venerdì 29 ottobre 2010

IO CERCATORE DI FRONTE A QUESTO LIBBRO

....la centralità della questione di Cristo va di pari passo con la centralità della questione dell’uomo. È questo che diventa appassionante, è questo che riesce a parlare non solo alle generazioni di allora, ma io ritengo che riesca a parlare ancora alle generazioni di oggi. Cioè la questione di Cristo non è una questione di qualche buonanima, la questione è dell’uomo, della sua vita, della sua felicità, della sua salvezza, del suo riscatto........


28/10/2010 - Al BergamoIncontra è stato presentato l'ultimo volume delle Equipe di don Giussani. Con un relatore d'eccellenza: monsignor Francesco Beschi, vescovo di Bergamo. Riportiamo il suo intervento
Intervento di monsignor Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, alla presentazione del volume di Luigi Giussani L'io rinasce in un incontro (Bergamo, 1 ottobre 2010)

Grazie della vostra accoglienza, un’accoglienza che è stata connotata dall’applauso che mi avete dedicato, che mi ha comunque un po’ imbarazzato, nel senso che l’applauso iniziale è molto gentile, ma l’applauso finale come sarà?



Lo dico perché comincio a mettere le mani avanti rispetto a una lettura che mi è stata proposta, che ho affrontato con curiosità, anche con simpatia, ma con il desiderio di capire un po’ più profondamente questa storia. Quindi anche con un’attenzione critica, limitata dal fatto che la quasi totalità del libro l’ho letta in volo, perché in questo mese sono stato più per aria che con i piedi per terra - il che è anche bello, sotto un certo profilo, ma non so se la testa funziona sempre a dovere a certe altezze -...
Quindi il mio è l’approccio di un cercatore. Penso che un pochino ormai conosciate il mio atteggiamento di riconoscenza al Signore, a Dio, per il dono di questi carismi particolarissimi che dopo il Concilio abbiamo ricevuto dallo Spirito Santo, di cui Comunione e Liberazione certamente è un’espressione di grande intensità: è sempre un motivo di benedizione al Signore il dono di queste esperienze. Ma al di là di questo atteggiamento di fondo, pur avendo una conoscenza abbastanza prolungata del movimento, c’era e c’è ancor di più il desiderio di comprenderlo, di comprendere un po’ il suo segreto, di comprendere che cosa il suo fondatore rappresenti non solo per il movimento, ma per la Chiesa. Quindi io condividerò con voi queste mie riflessioni che a volte rimangono aperte: sono degli interrogativi che faccio a me stesso e che stasera condivido con voi.
Partiamo dal fatto che ci troviamo di fronte a un libro, un libro un po’ particolare per dire la verità, perché questo non è un libro scritto. Questo è un aspetto che lo caratterizza in maniera molto forte; è un libro voluminoso, le pagine sono molto dense, non c’è neanche una fotografia per riposare un attimo... ma non è un libro scritto, è un libro detto, e quindi il taglio della lettura chiaramente è diverso. Qui ci viene proposta, consegnata, un’esperienza viva, naturalmente limitata (un conto è sentire Michele raccontarci l’esperienza, e un conto è leggerla da parte di chi non l’ha vissuta come l’ha vissuta lui). E qui l’esperienza non è descritta: non si descrive l’esperienza (neanche Michele ce l’ha descritta, lui ce l’ha comunicata. Sono livelli di comunicazione diversi; lui ci ha comunicato l’esperienza). Qui nel libro l’esperienza non è descritta, non è che uno prende un testo come questo per capire cosa avvenisse in questi incontri; qui ci sono consegnati questi incontri e sono consegnati a tutti, a coloro che li hanno vissuti, a coloro che vivono il movimento o a un lettore che non partecipa alla vita del movimento. Quindi è un libro molto particolare, sotto questo profilo, che sollecita in qualche modo a entrare nella vivezza dell’esperienza che qui viene consegnata.
