giovedì 20 dicembre 2007

SPE SALVI DAI CAMPI ELISI DI VIRGILIO AL PARADISO CRISTIANO


"Dobbiamo a mio avviso essere molto grati a Benedetto XVI per questa encicli¬ca che ha il coraggio di riproporre temi fondamentali della nostra fede, oggi purtroppo oscurati fra gli stessi credenti."


Una giusta retribuzione del bene e del male, un Giudizio che ristabilisca per l'eternità l'ordine dei valori. Quei «novissimi» ricordati dal Papa e intuiti dagli antichi

DI MARTA SORDI
Avvenire, 19 dicembre 2007




Dopo le brevi osservazioni che ho fatto su «Il Foglio» sulla prima parte dell’enciclica Spe salvi, a proposito dell’invito «a rendere conto della speranza che è in noi» in un mondo, quello greco e romano del I secolo d.C., «senza Dio e senza speranza in questo mondo», ma pur pieno, come rivelano i poeti dell’ultima repubblica, della disperata attesa di un Dio presente, mi sembra giusto richiamare l’attenzione su quello che è, nell’enciclica, l’oggetto della speranza, la vita eterna: non c’è dubbio infatti che è questo il contenuto fondamentale dell’enciclica stessa. Una vita eterna che il mondo contemporaneo, tutto teso a un compimento puramente terreno dell’umanità e a un progresso determinato dal trionfo di una ragione e di una libertà sganciate da ogni rapporto con Dio, non desidera e per la quale non mostra neppure interesse: in questo contesto una vita «interminabile » fa addirittura paura, a chi concepisce l’eternità «come il continuo susseguirsi di giorni di calendario» e non «come il momento colmo di appagamento in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità» (par. 12). Un momento in cui saremo «sopraffatti dalla gioia», secondo la promessa di Gesù in Joh. 16,22. L’immergersi in questo «oceano dell’infinito amore, in cui il tempo il prima e il dopo non esiste più» (ib), presuppone però un Giudizio, che l’enciclica definisce, al pari della preghiera dell’agire e del soffrire, come «un luogo di apprendimento e di esercizio della speranza» (par. 4l sgg.): «l’immagine del Giudizio finale è, in primo luogo, non un’immagine terrificante, ma un’immagine di speranza... la grazia non esclude la giustizia, non cambia il torto in diritto. Non è una spugna che cancella tutto, così che quanto si è fatto sulla terra finisca per avere sempre lo stesso valore... I malvagi alla fine, nel banchetto terreno non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato» (par. 44).

Contro il buonismo diffuso nella cultura dominante del nostro tempo, che finisce per ignorare l’esistenza del mle e umilia la stessa libertà umana, il Papa ricorda l’esigenza che da sempre l’umanità ha mostrato per una giusta retribuzione del bene e del male e di un Giudizio che ristabilisca per l’eternità l’ordine spesso capovolto nella vita terrena (ib. 44) e cita, fra i Greci, Platone, che nel Gorgia (525a-526c) rappresenta il giudice ultraterreno nell’atto di punire i malvagi e di premiare i buoni; si potrebbe aggiungere, per il mondo romano, due bellissimi passi del VI libro dell’Eneide virgiliana, in cui il poeta (v. 608 sgg. 661 sgg.) vede puniti nel Tartaro, al di là dei soliti personaggi della mitologia, i molti peccattori anonimi che, durante la vita , odiarono i fratelli e i genitori, ingannarono i clienti, e i padroni che godettero da soli le loro ricchezze senza farne parte ad altri, commisero adulterio e provocarono guerre empie, e vede premiati nei Campi Elisi coloro che morirono combattendo per la patria, i sacerdoti casti, coloro che beneficarono l’umanità con invenzioni atte a migliorare la vita e che con i loro meriti ottennero il ricordo degli umini.

Inferno, Purgatorio e Paradiso, di cui si parla ormai molto poco nelle prediche domenicali, sono «il frutto di una scelta di vita fatta dall’uomo», che con la morte diventa definitiva (par. 45): «Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all’amore... in cui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile... e possono esserci persone purissime, che si sono lasciate interamente penetrare da Dio e di conseguenza sono totalmente aperte al prossimo...

il cui andare verso Dio conduce solo a compimento ciò che ormai sono».
Estremamente confortante, in questa mirabile ripresa di argomenti troppo spesso dimenticati, è infine l’accenno nel paragrafo 46 al Purgatorio, considerato con lucido realismo «secondo le nostre esperienze» la sorte che riguarda la gran parte degli uomini, nei quali «rimane presente, nel più profondo della loro essenza, un’ultima apertura interiore per la verità, per l’amore per Dio», ma che nelle concrete scelte della vita è ricoperta da «sempre nuovi compromessi col male».

Dobbiamo a mio avviso essere molto grati a Benedetto XVI per questa encicli¬ca che ha il coraggio di riproporre temi fondamentali della nostra fede, oggi purtroppo oscurati fra gli stessi credenti.



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