mar 25 mar
Intervista a Maria Luisa Di Pietro di Daniela Verlicchi
Tratto da Avvenire del 20 marzo 2008
Ventiseimila firme: un traguardo che non solo Avvenire ma gli stessi vertici di Scienza & Vita non osavano sperare. È arrivato ieri, in redazione, il fiume di adesioni alla moratoria europea sulla distruzione di embrioni raccolte dall’associazione.
Un traguardo importante, come spiega il portavoce Domenico delle Foglie: «Quando dalla prima pagina del quotidiano fu lanciata la moratoria, Scienza & Vita ebbe un sussulto: ecco una campagna da condividere sino in fondo. C’era e c’è, in questa battaglia, tutta la nostra vocazione alla difesa della vita umana dal concepimento sino alla morte naturale». Oggi le adesioni sono oltre 26 mila, raccolte in meno di 3 mesi nei supermercati, nelle piazze e sui sagrati delle chiese dai gruppi locali e dai volontari. E non solo nelle grandi città: a stupire sono le 1250 adesioni raccolte da Albenga, in provincia di Savona, e le oltre 3000 che arrivano da Brescia e da Crotone. Segno di una vitalità che a livello nazionale pochi sospettavano, ma che svela un lavoro di sensibilizzazione che dal referendum in poi non si è mai fermato. Come spiega Maria Luisa Di Pietro, presidente di Scienza & Vita.
Ventiseimila firme: ve le aspettavate?
«Sinceramente no. Il coordinamento nazionale ha solo chiesto ai vari gruppi locali di avviare una raccolta firme per aderire all’iniziativa di Avvenire. Le singole sezioni si sono organizzate autonomamente e in brevissimo tempo. Tutto quello che abbiamo dovuto fare, poi, è stato raccogliere le adesioni».
Una rete nazionale che funziona, insomma…
«Per noi è l’ennesima conferma che questa rete c’è e c’è anche un popolo che ha a cuore questi temi e vuole difendere la vita fin dal suo inizio. Finalmente questi argomenti sono usciti dalle aule delle università».
Si tratta però di temi "difficili". Come li avete affrontati?
«Abbiamo alle spalle un’eredità importante: quella costruita durante la campagna referendaria del 2004 contro l’abrogazione della legge 40. In questi anni, poi, abbiamo continuato a costruire le basi culturali che nel caso di iniziative come la moratoria, sono diventate ottime fondamenta. Le associazioni locali poi sono si sono impegnate a spiegare nei dettagli di cosa si trattava».
Firme "pesanti" perché nate dal dialogo. Come vi siete organizzati per raccoglierle?
«A livello locale, ciascun gruppo ha la capacità, la libertà e l’autonomia di organizzarsi come meglio crede. Alcune associazioni hanno fatto la classica raccolta pubblica di firme, altre hanno utilizzato il loro sito. Ma l’aspetto più interessante è che non c’è stata una grande manifestazione, capace di "moltiplicare" le adesioni. Ogni firma è preziosa perché nasce da un dialogo tra due o più persone».
Lo considera un successo, dunque.
«Ventiseimila firme sono tante proprio perché, a livello nazionale, non si è fatto "nulla" per averle: né manifestazioni, né iniziative, né campagne stampa. La domanda è: se abbiamo raccolte 26mila firme in un mese nel più assoluto silenzio, quante ne possiamo raccogliere facendo rumore?».
Perché il risultato è arrivato proprio ora?
«È come lavorare su un malato cronico. Passata l’emergenza del referendum, ci siamo trovati di fronte ad una situazione difficile ma stabile, fatta di crisi saltuarie e bisognosa di un impegno costante. La porzione di società sulla quale abbiamo lavorato era già sensibilizzata. Nel momento in cui abbiamo chiesto loro di esprimersi per interrompere la distruzione di embrioni umani, la gente ha risposto».
L’iniziativa non partiva direttamente da voi, è stato un problema?
«Affatto. La difesa della vita è una battaglia comune. È stato importante confrontarsi su un’iniziativa europea: l’ennesima conferma che superando gli individualismi, si può fare molto».
Bene, e ora?
«Queste 26mila firme sono la conferma che ci stiamo muovendo nella giusta direzione. Ora dobbiamo aumentare la capacità di incidere a livello nazionale ma anche continuare a lavorare sul locale. Perché è da lì che tutto parte: la possibilità di agire sulla scena pubblica italiana è il risultato della somma di tutti gli interventi sul territorio. Questa è Scienza & Vita: un modello a cui altre nazioni stanno guardando con interesse».
Cioè?
In Argentina sta per nascere un movimento che ha molto in comune con il nostro, forse si chiamerà addirittura "Ciencia e Vida". Anche da loro il dibattito su temi bioetici è molto acceso. L’iniziativa parte dal professor Alberto Bochatey, direttore dell’istituto di bioetica argentina che mi ha chiesto informazioni per replicare la nostra esperienza là. È un riconoscimento importante per Scienza & Vita. Un altro».
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