E questa esperienza mette in evidenza l’importanza di un metodo: si resta colpiti, colpiti dal metodo. Mi sembra emerga un’esigenza che don Giussani avverte e che è un’esigenza che avvertiamo ancora fortissima, cioè l’intensità di una proposta formativa, non pensando immediatamente agli esiti - cioè se riesce o meno a formare -, ma pensando comunque alle intenzioni, alle convinzioni che disegnano questa proposta. E si avverte, anche in alcuni passaggi non infrequenti, piuttosto critici, nel suo dire, questa urgenza di una proposta formativa forte, significativa, che veramente rappresenti una crescita della persona. Quindi il metodo corrisponde a questo: non è, ad esempio, un metodo semplicemente dialogico, non è nemmeno un metodo socratico - fa emergere la verità che è in te -.
Giussani, in certi momenti, dice chiara quella che è la verità. Ci sono interventi molto interessanti, anche perché molto immediati, ma lui non esita a intervenire sugli interventi e anche a sfoltirli; è tutta una provocazione ad andare al sodo. Questo metodo - e Michele lo ricordava - alla fine è il metodo magisteriale. È un magistero, alla fine, quello che Giussani propone. Magistero, come ci è già stato ricordato, come tutti voi sapete, non teorico, non ci sono lezioni di dottrina o di teologia e proprio per questo lo chiamo “magistero”, perché il magistero è diverso dall’insegnamento. Il magistero alla fine - e anche Michele ha usato quest’espressione - ha a che fare con la sapienza, non solo con la conoscenza. E la sapienza è questa declinazione permanente tra conoscenza ed esperienza, questa è la sapienza. Insomma, in ogni epoca le generazioni sono affascinate dagli specialisti - oggi moltissimo dagli specialisti - ma pur avvertendo questo fascino dello specialista c’è poi sempre l’attesa del maestro - che è tanto più credibile quanto più non si atteggia a maestro -, cioè di quell’uomo, di quella donna capace di fare sintesi tra conoscenza ed esperienza. A mio giudizio qui ritroviamo questa sintesi, nel metodo che viene rappresentato attraverso la consegna di ciò che avveniva in quegli incontri.
Una terza considerazione introduttiva è rappresentata dal fatto che c’è un bel titolo, c’è il nome dell’autore, L’io rinasce in un incontro (1986-1987). Ogni tanto andavo a rivedere le date, perché dal 1986 il mondo è cambiato e quindi leggere queste riflessioni, siccome non sono riflessioni puramente teoriche, è interessante, è provocante per il fatto che viviamo una realtà diversa rispetto al 1986-1987. E siccome alla fine una delle grandi proposte connotative di don Giussani e del movimento è rappresentata dalla coniugazione della vita alla fede, dalla fede nella storia, la storia è cambiata rispetto all’86. Questo secondo me vale la pena di ricordarlo. E certamente tra i grandi cambiamenti l’89 qui è a pochissima distanza, ma il mondo era ancora prima dell’89, bisogna riconoscerlo. Ci si accorge di quanto il mondo sia cambiato anche con l’89 e la caduta del muro.
Qual è la grande questione? Non pretendo di avere raccolto, di riuscire a fare sintesi di questi capitoli, che peraltro affrontano temi diversi. Qual è la grande questione che alla fine questo libro, questa testimonianza, questa consegna ci offre? La grande questione è quella della fede e della fede in Cristo. E sotto questo profilo io credo che rimane di attualità, perenne attualità.
Perché? Perché io ritengo che noi dobbiamo avere chiarissimo che per la Chiesa certamente oggi, nell’86 pure, e credo anche in altri tempi, la questione centrale è la fede in Gesù Cristo. La Chiesa fa tante cose, si interessa di tante cose, ma la questione centrale - e questo un cristiano dovrebbe sempre averlo molto chiaro in testa - è la fede in Gesù Cristo. La Chiesa esiste per questo. E la questione centrale di tutte le varie riflessioni che qui vengono proposte è la fede in Gesù Cristo. Dire che è la fede in Gesù Cristo è dire un punto di partenza, un criterio permanente, il punto di arrivo: ma evidentemente, una volta chiarito questo punto, è necessario coglierne anche le implicazioni. Che cosa significa che per la Chiesa la questione centrale è la fede in Gesù Cristo? Se noi dovessimo leggere la cronaca, la rappresentazione quotidiana non solo di questi mesi, ma di questi anni, noi non avvertiremmo, fermandoci alla lettura della cronaca, che la questione decisiva per la Chiesa è la fede in Gesù Cristo. Ne vedremmo tante, qualcuna di estremamente positiva e qualcuna di estremamente negativa, ma la questione centrale è la fede in Gesù Cristo, per la Chiesa. E proprio perché è chiarissima la questione, Giussani si domanda: va bene per la Chiesa, ma per una persona è altrettanto centrale? Assolutamente no. Oggi viviamo in un tempo in cui anche chi si dice cristiano non ha così chiara, e non percepisce così decisiva, la questione della fede in Gesù Cristo ed è quello che comunque Giussani pone al centro.Guardate normalmente come si parla dei cattolici, non solo in Italia ma nel mondo. Pensate alla lettura che è stata data inizialmente, poi cambiata, della visita di papa Benedetto in Inghilterra: il mondo cattolico, la Chiesa, il Papa. Il Papa alla fine ha parlato di Gesù Cristo all’uomo contemporaneo che si interroga.
