso
Renato Farina
Bravo Berlusconi. La questione del reato di clandestinità non può trasformarsi – per favore! – nella contesa sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, su cui si impantanò il governo Berlusconi nel 2001 e seguenti.
Una questione formale, diventò il pretesto di una contesa di piazza, da cui nessuno uscì vincitore. Così stavolta non è proprio il caso di arroccarsi su una ipotesi di reato fumosa e che (siamo in Italia…) avrebbe l’effetto di consegnare alla magistratura il problema politico dell’immigrazione.
Antefatto. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, annuncia che nel pacchetto-sicurezza è previsto il reato di immigrazione clandestina. Attenzione: non di clandestinità, bensì di ingresso illegale. Sollecitato ad una spiegazione Maroni è stato preciso. Il reato non è previsto nel decreto subito in vigore, sarà invece contenuto in un disegno di legge al vaglio del Parlamento. In buona sostanza: non scatta per chi attualmente si trova in Italia senza permesso, ma per quanti varcheranno irregolarmente i nostri confini dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta ufficiale. Dunque, nessuna paura per badanti e colf : non le arresta nessuno.
Diciamo che la dichiarazione di quel reato voleva avere un effetto di deterrenza verso i migranti che salgono alla ventura su barconi consegnandosi allo schiavismo, e di rassicurazione verso la comunità italiana che non proprio a torto lega criminalità e immigrazione clandestina. Niente di tragico dunque. Esiste però un fatto importante. Le leggi hanno, da Aristotele in poi, anche un valore pedagogico. Dicono che cosa un popolo ritiene essenziale. È essenziale punire chi cerca di entrare da noi per qualsiasi ragione, ma senza le carte in regola. Le carte in regola possono essere motivo di arresto? Ora: nella tradizione cristiana i confini statali sono sempre stati visti malissimo, intesi come un ostacolo alla dimensione universale del cattolicesimo. Le frontiere in senso moderno sono un’invenzione degli Stati assolutistici. Dunque, non si può elevare una irregolarità a livello di un reato penale, che deve essere sempre accompagnato da un giudizio morale di riprovazione. Nello stesso tempo, il problema sociale esiste: come ripeteva Von Balthasar «senza la polizia romana Gesù non avrebbe potuto predicare sulla montagna». Era prevedibile che uomini di Chiesa avrebbero sollevato dubbi e piantato paletti. Sia chiaro: parlo della Chiesa, l’Onu non ha nessun diritto di parlare. Non dice nulla su Cina e Iran, e se la prende per una legge che non c’è ancora e forse non ci sarà? Vada a quel Paese. Ma la Chiesa non può essere sentita dal governo come una forza estranea. Del resto il reato di clandestinità non era nel programma del Popolo della libertà.
Ho chiesto da deputato un giudizio morale a vescovi e teologi. Mi hanno spiegato che non esiste e non può esistere una specie di anatema per chi approvi quel tipo di reato. Non rientra nei tre principi non negoziabili: la vita, la famiglia, la libertà di educazione. Insomma: il paragone con i Dico o i matrimoni gay, oppure la pillola del giorno dopo, o la negazione del diritto di educazione e di scelta delle scuole. Però non è nella nostra cultura, e non è nemmeno in quella del Pdl, tanto più che avrebbe il senso delle grida manzoniane, impossibili da far rispettare in Italia. Resta però la necessità di essere efficaci nell’impedire viaggi disastrosi per la nostra convivenza civile e anche per chi parte. Se il reato di immigrazione non appartiene al novero dei diritti di chi cerca di regolare i flussi di ingresso, però non esiste neanche il diritto di invasione. Salutiamo dunque il buon senso di Berlusconi: «Penso che non si può perseguire qualcuno per la permanenza non regolare nel nostro Paese condannandolo con una pena, ma questa può essere una aggravante se commette un reato». Voilà.
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