giovedì 6 marzo 2008

LA LITURGIA E' L'UOMO COME DOVREBBE ESSERE

"singolo e comunità siano educati a quel particolare modo di comportamento religioso cultuale quale appunto è richiesto dalla natura della vita liturgica", e che la sensibilità moderna e, in connessione, la pietà cattolica sono venute trascurando, nell'intenzione di possedere "il "puro" essere spirituale".

Attualità del pensiero di Romano Guardini
di Inos Biffi

Tratto da L'Osservatore Romano del 5 marzo 2008


Anche se portano i segni del loro tempo, gli scritti di Romano Guardini sono letti ancora: restano attuali l'acutezza e la suggestione che li distinguevano, e prosegue, così, la geniale opera di educatore che, per decenni e in varie forme, Guardini svolse con un successo unico, da una cattedra creata per lui, dedicata alla Weltanschauung, in pratica con lui conclusa.

Egli non fu, come si direbbe, un teologo di professione - anzi la teologia ufficiale e rinomata lo ha ignorato, non mancando in qualche caso di snobbarlo e anche, come nota negli Appunti per un'autobiografia, di riguardarlo con riserve e diffidenza.

E, tuttavia, il tempo non ha declassato la sua ampia e originale lettura del mistero cristiano o del dogma; non ha cancellato le sue penetranti interpretazioni dei grandi pensatori antichi e moderni, né esaurito le sue riflessioni, che hanno spaziato su una varietà di temi religiosi e culturali.

Prendiamo il tema della liturgia, studiato e approfondito congiuntamente con quello della Chiesa, riguardo alla quale ha potuto scrivere: "Ho operato sempre con la Chiesa, anche quando per servirla sono proceduto da solo".

Pur dopo il Vaticano II, conservano una loro permanente e costruttiva validità il fortunatissimo saggio Lo spirito della liturgia, del 1918, dalle innumerevoli edizioni, nel quale Max Scheler gli scriveva di aver trovato "un valido arricchimento spirituale", gli incantevoli Santi segni di rinomanza non inferiore, del 1927, e la Formazione liturgica, del 1923, appena edito dalla Morcelliana, come gli altri volumetti.

Decisivo per l'interesse di Guardini nei confronti della liturgia fu la frequentazione dell'arciabbazia di Beuron da studente. Lui stesso ricorda, siamo nel 1907, di aver assunto da quel monastero nei suoi "procedimenti di pensiero teologico il fatto liturgico" e di aver trovato nelle sue celebrazioni una mistica "in cui l'intimità del mistero" era "legata alla grandezza delle forme oggettive".

Non meno importante in quegli inizi fu il contatto di Guardini con gli studiosi di liturgia Kunibert Mohlberg, Ildefons Herwegen e Odo Casel di Maria Laach, il monastero da cui gli venne l'invito a collaborare agli studi liturgici: il celebre volumetto Lo spirito della Liturgia, fondamentale per il rinnovamento liturgico, e divenuto un classico, vide la luce come primo volume della serie "Ecclesia Orans", pubblicata dall'abate Herwegen, che addirittura persuase Casel ad affiancare Guardini nella cura dello "Jahrbuch für Liturgiewissenschaft", lasciato, però, da Guardini dopo due anni.

La visione della pietà cristiana ed ecclesiale di Guardini, con la sua attenzione agli "opposti", comprendeva e riconosceva, con la liturgia, il valore delle forme private e popolari dell'orazione. Casel gli rimproverava la mancanza di orientamento mistico-cristologico. E a ragione, per un certo verso.

Il monaco lacense era tutto centrato sulla liturgia come presenza sacramentale dei misteri di Cristo; Guardini condivideva questa dottrina caseliana, e intendeva certamente la liturgia come celebrazione del mistero e del dogma cristiano, ma la sua sensibilità e prospettiva erano in parte diverse. Guardini, partendo dalla fonte e dalla sostanza cristologica del rito, rilevato nella sua oggettività e dimensione ecclesiale, mirava in modo particolare a metterne in luce lo "spirito"; a illustrare e a rinnovare le condizioni strutturali antropologiche, perché questo spirito si attuasse efficacemente; quindi a delucidarne i segni e a iniziare ad essi, avendo come scopo quello di formare e di educare il popolo all'orazione della Chiesa, o a "una vera vita liturgica", essendo questa "parte essenziale della vita cattolica".

Da qui, rispetto al profilo più scientifico ed esclusivo di Maria Laach, il carattere "illuminante" e pedagogico degli scritti liturgici di Guardini, che è il profilo del volumetto che qui presentiamo: La formazione liturgica, dove ancora notiamo la proprietà del metodo degli "opposti" che gli è proprio e che lo preserva dalle "esasperazioni" o dalle unilateralità.

In questo saggio preme a Guardini di contribuire a che "singolo e comunità siano educati a quel particolare modo di comportamento religioso cultuale quale appunto è richiesto dalla natura della vita liturgica", e che la sensibilità moderna e, in connessione, la pietà cattolica sono venute trascurando, nell'intenzione di possedere "il "puro" essere spirituale".

Si tratta allora, anzitutto, di riprendere il senso del corpo nell'orazione, contro uno spiritualismo che lo ha rimosso con una inumana scissura tra anima, indebitamente "sublimata", e corpo, puramente ed estrinsecamente giustapposto, e quindi col rigetto della concezione dell'anima "forma" del corpo.

"Ciò che assume l'atteggiamento liturgico, che prega, offre e agisce - avverte Guardini - non è l'"anima", non l'"interiorità", bensì "l'uomo": è l'"uomo intero" il soggetto dell'attività liturgica (... ) È l'uomo intero che è soggetto esercitante la pietà religiosa cristiana".