Ed è proprio il Papa che nel suo bel discorso del 24 marzo 2007, nel 25° della Fraternità, scriveva: «Don Giussani si impegnò allora a ridestare nei giovani l’amore verso Cristo “Via, Verità e Vita”, ripetendo che è solo Lui la strada verso la realizzazione dei desideri più profondi del cuore dell’uomo e che Cristo non ci salva a dispetto della nostra umanità, ma attraverso di essa» (Udienza con Cl, 24 marzo 2007).
E questa è poi l’implicazione che don Luigi fa emergere, quando pone la centralità della questione di Cristo: che la centralità della questione di Cristo va di pari passo con la centralità della questione dell’uomo. È questo che diventa appassionante, è questo che riesce a parlare non solo alle generazioni di allora, ma io ritengo che riesca a parlare ancora alle generazioni di oggi. Cioè la questione di Cristo non è una questione di qualche buonanima, la questione è dell’uomo, della sua vita, della sua felicità, della sua salvezza, del suo riscatto. E sotto questo profilo, Michele ci leggeva una pagina dove don Giussani dice: «Bisogna riaprire il problema umano». Siamo nell’86. Oggi questa riapertura del problema umano viene molto spesso offerta sotto un titolo - che io pronuncio per far bella figura, ma poi faccio un po’ fatica... - che è la questione antropologica. Come voi tutti ben sapete, decisiva è la questione antropologica. «Bisogna riaprire il problema umano» (p. 129), dice don Luigi in uno dei suoi incontri, e ci lavora molto. Avvertiamo tutti che oggi decisiva è la questione antropologica, cioè il modo di concepire l’uomo. Lui pone questa questione in maniera diversa. Il filo conduttore di questo testo è la rilevanza della fede in Cristo. Ma per chi? Per un uomo, e per un uomo che vuole essere uomo, che desidera essere uomo: questa è la grande questione. E non è un uomo in astratto, ecco perché non basta dire: riapriamo il problema umano, cosa che lui dice; o non basta porre la questione antropologica; perché Giussani quale questione pone? La questione del mio io, io, non per una sorta di egocentrismo, ma perché quest’uomo alla fine non è un uomo astratto, sono io quest’uomo: sono io. È questa la questione; è questa la ricerca; è questa la passione; è questa la rilevanza di un Cristo che è capace di fare i conti, o meglio, proprio di provocare i conti con me stesso, con i miei desideri più profondi, con la mia aspirazione ad una vita sensata, ad una vita piena, ad un’umanità. Ma vita piena, sensata, è di tutti, non di un io speciale.
Mi ha colpito moltissimo, nel viaggio di ritorno dalla Terra Santa, la testimonianza che mi ha offerto una giovane donna che non era con il mio gruppo; lei mi ha detto che i luoghi santi non l’hanno così toccata come pensava - e devo dire che mi ha colpito un po’, perché il pellegrinaggio in Terra Santa è un pellegrinaggio sui luoghi di Gesù con tutto il fascino di questi luoghi e lei era la prima volta che andava -, si portava a casa gli incontri avuti. E uno può dire: «Ma non c’è bisogno di andare in Terra Santa per fare gli incontri». E no! Quegli incontri lì, perché ogni incontro non è intercambiabile con un altro incontro. Ed è qui che poi emerge quello che appartiene profondamente alla coscienza cristiana: quando dico “io” non dico un io che si conclude in se stesso, evidente condizione della cultura contemporanea ed evidente sofferenza dell’uomo contemporaneo, il cui emblema più significativo è la solitudine esistenziale; ma un io che si scopre io nel momento in cui si trova davanti un tu, l’altro, l’Altro. Anche qui non un altro astratto, non una teoria, non una dottrina, ma un volto, una persona, un qualcuno.
