CARD. ANGELO SCOLA
AVVENIRE 21 LUGLIO 2008
Noi siamo figli di un Padre misericordioso che «dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5, 8): come possiamo cercare di comprenderlo? Io credo che una via privilegiata per penetrare il senso profondo della paternità cui Gesù Buon Pastore ci introduce sia l’esperienza, comune ad ogni uomo, della famiglia. Per questo, oggi, in occasione della festa del Redentore, sulla scorta della Dottrina Sociale della Chiesa, vorrei dedicare qualche riflessione alla realtà della famiglia nel nostro Paese.
Se guardiamo i recenti dati Istat e Censis scopriamo che in Italia la famiglia, così come la definisce la Costituzione (cfr. articoli 29-31; 37), rappresenta nei fatti una risorsa decisiva per il progresso dell’intera società. Quando si parla di progresso bisogna evitare un grave equivoco. Quello di identificarlo con l’inedito, bollando come immobile conservatorismo tutto ciò che rinnova la tradizione. Il vero progresso invece sa innestare il nuovo sull’antico.
Analogamente le analisi sulla secolarizzazione devono tenersi alla larga da generalizzazioni e luoghi comuni. La situazione dell’Italia non è la stessa, per esempio, di quella della Francia, della Germania o della Spagna. E la famiglia è proprio uno dei fattori che fanno la differenza.
È vero che sono sempre più numerose le coppie che scelgono di formare una famiglia al di fuori del vincolo del matrimonio. Tuttavia in Italia tale fenomeno non solo è ancora abbastanza esiguo ma rappresenta assai spesso un passaggio verso il matrimonio, più che un’alternativa allo stesso. Da noi il tasso di divorzio è tra i più bassi d’Europa. Pur mutando il proprio ruolo sociale, la donna italiana di oggi, che lavora di più fuori casa, dichiara che matrimonio e maternità sono al primo posto tra le sue aspirazioni. Infine, nonostante i cambiamenti demografici, i legami intergenerazionali sono molto intensi e le reti di solidarietà familiare si rafforzano.
Non possiamo, tuttavia, ignorare che i rapidi e profondi cambiamenti della mentalità e dei comportamenti e la presenza di diversi stili e modalità di convivenza, sollecitino con forza una domanda radicale: è ancora possibile parlare di famiglia in modo univoco? Di una sua inalienabile identità basata su alcuni caratteri fondanti, rintracciabili in ogni cultura e società? Esiste un proprium della famiglia? Promuovere la famiglia così intesa è un modo efficace per affrontare le questioni antropologiche scottanti?
Il 'proprium'della famiglia
Il celebre antropologo Lévi-Strauss parlava dell’unione socialmente approvata di un uomo e una donna e i loro figli come di «un fenomeno universale, presente in ogni e qualunque tipo di società». Identificava in tal modo il 'proprium' della famiglia. Reputo che questo dato sia ancora attuale e non possa essere ragionevolmente smentito.
L’affermazione di Lévi-Strauss è chiara nel contenuto di fondo, anche se va interpretata in modo adeguato. Riconosce il fatto che esiste una sorta di «società naturale», fondata su un doppio legame: quello tra l’uomo e la donna e quello tra genitori e figli. Il che non significa far riferimento ad un modello storico particolare di famiglia, tantomeno sostenere che la realtà della famiglia coincide con la famiglia nucleare così come noi oggi in Italia generalmente la conosciamo. Questo importante rilievo si limita a registrare l’esistenza di una sorta di «universale sociale e culturale», che però è ben riscontrabile empiricamente, e lo è, praticamente, in ogni società. Il dato costitutivo del proprium della famiglia è la sua natura intrinsecamente relazionale.
La famiglia infatti non si definisce soltanto in riferimento ai soggetti che la compongono (l’uomo, la donna e i loro figli), ma mette contemporaneamente in campo il legame di appartenenza che si instaura tra di loro. È quella specifica forma di «società primaria» che tiene insieme e di fatto permette un armonico sviluppo delle differenze costitutive dell’umano quella sessuale tra l’uomo e la donna e quella tra le generazioni (nonni, padri, figli). La famiglia è istituita per dare forma sociale alla differenza dei sessi in quanto generatrice di vita. Il riconoscimento della famiglia come relazione specifica tra i sessi e le generazioni richiede pertanto una chiara valorizzazione dell’istituto matrimoniale.
