Con questo blog desidero dare la possibilita' a tutti di leggere articoli ,commenti ,interventi che mi aiutano a guardare la realta', a saperla leggere ed essere aiutati a vivere ogni circostanza positivamente. Mounier diceva "la vita e' arcigna con chi le mette il muso" (lettere sul dolore). E' importante saper abbracciare la realta' tutta per poter vivere la giornata con letizia.
sabato 29 settembre 2007
SITUAZIONE NELLA EX BIRMANIA
Decine di migliaia di persone si sono unite alla protesta dei monaci buddisti in Birmania; si teme la possibile repressione da parte della giunta militare di fronte alla più importante manifestazione dal 1988.
Anche la Svizzera segue con apprensione gli sviluppi nella situazione nel paese asiatico, come sottolinea l'ambasciatore svizzero all'ONU Blaise Godet.
La Svizzera si è dichiarata lunedì «allarmata» per la situazione in Myanmar (ex Birmania). Berna ha invitato le autorità birmane a permettere al Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) di riprendere le sue attività nei luoghi di detenzione su tutto il territorio. È quanto dichiarato dall'ambasciatore della Svizzera all'ONU Blaise Godet in occasione del dibattito generale al Consiglio per i diritti umani, riunito a Ginevra fino a venerdì.
Il diplomatico elvetico ha ricordato che il 12 marzo scorso, la presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey aveva già sollecitato le autorità del Myanmar in tal senso. «Constatiamo con rammarico e preoccupazione che non è stato conseguito alcun progresso», ha dichiarato Godet. L'ambasciatore ha inoltre sottolineato che il CICR ha rilevato «violazioni gravi e ripetute del diritto internazionale umanitario».
Il diplomatico ha ricordato l'impegno degli stati firmatari delle Convenzioni di Ginevra «a rispettare e fare rispettare queste disposizioni in ogni circostanza». Anche altri paesi hanno evocato la situazione in Myanmar al Consiglio per i diritti umani. Alcuni paesi europei hanno chiesto alle autorità militari di liberare immediatamente tutti i prigionieri politici, compreso il premio Nobel della pace Aung San Suu Kyi.
Protesta di massa
Centomila birmani, tra cui almeno 15'000 monaci, sono scesi in piazza nell'ex capitale Yangon e in altre 25 città del paese per protestare contro la giunta militare al potere nel Myanmar. Il numero dei manifestanti è cresciuto costantemente, in particolare dopo il passaggio davanti alla sede della Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi, che dal 2003 coincide con l'abitazione della leader dell'opposizione, confinata agli arresti domiciliari.
Al settimo giorno consecutivo di protesta, la mobilitazione della popolazione ha assunto dimensioni senza precedenti, raccogliendo anche migliaia di studenti, cittadini comuni, celebrità del mondo dello spettacolo e anche parlamentari eletti con il voto del 1990, non riconosciuto dalla giunta.
I monaci hanno sfilato chiedendo di non utilizzare slogan politici e di recitare soltanto preghiere per la pace. I bonzi chiedono segnatamente che sia abbassato il prezzo di benzina e trasporti comuni.
Il movimento di protesta è stato innescato cinque settimane ne fa dall'aumento dei prezzi dei carburanti, che ha fatto raddoppiare il costo dei mezzi pubblici e del cibo, in un Paese ricco di riserve energetiche, ma dove un quarto della popolazione vive nella povertà. Quelle dell'ultima settimana sono le più imponenti manifestazioni dal 1988, quando una rivolta studentesca fu soffocata nel sangue dal regime militare.
Minaccia di repressioni
Il regime birmano – che abitualmente non tollera contestazioni – aveva finora tenuto un profilo basso, anche in considerazione del rispetto e della popolarità di cui godono i monaci. Secondo gli osservatori, un ruolo importante va inoltre attribuito alla Cina, principale partner commerciale e alleato del regime, che avrebbe esortato le autorità birmane a dar prova di moderazione.
Lunedì, però, dopo cinque settimane di marce e raduni e di fronte alle dimensioni della protesta, i gerarchi birmani hanno convocato i vertici del clero buddista.
La giunta militare al potere nel Myanmar ha avvertito che prenderà non meglio precisate misure contro i manifestanti se non cesseranno le proteste in atto da una settimana. Reagendo per la prima volta, il generale Thura Myint Maung, ministro degli affari religiosi, ha riferito l'avvertimento direttamente alla gerarchia del clero buddista. «Se i monaci non rispetteranno le regole di obbedienza ai loro insegnamenti, adotteremo alcuni provvedimenti in base alla legge in vigore», ha detto il ministro citato dalla televisione controllata dal Governo.
Solidarietà internazionale
A livello internazionale, sono giunte reazioni e appelli da più parti in merito alla situazione in Birmania. Gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione per il «brutale» regime del Myanmar, affermando di seguire attentamente l'andamento delle proteste e incoraggiando i generali al dialogo. Altre reazioni sono arrivate dalla Germania che ha espresso «simpatia» per i manifestanti, e dalla Francia che si è detta a sua volta preoccupata per la situazione e ha aggiunto che il regime militare sarà «ritenuto responsabile» della sicurezza dei manifestanti.
Londra, ex potenza coloniale della Birmania, ha chiesto al regime di astenersi da qualsiasi repressione violenta che potrebbe solo aggravare la situazione. A Roma è stata organizzata una manifestazione di solidarietà. Dal canto suo, in un messaggio diffuso a Parigi, il Dalai Lama – guida spirituale tibetana e massima autorità morale del buddismo – ha espresso «pieno sostegno» ai monaci birmani e ha chiesto ai generali di non far ricorso alla forza.
swissinfo e agenzie
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