Non voglio fare il riassunto dell’esperienza del magistero di don Luigi Giussani, ma dico quello che io ho avvertito pregnante nella consegna: la fede in Cristo Gesù, una fede che ha tutta la sua rilevanza perché non ha paura di sporcarsi le mani con la vita, una vita che non è “la vita”, ma è l’uomo; e non “l’uomo”, ma quell’uomo che sono io, quella donna che sono io e che alla fine si riscopre e si risveglia, rinasce nell’incontro con un tu.
Quanti sono i passaggi in cui lui evoca l’esperienza dell’amore tra un uomo e una donna! Sono veramente molto belli, molto belli. Li ho apprezzati particolarmente, un poco per l’attenzione che ho avuto, per la bontà del Signore, alla vita di tante famiglie; mi ha portato così a rilevare la grandissima ricchezza di questa esperienza, pure a volte segnata dai limiti più dolorosi, ma sempre grande. E don Luigi fa dei riferimenti all’esperienza dell’amore tra l’uomo e la donna molto significativi. E allora questa fede in Cristo, che diventa significativa per l’uomo e per la sua salvezza, per la sua liberazione, per la sua felicità avviene nel momento in cui si verifica un incontro.
E leggo anch’io una citazione: «Quindi, il punto non è un incontro culturale [eccolo qui, lo pensavo anche stasera], ma vivente, cioè non un discorso fatto, ma qualcosa di vivente, che può palesarsi anche sentendo uno che parla, intendiamoci; ma quando quello parla è qualcosa di vivente con cui ti metti in rapporto, non un’ideologia, non un discorso disarcionato dalla forza della vita: “Non un incontro culturale, ma esistenziale”» (p. 183). Poi va avanti ancora un momentino a descrivere cos’è l’incontro. Leggetelo anche voi. Perché? Perché l’incontro è l’esperienza per eccellenza. Allora, dicevo, la fede deve avere a che fare con la vita e quindi deve essere sperimentata; l’esperienza per eccellenza è l’incontro. L’incontro con Cristo. E poi si porrà la terza questione che è il discorso dell’incontro con l’altro.
Ecco, qui c’è un elemento di grandissimo rilievo e anche molto caratteristico, ritorna continuamente. Il luogo dell’esperienza di Cristo è la vita. E questo mi sembra, poi mi correggerete, uno degli elementi caratteristici: è la vita, alla fine. Cioè uno pensa, prega, ascolta, ma è la vita il grande luogo dell’esperienza di Cristo. E sotto questo profilo sono tantissime anche le sue indicazioni pratiche di natura culturale, di natura sociale, di natura politica, il grande tema dell’università - qui il confronto è continuamente con gli universitari - dentro la consapevolezza che la vita è il terreno dell’incontro con Cristo.
Si apre allora un interrogativo: com’è che succede che la vita è il luogo di incontro con Cristo? Perché qualcuno sperimenta questo fatto e qualcun altro no? È un interrogativo. Perché comunque la mia vita da sola, e anche la vita dei miei amici, non basta. Non basta.
E qui mi introduco nel terzo nucleo, che è il tema del volto dell’altro, dell’incontro con l’altro e della compagnia. È un tema di grandissimo rilievo, perché tutta questa storia - storia nel senso nobile della parola, tutto quello che ho raccontato e tutto quello che lui soprattutto ci comunica e che voi vivete - trova la sua rappresentazione esistenziale, non solo simbolica, nella compagnia di altre persone che condividono l’esperienza e che vivono l’esperienza dell’incontro con Cristo proprio vivendo l’esperienza dell’incontro con altri che cercano, incontrano e credono in Cristo. E bisogna dire che chiaramente è decisiva.
