"Prendo spunto da questo articolo per fare alcune considerazioni.
Il rischio che un lettore potrebbe incontrare leggendo potrebbe essere quello di pensare che la scuola, accettando tutti gli individui, si sia messa ad un livello inferiore non dando la possibilita' di esprimersi ai piu' dotati.
Penso invece che proprio nell'accoglienza di tutti stia la grande risorsa.
Pensare che la scuola possa scadere per la presenza di bambini in difficolta' e' diventata opinione di molti.
Molti genitori sono disposti a mettere i propri figli in scuole che garantiscano una preparazione ad alto livello(solo alunni con un certo quoziente intellettivo)
Credo che l'articolo che riporto qui sotto non voglia sottolineare questo.
Proprio quando si pensa
1)di poter unificare un gruppo classe,
2)di eliminare i cosidetti bambini difficili
3)di non avere bambini con Handicap
4)di non avere stranieri con la difficolta' dell'apprendimento della lingua
si cade nel voler livellare e cosi' minacciare l'io.
La ricchezza della diversita', che fa parte integrante della realta',permette di tenere desto nei maestri lo sguardo sugli alunni.
Sguardo che sapra' guardare l'individuo e non il gruppo classe.
Questo grande richiamo che la forte diversita' richiama e' di grandissimo aiuto a risvegliare l'IO di ogni individuo.Si dovrebbe arrivare a desiderare la presenza della grande diversita' in ogni classe per poter avere nel tempo maestri che garantiscano la crescita di ciascuno,maestri capaci di valorizzare tutto di tutti."
I pericoli sono lo Stato padrone, l’Unione Europea e tutte le altre limitazioni della libertà dell’individuo
di Giordano Bruno Guerri
Tratto da IL GIORNALE del 4 marzo 2008
Dell’io il mondo si cura meno di tutto, e per un uomo la cosa più pericolosa è mostrare di possederlo.
(Soren Kierkegaard, La malattia mortale)
Sono reduce - incantato - da un convegno internazionale sul futuro di macchine sempre più attive e interattive. Nel giro di pochi anni potremo mettere nel telefonino qualsiasi tipo di informazione, anche un'enciclopedia, e lui sarà in grado di rispondere (a voce, non con la scrittura) a richieste finora inimmaginabili. Non più bisognosi di tastiera, perché parleranno e capiranno perfettamente la nostra voce, i cellulari saranno così piccoli da poter essere portati al polso come un orologio, o addirittura montati sugli occhiali. Attraverso apparecchi sempre più sofisticati, ma sempre più semplici da usare, potremo prenotare visite mediche e pagare le tasse al telefono parlando - letteralmente - con risponditori automatici in grado di capire le domande e di rispondere a tono; quello del 112 potrà addirittura riconoscere le emozioni, ovvero le voci più allarmate, per dare loro la precedenza. Fra due anni potremo parlare anche ai televisori, non solo per cambiare programma, ma anche per chiedere se per caso quella sera c'è un film del nostro regista preferito.
Immagino che tutte queste novità dispiaceranno a Geminello Alvi e a chi, come lui, ritiene che la tecnologia impoverisca l'io, omologhi e massifichi. Secondo me, la tecnologia impoverisce l'io di chi ce l'ha poverissimo, mentre arricchisce chi ne ha uno brillante di suo. Mi si potrà obiettare che l'io dei più non è brillante, e che quindi i danni superano i vantaggi, che le «protesi» tecnologiche d'aiuto ad alcuni atrofizzano la capacità dei più. Ma allora la responsabilità non è della tecnologia, ci sono altre cause all'origine; o «a monte», come si diceva una volta: ora che la pappagallesca espressione è caduta finalmente in disuso, si può ridarle la sua dignità espressiva. E a monte c'è la scuola, con la sua volontà livellatrice e appiattente; con il suo procedere sempre alla velocità dei più lenti, con la sua non-volontà di stimolare un pensiero autonomo. È un fenomeno così palese che non si può neppure dare la colpa agli insegnanti, come si fa di solito. Piuttosto diventa certezza il sospetto che gli Stati, per loro natura, non amino avere cittadini pensanti in proprio e che le scuole - di conseguenza - insegnino cosa pensare invece che a pensare.
Questa considerazione mi riconduce nell'alveo di Geminello, e a dargli ragione su tutto il resto, se possibile rendendo ancora più drastiche le sue considerazioni. Prima fra tutte quella per cui ha un gran futuro lo Stato dispotico, che ci eravamo illusi di avere sconfitto prima con la Seconda guerra mondiale e poi con il crollo del comunismo. L'autoritarismo, che avevamo cacciato attraverso la porta della democrazia, ci ripiomba addosso sotto le vesti dello Stato tutore, lo Stato che ti protegge da te stesso e dalle tue scelte esistenziali mostrando di volerti bene; e che - se non sei d'accordo - ti tutela con la forza, nel nome del superiore interesse comune: per cui, nel nome della sicurezza e della salute pubblica, se non faremo la dovuta resistenza, presto saremo costretti a girare con una maglietta della salute dotata di un microchip che comunichi a chi di dovere cosa facciamo e con chi. Una reazione possibile, e necessaria, è costituita dal pensiero e dal comportamento libertario, non a caso la forma meno declinata della parola «libertà» e indebitamente associata all'anarchia.
Ci dovrebbero insegnare qualcosa, in proposito, comportamenti e decisioni dell'Unione europea, che spacciando se stessa come unica salvezza dell'Europa e dei suoi abitanti, raddoppia sul cittadino il potere degli Stati nazionali. «L'euro e l'idea di uno Stato europeo», scrive Alvi, «non sono poi così diversi nella loro natura dallo Stato che Napoleone o Hitler volevano creare in Europa». A confermarlo, c'è un passaggio del testamento di Hitler: «L'Europa deve essere fatta nel comune interesse di tutti e senza considerazione alcuna per gli individui». Infatti l'Ue sta facendo passare come trattato quello stesso testo che francesi e olandesi hanno - libertariamente - bocciato come costituzione. E non smentisco il raffronto con Napoleone e Hitler, lo aggravo, sostenendo che l'Europa unita è il trionfo di un'idea comunista: l'idea che tutto si basa sull'economia, quanto più possibile centralizzata, e che i popoli (non più gli individui) devono essere tutti uguali, con le stesse leggi, gli stessi stili di vita, persino gli stessi cibi. Dove non si riesce a uccidere l'io dell'individuo, si colpisce quello dei popoli.
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