Al servizio dell’identità dell’io
Il quotidiano e stabile rapporto «io-tu» che passa attraverso le relazioni primarie vissute in famiglia favorisce normalmente la equilibrata crescita della persona.
L’identità della persona è strettamente connessa sia alla presenza della coppia generativa, sia alla storia delle generazioni di cui è espressione. È questo un dato costante, comune ad ogni esperienza familiare. Né si tratta di un dato puramente biologico. Infatti «con la famiglia si collega la genealogia di ogni uomo: 'la genealogia della persona'» (Giovanni Paolo II).
In questo sta la forza drammatica della famiglia. Essa, infatti, costituisce per ogni uomo, tanto nei suoi aspetti positivi che in quelli negativi, la via privilegiata per cogliere e sviluppare la propria identità personale. Quello che siamo e pensiamo di noi, la fiducia che nutriamo in noi stessi, in una parola il valore della nostra singolare persona sono in larga misura fondati sulla possibilità di sperimentare un senso di appartenenza al corpo familiare nel succedersi delle generazioni. La fiducia di base di un bambino nei confronti della vita, la sua consapevolezza di essere un soggetto degno di
U essere amato e capace di amare nella sua irripetibile unicità di persona, nasce e si sviluppa all’interno del contesto familiare.
Pensiamo ad una situazione critica, che coinvolge un numero sempre crescente di figli: la separazione o il divorzio dei genitori. Molto è stato detto e scritto sugli effetti a breve e a lungo termine che la dissoluzione del legame coniugale provoca sulla vita dei figli. Al di là delle difficoltà di adattamento personale e sociale alla nuova situazione, quello che è più duro da accettare per loro è proprio la perdita di senso del legame di coppia da cui hanno avuto origine. Le letture più serie ed approfondite di questo fenomeno ci dicono che l’ostacolo più forte per l’identità dei figli non sta nel tasso di conflittualità a cui possono essere stati esposti nel processo di separazione dei genitori, quanto nel venire meno della certezza fondamentale legata all’unione originaria dei genitori. Un figlio sa che esiste in virtù dell’unione dei suoi genitori, e di conseguenza non può facilmente adattarsi all’idea che quest’unione possa venir meno.
n’altra caratteristica dell’ «universale sociale» che è la famiglia è il suo essere luogo educativo fondamentale.
«La famiglia costituisce 'una comunità di amore e di solidarietà che è in modo unico adatta ad insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri e della società'» (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa n. 238).
La famiglia infatti trasmette, quasi per osmosi, l’esperienza morale elementare (ethos). È la società elementare in cui ognuno, attraverso il bene primario degli affetti, è «riconosciuto» come persona - il sorriso della madre al bambino gli dice: «è bene che tu sia» - e fiduciosamente spalancato al futuro da una «promessa» di felicità da cui scaturisce un «compito» che deve essere assunto nel rapporto tra le persone e nello scambio tra le generazioni. La famiglia è per eccellenza il luogo di un’educazione basata sulla scansione «riconoscimento-promessacompito ». Questi tre fattori costitutivi dell’esperienza morale elementare comune ad ogni uomo non si possono mai separare. Il benessere di una famiglia coincide anzitutto con la sua capacità di rispettare e promuovere questo ethos sostanziale che educa alla fiducia, alla speranza, alla giustizia e alla lealtà.