Soltanto con una corporeità animata spiritualmente e con una spiritualità che si esprime corporalmente, l'uomo può "diventare nuovamente capace di simboli", di gesti e di azioni in cui si incarni l'interiorità destinata a esprimersi visibilmente, e di conseguenza di operare liturgicamente, e non solo cerimonialmente: senza simboli si ha la cerimonia, non la liturgia.

Inoltre, per il compimento della liturgia - continua Guardini - occorre che all'assunzione simbolica del corpo si accompagni quella delle cose, dove il corpo si estenda temporalmente e spazialmente e dove l'anima stessa si estenda come "forma", e si dispieghi, così, la possibilità e la fecondità simbolica della liturgia.

Vengono, allora, a crearsi il tempo e lo spazio sacri, dove le cose non subiscono violenza ma, grazie all'azione umana che le interpreta intimamente, sono come "liberate", e così dispiegano tutte le loro nascoste risorse e la loro "intenzione più profonda".

Secondo le parole di Guardini: "L'uomo si esprime nelle cose; l'anima diviene anche forma della cosa, la coglie inserendola nel suo rapporto espressivo con il corpo: vestiario, suppellettili, spazio e tempo e qualsiasi azione possa essere in essi compiuta".

Si pensi - dice l'autore - alle ricchezze simboliche, ben distinte dalle utilizzazioni allegoriche, offerte dall'acqua, dal fuoco, dall'incenso nella liturgia, la quale si svolge non in una trama di puri concetti, ma nello spessore di tutta una corporeità o creazione riconosciuta e insieme elevata e riformata.

Questo tuttavia non basta ancora: bisogna che si ricrei l'atteggiamento "comunitario", cioè che il singolo oltrepassi la sua "solitudine" e, senza dissolvere, anzi, promovendo la sua condizione di persona, viva in una concreta comunione ecclesiale, dove "Chiesa e singolo si incontrano reciprocamente".

Le affermazioni di Guardini, risalenti a oltre otto decenni fa, sono lucide e penetranti: la "Chiesa è soggetto della liturgia e il singolo lo è lui pure come suo membro. Un comportamento veramente liturgico è possibile solo se si possiede una coscienza vigile e piena della Chiesa". Esso, invece, "scompare non appena la rappresentazione della Chiesa si dissolve nell'individualismo, oppure decade a formazione con finalità etico-pedagogiche".

Di conseguenza, occorre che risalti una concezione della Chiesa che anzitutto comprenda "la mistica comunità dei riconciliati con Dio in Cristo e fra tutti loro", o una Chiesa intesa "come l'infinita comunità vitale del Corpo mistico e la onniabbracciante compagine d'ordine della gerarchia".

"Il credente deve progressivamente dilatare la propria coscienza religiosa, il proprio Io orante. Egli deve superare l'isolamento individualistico, il soggettivismo romantico-sentimentale, e nella preghiera, nel sacrificio eucaristico e nell'azione sacramentale deve porsi totalmente nella grande comunione della Chiesa", d'altronde considerata in una sua concretezza. "La coscienza dell'io deve ampliarsi in quella dell'"io" comunitario, finché nell'animo non ci sia che un grande "noi" come soggetto della preghiera e del sacrificio".

La formazione liturgica, per altro, non è conclusa a questo punto: manca il compimento sostanziale di questi atteggiamenti, ossia il loro "contenuto", o il loro "oggetto", o il loro dato "storico". Questi sono chiamati a emergere e salire in questo vissuto, e ad essi si deve "obbedire", pena il loro risolversi e il dissolversi, com'è avvenuto, secondo Guardini, dopo il Rinascimento e la Riforma, in una assoluta soggettività, che àltera la propria "essenza" reale.

Ora, l'"Oggettivo" che in essa si deve esprimere è Gesù Cristo, ossia l'"archetipo vivente", sul quale l'uomo dev'essere plasmato, o il modello che, accolto obbedienzialmente, conferisce all'uomo la sua autentica identità: "La liturgia è autoespressione dell'uomo, ma dell'uomo come deve essere", quindi dell'uomo "in Cristo". È questi che "ricolma la Chiesa", ed è il suo Spirito che "forma la liturgia".

Da Cristo e dallo Spirito vengono permeati e trasfigurati le parole e i gesti rituali, che si sono compaginati storicamente nella tradizione, chiamata a sua volta, con i suoi pregi e i suoi limiti, a entrare nella confidente e disciplinata soggettività, così che ne sia rivelato e attinto, sotto la guida della Chiesa, tutto il valore.

Infatti, "la formazione liturgica è educazione al pensare e al volere ecclesiale, al sentire cum Ecclesia".

Possiamo, a questo punto, osservare che, se le considerazioni de La formazione liturgica di Guardini valevano nel secondo e terzo decennio del Novecento, quando ancora la liturgia non aveva conosciuto la riforma del Concilio Vaticano II, da Guardini certamente preparata e auspicata, esse sono forse più urgenti oggi, di fronte all'uso non raro e alla non infrequente mania di arbitrarie "creatività", dov'è ignorata la "disciplina", e dove naufraga esattamente il senso dell'ecclesiale e dell'oggettivo.

Questo volumetto, senza dubbio di lettura alquanto impegnativa per la densità del pensiero, il non agevole linguaggio, e le valutazioni storiche che vi si intrecciano, è un invito - e sarebbe una grazia mirabile e singolare se venisse accolto nei seminari - a una revisione mentale e pratica, così che l'azione liturgica sia efficacemente il sacramento della Chiesa in preghiera.

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