sabato 5 luglio 2008

LUNGO SEI ANNI DI PRIGIONIA LA PREGHIERA IL FIATO CHE L'HA TENUTA IN VITA

DAVIDE RONDONI
Avvenire 4 luglio 2008
In sei anni di prigionia, strappata ai figli, e sen¬za sapere se il giorno che viveva poteva esser l’ultimo, lei avrebbe potuto trovare mille motivi per bestemmiare Dio. Per rinnegarlo. Per pensa¬re che la vita, come dice un personaggio di Shakespeare, sembra una commedia realizzata da un ubriaco. Invece no. Invece le prime parole in conferenza stampa sono state: chiedo di ringraziare Dio e la Vergine… Come se mentre i potenti e le polizie di tutto il mondo si affaccendavano per raggiungerla, Dio e la Vergine fossero stati sempre lì con lei. La corona del rosario, fatta con una corda, è stato il suo legame con la vita. Con il senso della vita. E dunque il legame che l’ha strappata alla disperazione e alla follia.




Per questo, la signora che si è trovata al centro di un intrigo internazionale ha detto per prima quel¬la cosa in conferenza stampa. Come se dicesse: buongiorno. Come se dicesse una cosa normale. Lei che ha vissuto sei anni del tutto anormali, ec¬cezionali. Che deve aver avuto tutti i pensieri pos¬sibili a un essere umano. E gli sbalzi tra conforto e sconforto. Ha detto di ringraziare Dio e la Ver¬gine come se parlasse dell’aria che ha respirato. La preghiera detta tutti i giorni, all’alba da sola, o alla stessa ora in cui sapeva che la diceva sua ma¬dre, è stata il fiato che l’ha tenuta in vita. Perché la preghiera di lei somiglia alla preghiera che da secoli dicono gli uomini e le donne semplici. La preghiera che è come un respiro. Che è il gesto di non lasciarsi andare. Di dire a Qualcun altro dammi la forza. È il gesto delle persone realiste. Cioè di quelle che nessuno ha davvero tutta in¬tera la forza per reggere la vita, che si svolga per sei anni di rapimento nel bosco, o per sessant’anni di vita in città, che sia per sei anni di privazione e pericolo, o per trent’anni di fatica e di lavoro. Lei è stata realista, ha pregato. È realista, è normale. Ma è anche un fatto eccezionale, quasi come il fat¬to che sia stata liberata. Sì, il fatto che pregasse tut¬ti i giorni, che non disperasse, insomma che do¬po sei anni abbia il nome di Dio e di Maria sulle labbra, è un fatto eccezionale quasi quanto il fat¬to che l’abbiano liberata. Sarebbe stato eccezio¬nale anche se non la liberavano. Sarebbe stato il segno che lei era già in fondo libera. Perché chi l’ha rapita non ha potuto esercitare la più dura for¬ma di potere sull’altro uomo, quella di farlo di¬sperare. Chi l’ha rapita non ha potuto imprigio¬narla del tutto. Non ha potuto rubarle l’anima e il pensiero. Non ha potuto convincerla nemme¬no che la sua vita fosse solo nelle mani di chi l’a¬veva in ostaggio. Lei sapeva che era anche in al¬tre mani. In questo aveva già sconfitto i suoi ra¬pitori. Il rosario all’alba, e quello di mezzogiorno, detto in comunione con la madre, era già la scon¬fitta dei suoi rapitori. Era il segno che lei era ed è di un Altro. Sconfitta della disperazione e scon¬fitta dei rapitori. Così quando in conferenza stampa ha innanzi¬tutto usato quelle parole di ringraziamento a Dio e alla Vergine, Madame Betancourt ha mostrato ai potenti e ai rapitori in che mani è il mondo. E in che mani lei si era messa. Ha detto una cosa eccezionale, e però realista. Normale come dire: buongiorno. Ed eccezionale come dire: sono li¬bera. La preghiera è il respiro degli uomini libe¬ri. Non degli uomini e delle donne a cui va tutto diritto, o a cui manca qualche rotella. E’ il respi¬ro normale di quella cosa eccezionale che si chia¬ma libertà. Madame lo ha mostrato. I suoi lunghi sei anni non sono stati solo un pozzo oscuro, in cui è inimmaginabile come si potesse sentire. So¬no stati anche il luogo dove non era mai sola. Al¬la faccia dei suoi rapitori, e di chi crede – con tan¬te forme di rapimento, di separazione, di na¬scondimento – di possedere l’uomo, o di farci sen¬tire da soli e disperati. Da una donna che hanno tenuta prigioniera ci arriva una piccola grande lezione di libertà. E un invito a cercare il respiro che lega alla vita e a Dio, più delle mille chiacchiere che ci lasciano più so¬li e più schiavi.

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