Non si deve però credere che questo ethos familiare sia di per sé garantito dai rischi di un suo impoverimento. In ogni relazione familiare, la fiducia e la giustizia convivono con il loro opposto. Nessuna famiglia ne è immune: in ognuna vive una certa quota di mancanza di fiducia, di ingiustizia e di prevaricazione. In particolare nell’odierna cultura la famiglia è messa alla prova dalla riduzione degli affetti a pure emozioni, per loro natura transitorie e instabili. Le emozioni però non generano quella duratura promessa che rende ragionevole la vita come compito. Dare consistenza alla famiglia come luogo di educazione morale elementare e contrastarne i processi degenerativi domanda una forte ripresa educativa dei parentes. Non solo dei genitori, ma anche dei nonni. A tal fine però la società civile e chi la governa non deve trattare la famiglia come una privata jointventure, ma vedere in essa la cellula elementare della società stessa, come del resto fa la nostra Costituzione. Anzi la famiglia è in se stessa la prima forma di società.
Una risorsa per tutta la società
E Nella società italiana, pur tra molteplici e crescenti difficoltà, si registra ancora una fitta rete di scambi, di prestazioni di cure, di solidarietà che legano i vari membri della famiglia e delle generazioni, anche se ciò raramente viene messo in evidenza con la dovuta consapevolezza. In questo possiamo vedere all’opera l’ethos tipico dei legami familiari e la loro fecondità sia sul piano personale, sia su quello sociale.
C’è una stretta relazione tra appartenenza alla società e appartenenza ad una famiglia: la famiglia è matrice dell’appartenenza sociale, in essa nasce la fiducia, si sviluppa la capacità di cooperare responsabilmente al bene comune in un incessante scambio reciproco. Per queste sue prerogative la famiglia viene considerata un capitale sociale primario che, se consolidato e incrementato genererà benessere per l’intera comunità sociale, se consumato o indebolito porterà inesorabilmente allo sfaldamento del tessuto societario. La famiglia non è semplicemente un attore importante sul «mercato».
ssa, infatti, è il luogo normale della soddisfazione dei bisogni elementari dei suoi membri, anche attraverso il godimento dei beni e dei servizi che vi vengono autoprodotti. Spesso è il lavoro femminile che sostiene direttamente o indirettamente la produzione di beni veri e propri che, pur non transitando per il mercato, sono consumati e contribuiscono al ben-essere. Le misure economiche standard del ben-essere sono però costruite in modo da ignorare sistematicamente il contributo delle famiglie - e segnatamente delle donne: il lavoro non pagato non entra nel calcolo del reddito nazionale, pur contribuendo al benessere. Questi dati indicano con chiarezza che nessuna politica per il rilancio dello sviluppo economico può essere ragionevolmente pensata senza attenzione al ruolo economico della famiglia.
È noto che, fino ad oggi, le politiche fiscali del nostro Paese (al di fuori dei nostri confini la situazione è sensibilmente diversa) non solo non riconoscono, ma penalizzano in modo notevole le famiglie con figli («più figli hai
Le politiche fiscali del nostro Paese non solo non riconoscono, ma penalizzano le famiglie con figli. In realtà una buona politica familiare costituisce una misura efficace nella prevenzione della povertà, facendo contribuire ciascuno secondo le reali disponibilità economiche, ma lasciando alle persone e alle famiglie le risorse per rispondere in modo libero ai propri bisogni
peggio stai»). Chi si oppone all’attuazione di un fisco a misura di famiglia, spesso considera tali interventi antitetici alle politiche di contrasto alla povertà. A questo proposito occorre rimuovere alla radice il pregiudizio secondo il quale politiche fiscali chiaramente orientate alla famiglia penalizzerebbero le classi povere a vantaggio di quelle medie. In realtà, una buona politica familiare costituisce una misura estremamente efficace nella prevenzione della povertà, facendo contribuire ciascuno secondo le reali disponibilità economiche, ma lasciando alle persone e alle famiglie risorse sufficienti per rispondere in modo libero e responsabile ai propri bisogni. Come distinguere tra misure fiscali che aiutano realmente la famiglia e misure che, dietro questa apparente intenzione, nascondono l’effetto di penalizzarla? Il criterio discriminante è la considerazione di chi sia il contribuente e quindi il beneficiario dell’eventuale agevolazione: se è l’individuo, qualsiasi provvedimento non avrà un carattere familiare.
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