Religione - lun 24 dic
di Paolo Rodari
Tratto da IL RIFORMISTA del 24 dicembre 2007
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È soprattutto nelle liturgie pontificali (cioè quelle che il Papa presiede al trono, ovvero alla "cathedra", della basilica vaticana) che viene fuori lo stile liturgico sobrio, curato, ma insieme coraggioso proprio di Benedetto XVI.
Uno stile che, incidendo in quello che è il cuore (l’essenza) della vita di fede dei credenti, ovvero la liturgia, è destinato a segnare nel profondo l’intero pontificato del successore di Giovanni Paolo II.
A Roma, infatti, a come Roma celebra la liturgia, guarda l’intero mondo ed è dunque evidente come sia anzitutto lo stile liturgico proprio di un Pontefice a poter incidere nella vita di fede delle comunità cristiane sparse nei vari continenti.
Più che le parole e i discorsi (peraltro importanti) è l’"ars celebrandi" che manifesta ciò che un pastore intende portare al mondo e alla sua Chiesa.
Ne è cosciente Benedetto XVI. Ne è cosciente colui che dallo scorso primo ottobre ne è il nuovo maestro delle cerimonie, monsignor Guido Marini.
Ed è anche a motivo di questa consapevolezza che, passo dopo passo, le liturgie pontificali degli ultimi mesi stanno vedendo la coraggiosa introduzione di antiche usanze recentemente cadute in disuso, usanze che, nell’insieme, vanno a esaudire quelle che sono le aspettative di Benedetto XVI: la liturgia deve favorire un comune orientamento del sacerdote e dei fedeli a Oriente, e cioè a Colui che viene, al Signore che torna in mezzo al suo popolo, in mezzo a coloro che con voce, sguardo e postura dimostrano di aspettarlo.
È innanzitutto l’orientamento, infatti, che sembra poter essere garanzia a che le parole di Georges Bernanos dedicate alla vita liturgica - «Non si capisce assolutamente niente della civiltà moderna se non si ammette per prima cosa che essa è una congiura universale contro qualsiasi specie di vita interiore» - non abbiano a realizzarsi completamente.
Piccolo gesti. Minuscoli cambiamenti permettono alla liturgia di essere ciò che il Papa vuole che sia. Dopo la messa celebrata un paio di mesi fa in suffragio dei cardinali defunti nel corso dell’anno nella quale, significativamente, la croce tornò a essere posizionata nel mezzo dell’altare (per dare l’orientamento allo sguardo), dopo le successive celebrazioni in cui tornarono le forme romane e classiche e una nobile austerità aliena da forme secolaresche (anche i paramenti e i colori furono quelli adatti ai tempi liturgici), ecco le celebrazioni natalizie. Ecco la messa di mezzanotte (questa sera) e, domani, dalla loggia centrale della basilica vaticana, il tradizionale messaggio natalizio e quindi la benedizione “Urbi et Orbi”, alla città di Roma e al mondo intero.
Per la messa di mezzanotte il trono papale tornerà, come vuole la tradizione, a essere di sette gradini. Benedetto XVI indosserà una casula ricamatagli in occasione dell’ottantesimo genetliaco e una mitria gemmata. Per la benedizione del giorno di Natale il Pontefice porterà un piviale in lama ricamato d’oro che fu di Giovanni XXIII e, insieme, una mitria del Pontefice dal quale Benedetto XVI ha preso il nome: Giacomo della Chiesa, ovvero Benedetto XV. E poi sarà sempre dalla loggia centrale della basilica vaticana che Ratzinger impartirà la benedizione “Urbi et Orbi” con la croce papale, e cioè quella a tre bracci che risale a Leone XIII.
Lo scrisse bene Joseph Ratzinger nell’"incipit" di quello che qualche anno fa, dopo pochi mesi dalla sua uscita, in Germania era già divenuto un fenomeno editoriale, ovvero “Der Geist der Liturgie. Eine Einführung” (“Lo spirito della liturgia. Un’introduzione”), quando cercando di riprendere nero su bianco le aspirazioni del più famoso “Lo spirito della liturgia” di Romano Guardini, scrisse che se il suo libro «riuscisse a sua volta a essere di stimolo a qualcosa come un “movimento liturgico”, un movimento verso la liturgia e verso una sua corretta celebrazione, esteriore e interiore», l’intenzione che lo spinse a tale lavoro «sarebbe pienamente realizzata».
Da piccole cose si crea un grande movimento di restauro, di rimozione di un intonaco che, soprattutto negli anni del post Concilio, ha fatto perdere alla liturgia molta della bellezza delle sue forme. Eppure non tutto è perduto. La liturgia ancora può essere celebrata come un momento di «adorazione comune» - sono parole di Ratzinger -, un momento per
«andare incontro a Colui che viene: non il cerchio chiuso in se stesso esprime l’essenza dell’evento, ma la partenza comune, che si esprime nell’orientamento comune».
Il Motu Proprio Summorum Pontificum (a giorni uscirà - è già pronta - una nota di Ecclesia Dei che ne spiegherà meglio l’attuazione) è un segno importante in scia a questo ritorno di un comune orientamento. Le piccole modifiche apportate ai pontificali in questi mesi, pure. Queste, infatti, sono fedeli alle regole e dunque a un criterio liturgico che discende direttamente dalla bimillenaria storia della Chiesa.
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