lunedì 14 gennaio 2008

NOI, FERRARA E GLI ALTRI, QUELLA VOGLIA DI SCHIERARCI INSIEME PER LA VITA

MARCO TARQUINIO
Avvenire, 13.1.2008
C’è un evento culturale, politico e massmediatico che a noi di Avvenire piace consi­derare un inatteso regalo per i 40 anni del nostro giornale, traguardo posto sul finire – il 4 dicembre – dell’anno che è appena cominciato. È un re­galo che, come tutti i regali autentici, ha una sua libera capacità di interpretare un desiderio e un sentimento profondo di chi lo riceve. E che in­duce a riflettere. In particolare, sul tempo e sul luogo – questa strana Italia, tesa ad arco tra la sua vivissima storia secolare e i suoi rampanti seco­larismi – nei quali da cattolici prima ancora che da giornalisti ci tocca di scrivere, ragionare e ci­vilmente battagliare.


Questo regalo è la proposta per una 'moratoria dell’aborto' lanciata da Giu­liano Ferrara e dal suo Foglio nel momento stes­so in cui nella sede dell’Onu si concludeva con successo, anche per merito del nostro Paese, la lunga battaglia per la proclamazione della 'mo­ratoria della pena di morte'.

Quale dono più bello per Avvenire, che fa da sem­pre dell’impegno sereno e costante per l’affer­mazione della cultura della vita una ragione fon­dante del suo stare in campo, di ritrovarsi affian­cato e quasi sopravanzato su questo fronte cru­ciale da un altro foglio e dal suo 'non credente' direttore?

E il mio direttore Dino Boffo – che, per una volta, dovrà rassegnarsi a essere tirato in bal­lo sul suo stesso giornale – quale eco più auto­noma eppure assonante avrebbe potuto imma­ginare all’incitamento programmatico «Per amare quelli che non credono» col quale fa accompa­gnare ogni giorno l’uscita in edicola del quoti­diano dei cattolici italiani?

E infatti noi – che alla luce delle promettenti scoperte e degli altrettanto promet­tenti 'pentimenti' di alcu­ni famosi scienziati aveva­mo appena chiesto una 'moratoria della ricerca su­gli embrioni' – non abbia­mo esitato un momento a condividere e sostenere la proposta di 'moratoria del­l’aborto' avanzata da Fer­rara e dal Foglio.

Sappiamo bene, ovviamente, che mo­ratoria non significa una magica cancellazione, e che – proprio come nel caso della forca e della sedia elettrica – saremmo poco oltre la proclamazione solenne di un prin­cipio. Ma ci deve pur essere un principio. E quel­lo capace di generare un processo teso a 'svuo­tare' di senso e d’attualità l’aborto vale certa­mente la pena di essere affermato.

Il fatto, insomma, che oggi sia Ferrara a chiedere con forza – battendosi laicamente da par suo con chi vorrebbe vestirlo di rosso-chierichetto o ros­so- porpora – un grande dibattito culturale sul­l’aborto ci sta benissimo. Di più: ci inorgoglisce che ottenga risposte finalmente non banali. La stessa storia repubblicana insegna che nella no­stra Italia ci sono temi così intimamente cattoli­ci che per essere affrontati e definiti hanno biso­gno dell’iniziativa di intellettuali (e politici) laici.

Tutto ciò – e i lettori lo sanno bene – non ci ha mai indotto a tacere. I suoi quarant’anni di vita in e­dicola – e, dunque, più dei trenta che sono tra­scorsi dall’entrata in vigore della legge 194 – Av­venire li ha investiti anche a spiegare e rispiegare le ragioni che rendono umanamente, prima an­cora che cristianamente, intollerabile il ricorso a pratiche abortive.
Lo ha fatto facendosi puntual­mente specchio di quel grande laboratorio spiri­tuale e culturale che sono le Giornate per la Vita promosse dalla Cei e delle splendide e concretis­sime esperienze del Movimento per la Vita. Lo ha fatto prima e dopo la legge che in questo Paese ha disciplinato i casi di ricorso all’aborto.

Prima e dopo il referendum che quella legge ha mante­nuto. Perché ci sono mali che non si possono i­gnorare e ai quali non ci si può rassegnare. Per­ché ci sono solitudini che non si possono lascia­re ulteriormente sole, e disperazioni che non tol­lerano altri abbandoni. In questi anni, poi, quan­ta sperimentazione spavalda e rischiosa sulla vi­ta umana s’è fatta senza che troppi se ne dessero pensiero.

Esattamente questo ha significato e significa, per tutti noi, porre la vita tra i «valori non negoziabi­li ».
E questa prospettiva tengono aperta il dialo­go e la possibile consonanza tra laici e cattolici per smuovere le coscienze e, attraverso l’idea forte di una moratoria, orientare alla vita una legge che consente l’insopportabile: l’uccisione di un bam­bino in grembo. In questo sforzo, chi – come noi – sa che ogni singola vita è inestimabile nulla ha da mercanteggiare. Tutto, e di più, ancora una volta ha da fare.



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