È interessantissimo, perché c’è veramente l’amore: senza la compagnia non si può incontrare Gesù Cristo. Don Luigi dice: bisogna essere umili, cioè la compagnia non è niente - non dice così ma quasi, adesso non ricordo esattamente le parole, ma siamo su questo livello -: la compagnia non è niente, nel senso che è tutta relativa all’esperienza di Cristo. Prima Michele parlava dell’esperienza totalizzante, ma non è totalizzante relativamente a don Giussani, è totalizzante relativamente a Gesù Cristo. Ma anche questo tema dell’esperienza totalizzante, che quindi non è evidentemente riferita a don Giussani e nemmeno alla compagnia - lo dice lui stesso - pone la questione che aprivo prima quando dicevo che la vita è il luogo dell’incontro: cioè lui stesso afferma che non basta l’incontro, ma che tu nell’incontro devi avvertire un Altro. Non bastano i tuoi occhi a determinare la rinascita, il risveglio dell’io, ma occorre che nei tuoi occhi si vedano altri occhi, si percepisca la presenza di un Altro, altrimenti non succede niente. È una cosa bellissima, ma non basta. Ecco, allora qui riporterei: vita, grande luogo dell’incontro con Dio; la compagnia; poi: l’esperienza concreta per vivere questo; e la grande figura di don Luigi.
A mio giudizio, ripensandoci in questo istante, vorrei sottolineare tutte le volte che lui rimanda all’oltre, all’Altro, a Gesù Cristo. Bisogna fare molta attenzione, perché tutto comunque è relativo a Gesù Cristo; la stessa esperienza della Chiesa universale, - e ci sono parecchi accenni del rapporto tra l’esperienza della compagnia e l’esperienza della Chiesa universale - dice questo “oltre”, questo superamento. Ad un certo punto vi è un passaggio di quelli forti relativamente al dono, al valore della Parola di Dio nella Chiesa; quasi sembrerebbe che si ponga in termini alternativi: il grande luogo dell’incontro con Cristo è la Parola di Dio oppure il grande luogo dell’incontro con Cristo è la vita. No, non si può porre un’alternativa di questo genere, perché noi incontriamo Cristo nella vita non perché immediatamente ci appaia, ma partendo, nutrendoci della Parola di Dio, dell’esperienza dell’Eucarestia e infine dell’esperienza della Chiesa nella sua totalità che comunque non esaurisce ancora la totalità di Cristo. Ecco ci tenevo un po’ a sottolineare questo aspetto che è una riflessione che il volume suscita in maniera molto interessante.
E finisco con l’accenno a che cosa tutto questo porta e questa è veramente una grande questione, cioè la presenza del cristiano nella storia, perché don Luigi continua a dire che tutto questo non è fine a se stesso. Non è perché uno dice: «Ah, io sto bene! Che bello! Ho scoperto il segreto della vita». Tutto è rivolto alla presenza del cristiano nella storia. E qui veramente ci sono delle pagine di grande densità. Qui si pone, a mio giudizio, una questione sempre aperta, ma non solo da don Giussani, non solo dal movimento, ma è sempre aperta nella storia, cioè: quale presenza del cristiano nella storia? Ecco io credo che l’esperienza di don Giussani, di Comunione e Liberazione, offra una modalità di presenza del cristiano nella storia che, bisogna dire, è stata riconosciuta. Giovanni Paolo II l’ha riconosciuta in una maniera molto forte e papa Benedetto non mi sembra da meno. Ritengo che la questione sia aperta nel senso che ci possono essere altre forme con cui il cristiano si rende significativo nella storia. Dice papa Benedetto che don Giussani pone l’eccezionale «intuizione pedagogica di Comunione e Liberazione [che] sta nel riproporre in modo affascinante e in sintonia con la cultura contemporanea, l’avvenimento cristiano, percepito come fonte di nuovi valori e capace di orientare l’intera esistenza» (Udienza con Cl, 24 marzo 2007). Quindi non soltanto un’esperienza di relazione, pur significativa e liberante, ma poi un’esperienza le cui ricadute sono nell’edificazione di una storia secondo il Vangelo.
Io vi ho comunicato alcune delle riflessioni che ho fatto a partire dalla lettura di un libro veramente denso, di un libro vivo, molto vivo. Si percepisce la vivezza della fede, non solo di Giussani, ma anche dei suoi interlocutori. Spero che le mie parole non l’abbiano mortificato.




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