sabato 29 marzo 2008

IO NON SONO UN CARCIOFO

Una testimonianza,un uomo,un corpo disfatto ma un uomo.
I sani gridano perche' i "non sani" abbiano la possibilita' di decidere l'autoeliminazione.
Qui leggiamo la testimonianza di un uomo che dopo 2 anni di coma (detto irreversibile)comunica ,c'e' e grida voglio vivere.
Che peccato che di fronte ad una notizia cosi' la gente non si soffermi,non presti la dovuta attenzione.
E' piu' interessante il delitto,il cercare i colpevoli,il distrarsi chiacchierando sulle vicende altrui.
Questa notizia interroga tutti noi.
Chi vuole lasciarsi interrogare?
E' faticoso fermarsi,pensare,domandarsi quali sono le fondamenta del nostro vivere quotidiano.
Anticipazione dal Foglio di sabato 29 marzo. Tutta la storia sul numero in edicola

Lo sciopero della fame interrotto, il risveglio, l’appello, il sogno, l’ultimo messaggio, la lettera a Welby e quella a Napolitano. Storia di Salvatore Crisafulli. Catanese, 43 anni, stato vegetativo, intrappolato, felice
“Le marce, i girotondi, le veglie, le fiaccolate siano fatte per invocare la vita e non per sentenziare la morte, per potenziare e sensibilizzare la sanità e la ricerca scientifica, per rendere sopportabile la sofferenza, anche quella terminale, non per giustificare i più disperati e soli con il macabro inganno in una morte dolce, dietro a cui si nasconde solo cinismo e utilitarismo”.
Salvatore Crisafulli, settembre 2006




Oggi meglio. Andare. Fuori. Gelato. Pietà. Piango. Disperato. Bello. Rido. Notte. Basta. Sciopero. Vivo. Contatta. Mare. Catania. Mascara. Stadio. Mandorla. “Mam-ma”. Salvatore sorride scrivendo con gli occhi su un piccolo schermo a cristalli liquidi, sceglie le parole su una tastiera bianca nella sua camera da letto, sfiora con la mandibola un bottone nero poggiato pochi centimetri sopra la spalla e sposta un cursore giallo con un oscillazione morbida del collo che trasforma in voce scritta il suo corpo immobile: un corpo che tre anni fa doveva essere finito e che oggi respira, tossisce, piange, mangia, russa, sciopera, la domenica va allo stadio, a ferragosto va ad Augusta e ogni tanto balbetta in catanese quando la mamma si avvicina e di nascosto gli passa un goccio di caffè. Salvatore Crisafulli si è risvegliato tre anni fa su un lettino dell ospedale di Arezzo, respirando con un tubo infilato nel collo, una piaga profonda sei centimetri sul sacrale, le braccia ricostruite in sala operatoria, un coma di quarto grado, un'insufficienza respiratoria, una frattura alla colonna vertebrale, un'emorragia cerebrale e i medici che dicevano di non toccarlo, perché suo figlio è in coma, signora: questo è uno stato vegetativo permanente; lui non può capire, non può sentire non può parlare; se alza la testa, se abbassa le palpebre e se muove gli occhi le assicuro che, purtroppo, sono gesti non volontari. Non lo fa apposta; signora, suo figlio non è cosciente.
Salvatore si è risvegliato dopo due anni di coma, dopo due anni di uno stato vegetativo che doveva essere permanente. Oggi vive a Catania con la madre, con due fratelli, con due sorelle, con quattro figli e con una moglie che però si è allontanata. Tre giorni fa ha interrotto uno sciopero della fame cominciato il 15 marzo insieme con altri cinque disabili in stato vegetativo; che in pochi giorni sono diventati 28 e che infine sono diventati poco più di 40. E stato Salvatore stesso a chiedere lo sciopero; lo ha chiesto al fratello Pietro – “Pe-trù” come provò a sibilare la mattina di un anno fa; l’ha chiesto balbettando sul suo computer a scansione ottica quel comunicato che Petrù ha inviato a tutti gli indirizzi importanti che gli venivano in mente – il presidente della Repubblica, il sindaco di Catania, il presidente del Consiglio, gli assessori comunali, gli assessori regionali, i ministri, i sottosegretari e i candidati premier – per chiedere non di interrompere una sofferenza, non di staccare una spina, non di ricevere il diritto a morire. No. Ha scritto per vivere, Salvatore.

di Claudio Cerasa


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