lunedì 22 ottobre 2007

ESSERE CAPACI DI UNA PROIEZIONE IN AVANTI

Se c’era ancora qualcuno che nutriva dubbi sulla capacità del laicato cattolico italiano di partecipare alla progettazione di una vita buona comune, persino in settori strategici come quelli del governo dell’economia, del ruolo dello Stato nel suo rapporto con il mercato, della fisionomia della macchina statale, della dialettica fra governanti e governati, quel qualcuno è stato clamorosamente smentito. Perché il mondo cattolico ha più risorse, intellettuali e di popolo, di quante ne emergano dal discorso pubblico.

Essere capaci di una proiezione in avanti
Società - dom 21 ott
Paese schiacciato sul passato
di Domenico Delle Foglie

Tratto dal sito PiùVoce.Net il 19 ottobre 2007

Dalla recriminazione alla proposta. Dall’attivismo alle opere. Dallo statalismo alla sussidiarietà. Dall’impresa a una sola dimensione (quella capitalistica) al pluralismo delle imprese sociali. Dalla democrazia rappresentativa alla democrazia deliberativa.

Dall’incomunicabilità tra società civile, politica e di mercato, alla costruzione di una rete capace di alimentare un dialogo costruttivo, precondizione per l’espansione delle varie libertà e per la realizzazione del bene comune.

Se c’era ancora qualcuno che nutriva dubbi sulla capacità del laicato cattolico italiano di partecipare alla progettazione di una vita buona comune, persino in settori strategici come quelli del governo dell’economia, del ruolo dello Stato nel suo rapporto con il mercato, della fisionomia della macchina statale, della dialettica fra governanti e governati, quel qualcuno è stato clamorosamente smentito. Perché il mondo cattolico ha più risorse, intellettuali e di popolo, di quante ne emergano dal discorso pubblico. Molto si può discutere sul tema della rappresentazione di questo nostro mondo e della sua complessità. Ma questa non è, come può apparire, solo una sfida comunicativa. È principalmente una scommessa culturale, e in quanto tale, inevitabilmente politica, nel senso più alto, di servizio alla comunità.

C’è un filo rosso che unisce le parole che hanno aperto l’edizione del Centenario delle Settimane sociali, con i lavori che si snodano intensi nel centro congressi dell’università di Pisa. Ha detto con fermezza il presidente dei vescovi italiani, monsignor Angelo Bagnasco, che non mancherà «la parola dei pastori» quando i «delicati momenti» del Paese lo richiederanno. Ma il vescovo ha passato subito la parola, non simbolicamente, al laicato. Perché faccia sentire la propria voce, in libertà, autonomia e responsabilità. E questo è esattamente accaduto ieri in aula, al mattino come nel pomeriggio. Un grande sforzo di libertà e creatività, interpretato da voci e competenze assolutamente pertinenti ai problemi e, al tempo stesso, capaci di una coraggiosa proiezione in avanti. Testimonianze di una Chiesa che è intrinsecamente sociale, perché vive nel tessuto profondo del Paese. Amandolo di un amore senza condizioni.

Ma proprio questo ci induce a dire che si ha il dovere di vigilare sull’eco delle nostre parole nell’opinione pubblica, perché non troppo vada perduto, e non troppo ancora venga sfigurato da pratiche caricaturali. E invece sia preso sul serio e giudicato sul tavolo delle proposte, e non secondo il filtro falsificante delle ideologie. Non è chiedere molto ad un Paese maturo e democratico, pur avvelenato da forti iniezioni di laicismo esasperato. Talvolta ci capita pure di dubitare della capacità di ascolto da parte del mondo laico, ma non è questo il momento delle polemiche.

A chi rimprovera ai cattolici italiani di esercitare costantemente un potere di interdizione sulla società italiana, con una lunga teoria di "no", l’esperienza delle Settimane sociali sta a dimostrare che il cattolicesimo italiano ha la forza di mettere in campo idee e avanzare soluzioni. Che meritano di godere – proprio in virtù dei grandi "sì" pronunciati in favore dei diritti dell’uomo – non solo di buona rappresentazione, ma anche di buona rappresentanza. Questa è una partita aperta che reclama un sovrappiù di assunzione di responsabilità, da parte dei laici cattolici. Con quello stigma dell’innovazione che non può mancare – e non manca – in una Chiesa di popolo, abituata com’è ad esplorare vie nuove, a sperimentare linguaggi alternativi, a costruire forme innovative di partecipazione. Capace, per dirla con il linguaggio delle Settimane, di far valere non solo la libertà di rivendicare quanto quella di ottenere costruendo. Facendosi carico, in questo tragitto, degli ultimi. Ma non attraverso una demonizzazione del mercato, bensì scommettendo sul mercato "amico". Dando a tutti i cittadini (e ai poveri in particolare) la forza di produrre e di riscattarsi attraverso il lavoro. Garanzia della dignità di ciascuno.

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