Dio mostrò in quella donna il suo perdono. Che non è un dire: pazienza. Ma è trarre da un male un bene più grande. «Fatti vedere in questo che ho nella pancia», rise la fanciulla ubriaca. Dio la prese sul serio. Perdonando, e facendo nuova ogni cosa.
Quel pancione gettato come una sfida a Dio
Tempi 19 Maggio 2008
di Marina Corradi
È storia antica, di un secolo fa quasi, che affiora ancora nelle campagne verso Ravenna, dove la pianura è infinita e il sole a giugno inchioda le cose a terra, senza margine d’ombra. Te la racconta il parroco di un paese, vaga, sfumata come quando una storia comincia a farsi leggenda. Poi la ritrovi precisa, con nomi e cognomi, in un saggio di un anziano sacerdote di Ravenna (don Enzo Tramontani, La settimana rossa nella Romagna del 1914, Longo).
Dunque la storia è del tempo delle rivolte anarchiche e socialiste dei braccianti affamati contro i padroni, il re, la Chiesa. Che fosse l’inizio della rivoluzione? Manipoli di uomini con asce e forconi assaltavano le chiese, in quel giugno 1914.
A Villanova di Bagnacavallo nel branco c’era una ragazza. Giacomina Tavolazzi, 21 anni, contadina, occhi di incendio sotto a una massa dei capelli neri. La banda piombò come una tempesta in paese, si avventò contro la pieve, le asce brandite a sfondare il portone. Sfasciarono ogni cosa, ciechi di furia. Poi, davanti all’altare, un gran banchetto di roba buona rapinata alle cascine. Sulle vivande Giacomina sparse come sale l’Ostia consacrata, ridendo: «Se è vero che qui dentro c’è il Signore, che me ne dia un segno in questo qui che ho nella pancia». E si battè sguaiata la mano sul ventre. Giacomina era incinta. Poi, ebbra, si accucciò a terra e pisciò sul Sacramento.
La rivolta fu soffocata. Stava per scoppiare la guerra. La ragazza del branco sacrilego rimase sola, il ventre che ingrossava. Quella storia, nei paesi, la sapevano tutti. E attorno alla profanatrice nelle campagne un fumo acre di paura, mentre le vecchie al suo passaggio mormoravano sinistre profezie su quel figlio gettato come una sfida contro Dio. Certamente, dicevano, sarebbe nato con addosso il segno della maledizione.
Nacque a marzo. Sua madre partorì all’ospedale di Ravenna, forse per fuggire agli occhi del paese. Sola, prese il suo fagotto e tornò a casa. Le rimase però in mente la suora che nel parto aveva avuto accanto. L’aveva accudita come una madre – e non le aveva fatto nemmeno una domanda.
Scolastica, si chiamava la suora, e Scolastico fu chiamato il neonato.
Crebbe con gli occhi curiosi e forse sprezzanti della gente addosso. Ma gli uomini hanno liberi destini. A 11 anni il ragazzo entrò in seminario. A poco più di venti fu prete, un prete molto amato in quelle campagne. La profanatrice morì in canonica, accanto al figlio della sfida.
Sorride ancora laggiù chi ricorda questa storia: vedete che scherzi fa Dio? Ma non fu vendetta, né beffa. Semplicemente, testimonia chi ha visto, Dio mostrò in quella donna il suo perdono. Che non è un dire: pazienza. Ma è trarre da un male un bene più grande. «Fatti vedere in questo che ho nella pancia», rise la fanciulla ubriaca. Dio la prese sul serio. Perdonando, e facendo nuova ogni cosa.
Nessun commento:
Posta un commento