MARCO TARQUINIO
Avvenire, 13.1.2008
C’è un evento culturale, politico e massmediatico che a noi di Avvenire piace considerare un inatteso regalo per i 40 anni del nostro giornale, traguardo posto sul finire – il 4 dicembre – dell’anno che è appena cominciato. È un regalo che, come tutti i regali autentici, ha una sua libera capacità di interpretare un desiderio e un sentimento profondo di chi lo riceve. E che induce a riflettere. In particolare, sul tempo e sul luogo – questa strana Italia, tesa ad arco tra la sua vivissima storia secolare e i suoi rampanti secolarismi – nei quali da cattolici prima ancora che da giornalisti ci tocca di scrivere, ragionare e civilmente battagliare.
Questo regalo è la proposta per una 'moratoria dell’aborto' lanciata da Giuliano Ferrara e dal suo Foglio nel momento stesso in cui nella sede dell’Onu si concludeva con successo, anche per merito del nostro Paese, la lunga battaglia per la proclamazione della 'moratoria della pena di morte'.
Quale dono più bello per Avvenire, che fa da sempre dell’impegno sereno e costante per l’affermazione della cultura della vita una ragione fondante del suo stare in campo, di ritrovarsi affiancato e quasi sopravanzato su questo fronte cruciale da un altro foglio e dal suo 'non credente' direttore?
E il mio direttore Dino Boffo – che, per una volta, dovrà rassegnarsi a essere tirato in ballo sul suo stesso giornale – quale eco più autonoma eppure assonante avrebbe potuto immaginare all’incitamento programmatico «Per amare quelli che non credono» col quale fa accompagnare ogni giorno l’uscita in edicola del quotidiano dei cattolici italiani?
E infatti noi – che alla luce delle promettenti scoperte e degli altrettanto promettenti 'pentimenti' di alcuni famosi scienziati avevamo appena chiesto una 'moratoria della ricerca sugli embrioni' – non abbiamo esitato un momento a condividere e sostenere la proposta di 'moratoria dell’aborto' avanzata da Ferrara e dal Foglio.
Sappiamo bene, ovviamente, che moratoria non significa una magica cancellazione, e che – proprio come nel caso della forca e della sedia elettrica – saremmo poco oltre la proclamazione solenne di un principio. Ma ci deve pur essere un principio. E quello capace di generare un processo teso a 'svuotare' di senso e d’attualità l’aborto vale certamente la pena di essere affermato.
Il fatto, insomma, che oggi sia Ferrara a chiedere con forza – battendosi laicamente da par suo con chi vorrebbe vestirlo di rosso-chierichetto o rosso- porpora – un grande dibattito culturale sull’aborto ci sta benissimo. Di più: ci inorgoglisce che ottenga risposte finalmente non banali. La stessa storia repubblicana insegna che nella nostra Italia ci sono temi così intimamente cattolici che per essere affrontati e definiti hanno bisogno dell’iniziativa di intellettuali (e politici) laici.
Tutto ciò – e i lettori lo sanno bene – non ci ha mai indotto a tacere. I suoi quarant’anni di vita in edicola – e, dunque, più dei trenta che sono trascorsi dall’entrata in vigore della legge 194 – Avvenire li ha investiti anche a spiegare e rispiegare le ragioni che rendono umanamente, prima ancora che cristianamente, intollerabile il ricorso a pratiche abortive.
Lo ha fatto facendosi puntualmente specchio di quel grande laboratorio spirituale e culturale che sono le Giornate per la Vita promosse dalla Cei e delle splendide e concretissime esperienze del Movimento per la Vita. Lo ha fatto prima e dopo la legge che in questo Paese ha disciplinato i casi di ricorso all’aborto.
Prima e dopo il referendum che quella legge ha mantenuto. Perché ci sono mali che non si possono ignorare e ai quali non ci si può rassegnare. Perché ci sono solitudini che non si possono lasciare ulteriormente sole, e disperazioni che non tollerano altri abbandoni. In questi anni, poi, quanta sperimentazione spavalda e rischiosa sulla vita umana s’è fatta senza che troppi se ne dessero pensiero.
Esattamente questo ha significato e significa, per tutti noi, porre la vita tra i «valori non negoziabili ».
E questa prospettiva tengono aperta il dialogo e la possibile consonanza tra laici e cattolici per smuovere le coscienze e, attraverso l’idea forte di una moratoria, orientare alla vita una legge che consente l’insopportabile: l’uccisione di un bambino in grembo. In questo sforzo, chi – come noi – sa che ogni singola vita è inestimabile nulla ha da mercanteggiare. Tutto, e di più, ancora una volta ha da fare.
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